Musica

Robert Wyatt e il suo estremo concetto di resilienza

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“Penso di aver meritato tutta la cattiva sorte che si è abbattuta su di me”. Così che si confessa l’artista inglese, collante della scena di Canterbury nonché uno dei più grandi batteristi della musica rock-progressive di sempre, in occasione della pubblicazione della prima biografia autorizzata, “Different every time” (di Marcus O’Diar).

Era il giorno del 40° compleanno di Gilli Smith, icona dei Gong, e lei e June Campbell Cramer (conosciuta come Lady June) stavano dando una festa a base di alcool nell’appartamento di quest’ultima nel centro di Londra. Durante la festa, la notte del 1 giugno 1973, la vita di uno dei musicisti più importanti del 20 secolo, cambiò radicalmente.

Un ubriaco Robert Wyatt cade rovinosamente dal 4° piano restando paralizzato dalla cintola in giù e costretto a restare per il resto della sua vita su una sedia a rotelle. Anni dopo lo stesso Wyatt ironizza su quanto accaduto: “ecco come avvenne l’incidente: nell’ordine vino, whisky, Southern Comfort e poi la finestra. Il dottore era stupefatto e mi disse: “Doveva essere proprio ubriaco per rimanere così rilassato mentre cadeva dal 4 piano”. Se fossi stato appena più sobrio, probabilmente oggi non sarei qui: avrei teso tutto il corpo per la paura e mi sarei fracassato”.

Perdere l’utilizzo delle gambe rappresentava una beffarda e tragica punizione?

C’è una capacità che hanno le persone per riuscire ad affrontare gli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. Viene definita resilienza. La capacità di adattarsi alle difficoltà.

Robert Wyatt ne è un esempio perché è stato capace di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere e anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili. È vero che tutti i progetti di Wyatt furono annullati, e oltre allo sconforto di non poter più suonare la batteria, Robert aveva di fronte un lungo e costoso percorso di cure e riabilitazione.

In quella fase difficile, gli amici Pink Floyd, che nel frattempo con l’uscita di “The dark side of the moon” erano diventati una delle band più importanti del pianeta, organizzarono un doppio concerto al Rainbow Theatre di Londra insieme ai Soft Machine. Il ricavato del concerto fu dato in beneficenza a Wyatt.

Nel frattempo, fortunatamente, Wyatt si riprese benissimo e pur non potendo più suonare la batteria, poteva continuare a suonare percussioni, tastiere, trombe e qualsiasi altra cosa gli passasse per le mani, ma soprattutto poteva continuare a scrivere musica, e che musica!

La sua forza di volontà lo portò a tornare sul palco l’8 settembre 1974 a poco più di un anno dall’incidente. Con lui suonarono alcuni tra i suoi amici più cari come Hugh Hopper e Nick Mason. Quando Robert Wyatt salì sul palco del Theatre Royal Drury Lane, molti si stupirono di ritrovarlo sul palcoscenico a così breve distanza dall’incidente che lo aveva confinato in una sedia a rotelle (nessuno poteva pensare che quello sarebbe stato il suo ultimo concerto).

Coloro che possiedono un alto livello di resilienza riescono a fronteggiare efficacemente le avversità e a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. Anche in questo caso Wyatt è un esempio, perché non si perse d’animo e nel giro di otto mesi pubblicò “Rock Bottom”, un disco di malinconica tristezza che lo portò direttamente nella storia del rock. Un’attività solistica ai massimi livelli (Old Rottenhat, Dondestan, Shleep) e collaborazioni prestigiose (David Gilmour, Brian Eno, Paul Weller) hanno segnato una carriera luminosa costeggiata da un attivismo politico inarrestabile.

Rimarrà sempre un batterista e percussionista di grande talento, ma soprattutto compositore dotato di passione per la sperimentazione, creando sound unico, inimitabile e ricco di sfaccettature.

 

 Myriam Al Jazazi – Onda Musicale

 

 

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd/David Gilmour/The Dark Side of the Moon/Nick Mason/Brian Eno/Robert Wyatt/Soft Machine/Paul Weller
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