Il sogno degli anni Sessanta era definitivamente andato in pezzi nel biennio 1969-1971, quando erano morti in circostanze tragiche alcuni dei più importanti protagonisti della scena musicale mondiale: ritengo che i nomi di Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison non necessitino di ulteriori spiegazioni.
Quel sogno collettivo, una straordinaria utopia alimentata da un ottimismo privo di riscontri sia nei decenni precedenti che in quelli successivi, nonostante tutto aveva iniziato ad incrinarsi proprio nell’anno in cui la fiducia nel presente e nel futuro aveva fatto credere che alla realizzazione dell’impossibile mancasse veramente un soffio. Il variopinto affresco del 1967 era stato compromesso da una pennellata cupa.
All’opera corale ci stavano lavorando anche i Beatles, e la “pennellata cupa” era capitata proprio a loro.
A fine Agosto, il 25 per l’esattezza, i quattro musicisti erano partiti per Bangor, città gallese che in quei giorni aveva l’onore di ospitare il Maharishi Maheshi Yogi, santone indianola cui fama aveva conosciuto un’impennata per aver condiviso i riflettori con le star mondiali del periodo. Nell’anno di Monterey la psichedelia non aveva solamente fatto deragliare molte menti, ma per alcuni si era rivelata il punto di partenza per un sincero approfondimento della cultura Indiana e in particolare della complessa e nobile disciplina della meditazione trascendentale. I Beatles, in quel momento sulla vetta della loro vita e della loro carriera, cercavano di trovare un sincero soddisfacimento a ciò che la loro vita di fama e successo non poteva loro dare, pertanto avevano deciso di sentire cosa avesse di interessante da dire il Maharishi.
Tutto sembrava filare per il verso giusto, quando una pessima notizia squarciò all’improvviso la loro tranquillità: Brian Epstein, il loro manager, era morto. I quattro non riuscivano a crederci. Com’era possibile? Pochi giorni prima – il 23 – si erano visti nel corso di una sessione ai Chappell Recording Studios della londinese Maddox Street, quartiere di Mayfair. Dal momento che gli studi di Abbey Road erano al completo, il gruppo era stato costretto a spostarsi in questa struttura indipendente per poter proseguire il lavoro su “Your Mother Should Know”, canzone che McCartney stava tratteggiando e modellando per il progetto di Magical Mystery Tour.
Il gruppo più famoso al mondo ora si sentiva smarrito, dato che si era improvvisamente ritrovato orfano di colui che era stato determinante nel permettere a quattro ventenni, all’inizio del decennio dei perfetti sconosciuti, di entrare nel novero dei musicisti più importanti sulla faccia della Terra. Nell’immediato non perdere la rotta fu la cosa più importante da fare, poi si sarebbe riflettuto sulla strada da percorrere. Di sicuro, a posteriori, possiamo dire che l’inaspettata e inopportuna morte di Epstein fu tra le cause che in qualche modo contribuirono alla fine dei Beatles nel 1970. Ma non corriamo troppo.
Ripercorriamo ora, per sommi capi, la vita di Brian Samuel Epstein, comunemente noto come Brian Epstein.
Il nome è un segno lampante del fatto che apparteneva ad una famiglia ebraica – per di più facoltosa – i cui antenati erano giunti in Inghilterra dopo essere partiti dalle terre dell’Impero Russo. Stiamo parlando degli ultimi trent’anni dell’Ottocento. Dopo qualche generazione, il 19 Settembre 1934 a Rodney Street, in una Liverpool dove sin dal 1901 si erano stabiliti gli Epstein, nasceva Brian, figlio di Harry e Malka “Queenie” Hyman (il membro più longevo della famiglia, essendo morta nel 1996 all’età di 82 anni).
Brian, pur essendo intelligente, non si trova a suo agio a scuola.Se non viene espulso decide di lasciare gli studi, perché le sue ambizioni sono altre. Vorrebbe fare lo stilista, ma suo padre si oppone tenacemente a tale scelta. Dopo il servizio militare obbligatorio, trova impiego presso Clarendon Furnishing, negozio di arredamento posseduto e gestito dalla propria famiglia. Per la prima volta dimostrava di sapersi comportare come un venditore navigato e di grande abilità. Nonostante ciò, in lui si faceva spazio l’idea di cimentarsi con il ruolo dell’attore, evidentemente in quel momento da lui ritenuto più consono alle sue inclinazioni. Fece i provini per la Royal Academy Of Dramatic Art e passò, ma dopo non molto tempo abbandonò il percorso. E pensare che tra i suoi compagni di studio c’era anche un certo Peter O’ Toole…
Tornò all’azienda di famiglia, la NEMS (North End Music Stores), articolata in una catena di negozi in cui si vendevano strumenti musicali, giradischi e (ovviamente) dischi. Gli venne assegnata la direzione di un settore della nuova filiale della catena, situata in Great Charlotte Street, a Liverpool. Sotto la sua gestione, e grazie al suo contributo, la NEMS divenne uno dei più grandi negozi di musica e strumenti musicali dell’intero Regno Unito. Il successo finalmente ottenuto spinse suo padre ad affidargli una ulteriore nuova filiale della NEMS, ai civici 12-14 di Whitechapel Street (l’edificio in questione è stato demolito pochi anni fa).
La dinamica dei fatti che portò all’inizio dell’avventura di Brian con i Beatles la vedremo nella seconda e ultima puntata. Non mancate.