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Se Pellizza da Volpedo avesse scelto la chitarra, si sarebbe chiamato Bruce Springsteen

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E’ uscito il 23 ottobre scorso “Letter to you”, ultima fatica in studio di Bruce Springsteen. Il disco di un uomo che si guarda alle spalle sorridendo, che con malinconica serenità condivide ricordi e commemora mancanze.

Tradizioni, religione, musica, amore e cruda realtà raccontati in poesia, coniugando chitarre, piano, sax e armonica con l’eleganza propria dell’essenza del Boss. Fantasmi a cui ci si rivolge con la naturalezza di chi ha fatto pace con il pensiero della morte e l’ha accettato. L’album classic rock americano, quello dal retrogusto un po’ folk un po’ country, che non poteva mancare agli ascolti di quest’anno.

Springsteen si è guadagnato, nel corso della carriera, più soprannomi: il Boss, il menestrello del rock e Working-Class Hero. L’ultimo perchè “Born to run” sta alla working-class industriale degli anni ’70 come “Il quarto stato” di Giovanni Pellizza da Volpedo sta agli operai rivoltosi di piazza Malaspina: brani come “Night” o la title-track raccontano la frustrazione, la stanchezza e i sogni di chi, chiuso in fabbrica, non smetteva di sognare lidi migliori. Incredibile come ci sia riuscito non avendo mai messo piede in una fabbrica: è l’arte di rendere reale anche ciò che non si è mai vissuto sulla propria pelle, un po’ come Tolkien che non ha mai visitato la Terra di Mezzo né visto combattere elfi o nani.

Se Elvis è stato il suo mito dell’infanzia che lo ha convinto a imbracciare una chitarra, nel concreto è stato Bob Dylan a segnare le orme che Springsteen decise di seguire… strappando un contratto proprio alla sua etichetta, la Columbia. Columbia che stava per scaricare Bruce dopo due album di impatto poco notevole sul mercato, ma che ringrazierà più tardi Landau (allora direttore di Rolling Stone e poi divenuto, dopo una lunga battaglia legale, manager di Springsteen) per aver scritto “Ho visto il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Bruce Springsteen” dopo aver assistito alla performance all’Harvard Square Theatre di Cambridge e che produrrà l’album positivo e speranzoso “Born to run”. E’ dal disco successivo che le atmosfere diventano più cupe e oscure: “Darkness in the edge of town” non per niente, infatti lo stato d’animo dovuto ai problemi legali e conseguente stop artistico forzato si riflette in questi racconti musicati di infelicità, rabbia e disperazione.

In the river” sarà il contenitore perfetto per racchiudere entrambi i mood e mostrare entrambe le facce della medaglia prima del crudo e disincantato “Nebraska”: in un periodo storico caratterizzato da insoddisfazione e solitudine dovute alla mediocrità del quotidiano, anche l’animo del Boss sprofonda. Il risultato è un grido straziante di dolore rassegnato alla desolazione con cui Springsteen non riesce a identificarsi né a trovare speranze a cui attaccarsi.

Nel giro di qualche anno, il mood stile urlo di Munch va scemando: siamo nel 1984 e “Born in the USA” consacra il Boss nell’olimpo dei rocker. Fu clamorosa la gaffe di Reagan che tentò di usare questo brano per la sua campagna ottenendo in cambio un “E’ una delle solite manipolazioni e io mi devo dissociare dalle cortesi parole del presidente“. C’è poco da stupirsi in fondo: stiamo parlando di un uomo che ha dedicato la sua musica al disagio delle classi deboli, che ha partecipato all’iniziativa “No Nuke” nel 1979 e prestato la sua voce nel 1985 sia per “We Are The World” (Usa For Africa), sia per “Sun City” (l’iniziativa discografica dell’amico Van Zandt contro l’apartheid). Nonostante la virata verso sonorità più pop-rock infatti, i temi non sono cambiati. Ecco perchè è importante leggere i testi.

L’album successivo arriva a delineare quello che per Springsteen sembra essere un pattern fatto di alti e bassi: la crisi con la prima moglie, da cui in breve divorzierà, lo spinge a brani più intimisti, dall’atmosfera cupa e malinconica. “Tunnel of love” rivolge lo sguardo verso l’interiorità anziché sbirciare nei capannoni: il Boss non perde il vizio del realismo e la vita è fatta anche d’amore, nel bene e nel male. Torna a fargli battere il cuore Patti Scialfa, corista della E-Street Band con cui si sposa e con cui avrà tre figli.

Gli anni 90 non sono molto prolifici: “Streets of Philadelphia” è un successo commerciale che la Columbia cavalca per pubblicare il Greatest Hits, ma in tutta la decade arriva un solo album degno del “marchio di fabbrica”, sia in senso lato che letterale. Paganini ripete stavolta: in “The ghost of Tom Joad” country e folk sono la base per racconti in stile “Nebraska” nei quali incontriamo ex carcerati, fabbriche e voglia di viaggi ed evasione.

L’undici settembre 2001 è una data che resterà indelebile nella memoria di tutto il mondo occidentale. Ovviamente il Boss, da attento osservatore della realtà americana non può restare indifferente: i frutti maturi cadono dall’albero quando questo viene scosso e questo terremoto emotivo lo spinge a scrivere “The rising”. L’ album nel complesso è una panoramica emozionale a suon di ballad sull’onda provocata da questo evento terribile, ma da buon rocker il menestrello non le manda a dire, infatti il pezzo di apertura recita “Better ask questions before you shoot” (meglio fare qualche domanda prima di sparare).

L’eco di questa citazione, come se fosse stata urlata dalla cima dell’Everest, continua a risuonare per anni: nel 2005, insieme a Rem e Pearl Jam, Springsteen partecipa al “Vote for change Tour”, con l’obiettivo di ripristinare l’America “promised land” che tanto gli sta a cuore, cioè sensibilizzando la popolazione affinchè alle presidenziali non votino di nuovo Bush. L’album che porta in giro per i palchi in questa occasione è l’acustico “Devils & Dust”.

Dopo il variegato e piacevole “We shall overcome – The Seeger Sessions”, arriva un album che fa sperare in una reunion definitiva con la E-Street Band, cioè “Magic”, che contiene anche la sorridente e sognante “I’ll work for your love”.

E se è vero che i sogni son desideri, da lavorare “per il tuo amore” a lavorare “su un sogno” è un attimo: l’arrivo di Obama dà la carica al working-class hero che sforna, per l’appunto, “Working on a dream”, disco più simpatizzante pop con la bonus track “The wrestler”, scritta per l’omonimo film.

È l’ora del flashback: ricordate il periodo di stop forzato durante le battaglie legali risalente a inizio carriera? Ecco, in quel periodo l’ispirazione compositiva di Springsteen era a mille. Non puoi produrre e ovviamente vorresti fare solo quello, come quando non puoi uscire e non sopporti più le pareti di casa (riferimenti a lockdown e zone rosse assolutamente non casuale). Dicevamo, in quel periodo il Boss partorisce oltre settanta brani, di cui solo dieci vengono inclusi in “Darkness on the edge of town”.

“In che anno andiamo Doc?” “Nel 1977 Marty, a convincere Bruce a chiudere quelle partiture in cassaforte perchè un giorno gli saranno utili!”… Così nasce “The Promise”, un vero viaggio indietro nel tempo, al momento di creatività sognante che doveva ancora vivere molte cose.

Wrecking ball” (no, non c’entra niente la palla di Miley) è invece un album più carico, energico e con qualche trifoglio che spunta qui e là: atmosfere celtiche e irlandesi fanno capolino tra un brano e l’altro.

Dopo tanti anni però, anche il piatto preferito inevitabilmente stufa: la collaborazione con Tom Morello, ex chitarra dei Rage Against The Machine, pone le basi per “High hopes”, a cui segue un biennio di teatro. E’ al Walter Kerr Theater di Broadway che Springsteen porta in scena la sua autobiografia e dai cui spettacoli viene pubblicato un doppio CD. Dalle collaborazioni metal al teatro, per non farsi mancare nulla, o quasi: nell’album del 2019, “Western stars”, troviamo influenze come il pop californiano anni Sessanta e Settanta, archi, fiati e fisarmoniche.

L’omissione di tutte le raccolte, i cofanetti, i milioni di dischi venduti, Grammys, Oscars, premi e onorificenze vari non è casuale: di biografie celebrative è zeppo il web. Prima di tutto questo c’è un uomo che ha passato una vita a cantare della gente comune, dell’operaio con la tuta sporca di grasso, del vicino di casa. Quindi mi piace pensare che raccontare di lui esattamente nella stessa maniera in cui lui ha sempre raccontato chi lo ha ispirato, potrebbe fargli piacere.

— Onda Musicale

Tags: Boss/Bruce Springsteen/Born to Run
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