Il rockabilly fu uno delle prime sottocategorie di rock & roll nato dalla fusione di bluegrass, boogie woogie, jazz e country.
Il termine deriva da “rock and roll” e “hillbilly” che significa “cafone di campagna”. Ed in effetti il rockabilly fu questo: una vera e propria musica rock dei campagnoli degli Stati uniti del Sud, prevalentemente bianchi.
L’aspetto etnico non è di secondaria importanza. In un territorio dominato dalla cultura afro tra i campi di cotone e i relativi canti che accompagnavano i lavoratori, i discendenti degli europei necessitavano sempre più di una forma d’arte che li identificasse in maniera netta e distinta, e che parlasse anche dei problemi delle comunità bianche.
Immediate anche le peculirità d’abbigliamento. I rockabillies difatti adoperarono sovente tagli di capelli ad hoc come il pompadour di Elvis Presley o Buddy Holly, cappotti dal colletto perennemente alzato stile Fonzie, sui mitici Levi’s 501 o 505, e le immancabili brothel creeper ai piedi, oggi tornate in auge per le donne.
Si trattò, insomma, di un vero e proprio movimento culturale, capace sin dagli albori di distinguersi per la continua ricerca di una certo piacere di vivere leggero ma mai frivolo.
Sono gli anni in cui Kerouac si consacra definitivamente come scrittore, in cui gli Hippies propongono le loro tematiche sociali (che esploderanno pochi anni dopo), in cui i Teddy Boys affermano la loro modo. Sono gli anni di Happy Days e della mitica cinematografia holliwoodiana.
Tutti accomunati da forti passioni per le auto. Si ha un incremento esponenziale di vendita delle Cadillac, mitici automobili statunitensi dai motori impressionanti ma accessibili a molti per via del costo irrisorio della benzina. Ma siamo anche nell’era in cui gli States vengono invasi dal culto della motocicletta inglese e, ovviamente, dai ritmi quasi mistici del primordiale rock and roll.
Daniele Martignetti – Onda Musicale