Immagina, puoi…. Il piatto che ruota e gira mentre il braccio si abbassa lentamente. La puntina che abbassandosi cerca il solco e vi si appoggia con un leggero strappo generando un fruscio carico di aspettative. Il suono che si sprigiona dai diffusori è qualcosa di magico: a kind of magic !
Ma facciamo un passo indietro. Per i puristi e per gli esteti del suono la perfezione non è condensata nell’audio digitale moderno che tecnicamente può arrivare ad una frequenza di 44.100 Khz mentre n vinile può arrivare al massimo a 15 Khz.
L’elemento che fa davvero la differenza, al di là della qualità indiscutibile del suono digitale, è il calore del suono. Si parla di quelle piccole imperefezioni che rendono la musica ascoltata quasi più reale, in un certo senso più umana.
Il vintage ultimamente ha riscoperto le enormi potenzialità dei vecchi dischi in vinile, ritagliandosi in poco tempo una posizione rilevante e prestigiosa nel mercato discografico. I nostalgici del suono infatti sono sempre alla ricerca di “quel disco”, magari legato ad un momento particolare della propria vita mentre i piu giovani, curiosi e vogliosi di sperimentazione, sono desiderosi di “mettere le mani“ su qualcosa di storico, magari una vera e propria reliquia del passato.
L’acquisto di un vinile infatti non si ferma al solo aspetto legato all’ascolto ma si espande inevitabilmente alla copertina che può essere toccata, annusata, rigirata fra le mani, ammirata. Impossibile non fare riferimento ad alcune delle copertine storiche della discografia mondiale: Animals dei Pink Floyd (1977), Nevermind dei Nirvana (1991), Abbey Road dei Beatles (1969), London Calling dei Clash (1979), Sticky Fingers dei Rolling Stones ( 1971).
Stefano Leto – Onda Musicale