Ha detto mamma di spegnere la radio, sia perché alle nove di mattina non ha voglia di udire suoni diversi dal frastuono della sua aspirapolvere antiquata, sia perché “il rock è morto”.
Premetterei tuttavia ella non abbia la sfera magica e che, anzi, la maggior parte delle sue preveggenze altro non sono che la conseguenza della profezia finanziaria che si autoavvera cioè mi convinco così tanto di un evento che, inconsciamente, pongo in essere tutta una serie di azioni che avranno come conseguenza il mio desiderio. Avete presente il “se non fai ciò che ti dico, stasera non mangi”? Ecco. Finivate per davvero digiuni ma non per colpa vostra quanto perché la mammina, sempre inconsciamente, o voleva punirvi, o non se ne teneva di cucinare, quindi il pretesto per giungere a quella conseguenza lo trovava.
Ed è lo stesso col rock. Avete blaterato per così tanti anni circa il suo decesso che, aprendo YouTube, cercando “Poison”, anziché Alice Cooper, esce tal Mostro che deduco dall’estetica sia un rapper o qualcosa di simile. Ma se state cercando un colpevole, non c’è che da guardarsi allo specchio. Il rock ha sempre avuto dei problemi da Elvis in poi, soprattutto inerenti alle sue categorizzazioni interne. Inutile menarcela, si criticavano i Beatles, si criticavano i Pink Floyd, si criticavano i Led Zeppelin. All’epoca nemmeno certi album dei Bon Jovi erano considerati rock, e oggi invece venderemmo la nostra suddetta madre per un “It’s my life”.
Però è innegabile che manchi un po’ disex appeal. Forse perché manca la chitarra. Già vi odo: “Eccolo qui un altro nostalgico della chitarra”. Sì, lo sono. È un po’ come la questione del basso; se c’è nessuno se ne accorge, se non c’è si sente. Un pezzo rock come Dio comanda deve avere l’assolo, punto. O ci mettete un assolo di chitarra, o tutto è tranne che rock. E mi riferisco al rock che piace a noi vecchietti. Oh, poi ci sta pure il patito di tastiera elettrica, però lacondicio sine qua non della chitarra è prodromica alla nascita di altri Hendrix, Gilmour e Sambora. Sì, mi piace Richie (avanti, ti sfido ad ascoltare Rosie e a non canticchiare sommessamente “Rosie, roooosie…”) e secondo me quando la celeberrima rivista musicale Rolling Stone non lo inserì nei cento chitarristi migliori di tutti i tempi fece una corbelleria madornale. Anche perché resto convinto che Slash senza cilindro non sarebbe stato Slash, e ci sia stato di meglio in giro. Voglio osare: Pino Daniele e Joe Bonamassa nettamente superiori per sound e genialità.
Ma, in fondo, de gustibus non disputandum est… Ora, tornando a noi. Il rock, dicevamo, è morto, e ho scaricato le colpe su di voi essendomi svegliato incappellato a causa del rimprovero materno. Se c’è speranza? Magari nei nostri cuori, ma lì fuori non odo granché. Mi sento tuttavia di salvare, e magari pubblicizzare, tre band, con peculiarità nostalgiche: Halestorm, Alestorm, e Rival Sons.
Halestorm
Il nome della band deriva dal cognome Hale dei fratelli Lzzy e Areja, rispettivamente frontman – o frontgirl, non sia mai si offenda il politically correct – e batterista del gruppo rock, che si destreggia tra pezzi hard, alternativi e taluni metal. Vantano un po’ di amicizie che contano nel mondo del rock, tra cui Alice Cooper e, soprattutto, Amy Lee degli Evanenesce. Lei, Lzzy, quando aveva i capelli lunghi, era una gnocca pazzesca e venne inserita tra le rocker più sexy di oggi. Non che ora coi capelli corti sia brutta, ma aprire un trattatello sulla differenza tra estetica e bellezza violerebbe un po’ i canoni di Onda Musicale, ed io non son nessuno per inimicarmi il mio direttore.
Consiglio l’ascolto di Break in, recentemente ri-edita proprio con la Lee, e Rose in dicember; sì, è un pezzo poco rock nella musicalità e nel testo, parecchio sdolcinato, scevro delle chitarre su decantate, ma mi piace, e si ode la potentissima voce della Hale. Secondo me, se la smettessero di duettare coi ricordi umani degli Evanescence e degli Alter Bridge potrebbero avere una fetta di mercato interessante.
Alestorm
Non sono i cugini malriusciti degli Halestorm. Peraltro, se gli Hale sono statunitensi, gli Alestorm sono scozzesi. Sono dei pazzi furiosi, simpaticissimi, con chiare sonorità piratesche. Sì, sono dei pirati. Gli smanettoni del web ricorderanno il quasi jingle “You are a pirate” ma consiglio vivamente l’ascolto in cuffiette dai sei euro in su (altrimenti il bass boost, noi nostalgici, non lo percepiamo bene) di Keelhauled (c’è anche il video musicale, cosa non scontata nelle band rock contemporanee per ovvi costi di produzione. Clicca qui per il video). Sfiziosissimi e molto molto bravi. Un po’ particolari, certo, esattamente come lo siamo noi nostalgici ricercatori dei reperti rock.
Rival Sons
Fermi tutti, qui la questione è complessa e meritevole di convegni da Conservatorio. Il blues è un genere a sé stante o una categorizzazione del rock? Non so, diciamo – per convenzione – che i Rival Sons siano una blues rock band, di origine statunitense. Hanno pubblicato sei album, vantano diverse aperture di concerti tra cui AC/DC e Alice Cooper (che è diventato un po’ il nonnetto di tutti i contemporanei).
Sapete chi mi ricordano? Led Zeppelin e Deep Purple. Ascoltatevi Pressure and Time e ditemi se non vi ricorda certi acuti… A mio avviso? Forse, Jay Buchanan – frontman dei Rival Sons – è a miglior voce maschile esistente (senza far torto al mio amore platonico-musicale Myles Kennedy, per Dio). Consiglio pure Electric Man, sempre sulla falsariga dei Led.
Cosa puoi fare tu per salvare il rock
Giungiamo pure alle conclusioni e, anziché agire come molti politici che criticano e urlano senza fare una ceppa, iniziamo a domandarci come possiamo essere utili alla causa, ovvero salvare le spoglie. Premettendo che il passato è passato e non tornerà più, non è detto che non potranno esserci avventi diversi ma altrettanto belli. Però, occorre dirlo, se la malattia del secolo, in Occidente, è la depressione, con tutti gli annessi risvolti mentali legati e relegati al passati, non possiamo negare che vi sia un certo fascino nell’archeologia, figuriamoci in quel rock.
Quello anni Settanta, leggermente Ottanta, raramente anni Novanta; quello delle diatribe tra puristi mezzi figli dei fiori e seguaci di Axl e Slash. Quello degli italianissimi “è meglio Vasco” vs “è meglio Ligabue”. Insomma, impegnamoci a spolverare i reperti del nostro museo, ché le future generazioni, in mezzo a cotanto rap, trap, e trip e trop vario, prima o poi ci domanderanno di Comfortably Numb o di Starway to Heaven, e allora, dopo che una lacrimuccia avrà solcato il nostro viso, avremo il dovere morale di raccontare la storia della musica, con la stessa sofferenza nostalgica di quando Roger Waters e David Gilmour, non ancora definitivi nemici, rividero, improvvisamente nello studio musicale, quel genio, ormai decaduto, di Syd Barret.
Daniele Martignetti – Onda Musicale