Il jazz più bello, per la maggior parte dei suoi fan, è quello con il quale hanno cominciato ad amarlo: i primi dischi, spesso comprati con l’ingenuità e l’entusiasmo dell’adolescenza.
Ma esiste davvero un tipo di jazz, un suo periodo, che meriti di essere considerato il migliore, l’età d’oro di un’arte che ha provocato entusiasmi (e disapprovazioni spesso moralistiche) fin dal suo apparire negli anni Dieci del Novecento?
Il jazz più bello, per la maggior parte dei suoi fan, è quello con il quale hanno cominciato ad amarlo: i primi dischi, spesso comprati con l’ingenuità e l’entusiasmo dell’adolescenza. Ma esiste davvero un tipo di jazz, un suo periodo, che meriti di essere considerato il migliore, l’età d’oro di un’arte che ha provocato entusiasmi (e disapprovazioni spesso moralistiche) fin dal suo apparire negli anni Dieci del Novecento?
Qualcuno dirà che l’epoca migliore è quella degli albori, quando il jazz esplose con novità e invenzioni di tale portata da coinvolgere sia le masse di ballerini sia i maggiori esponenti delle avanguardie, da Stravinski a Matisse.
Altri propenderanno per gli anni Settanta, quando folle di giovani, sull’onda dei valori di una robusta «controcultura», seppero avvicinarsi alle variopinte invenzioni contemporanee con un abbandono che travalicava ogni steccato stilistico. Oppure per il rivoluzionario passaggio al jazz moderno, gli anni della Seconda guerra mondiale, quando figure d’eccezione come Charlie Parker e Dizzy Gillespie fecero capire a tutti che il jazz non era una moda di consumo ma una musica da prendere con assoluta serietà.
E certamente c’è chi spezzerà una lancia per le realtà più contemporanee di questa musica, che continua a rappresentare una sfida e uno stimolo per ogni altra manifestazione artistica; o per la favolosa Era dello Swing, a cavallo fra anni Trenta e Quaranta, in cui ogni forma di spettacolo (dai musical ai film alle sale da concerto) profumava di jazz.
Ma a pensarci con distacco, un’epoca si distingue davvero dalle altre. Fra gli anni Cinquanta e i Sessanta non solo avvengono trasformazioni continue nel linguaggio jazzistico, ma i protagonisti dei diversi stili sono ancora attivi dividendosi i palcoscenici; è l’unico momento di questa musica ancor giovane in cui tutte le sue generazioni si influenzano a vicenda, Louis Armstrong e Miles Davis, Duke Ellington e Charles Mingus, Benny Goodman e Ornette Coleman; ne deriva un’irripetibile vivacità intellettuale.
Proprio a questa formidabile e lunga stagione è dedicata la nuova serie di cd allegati al Corriere della Sera. Sotto il titolo «I grandi solisti del jazz – Dal bebop al free» saranno proposti ventiquattro album che sintetizzano la fase racchiusa fra questi due grandi movimenti, in sostanza la stagione storica in cui sono maturati i linguaggi che ancor oggi vengono utilizzati dalle nuove generazioni.
Ogni venerdì, al prezzo di 6,90 € oltre a quello del quotidiano, sarà disponibile per tutta la settimana un nuovo titolo con la copertina originale, una nuova impostazione grafica con immagini d’epoca e note storiche e critiche scritte per l’occasione.
Apre la collana uno dei dischi più famosi e venerati dell’intera storia del jazz, «A Love Supreme» di John Coltrane: una vetta assoluta del grande quartetto guidato dal tenorsassofonista con McCoy Tyner al pianoforte, Jimmy Garrison al contrabbasso ed Elvin Jones alla batteria (tutti inarrivabili esponenti dei rispettivi strumenti), ma anche uno dei massimi esempi di come il jazz abbia maturato (siamo nel 1964) la capacità di creare un’opera di ampio respiro, in questo caso una suite in quattro movimenti che occupava l’intera durata del microsolco originale.
Con la seconda uscita faremo un salto indietro al 1950, l’unica occasione in cui tre grandi fondatori del bebop si trovarono assieme in studio d’incisione; «Bird & Diz» affianca infatti Charlie «Bird» Parker, l’inventore del sax moderno, John «Dizzy» Gillespie, l’inarrivabile virtuoso della tromba, e Thelonious Monk, creatore dal suo pianoforte di un’intera, rivoluzionaria concezione armonica e ritmica.
«Ella And Basie!», terzo album allegato al Corriere (uscirà il 10 giugno), è un esempio memorabile proprio dell’incrocio generazionale di cui si diceva: nel 1963 l’orchestra di Count Basie e l’ugola d’oro di Ella Fitzgerald, veterani della Swing Era, s’incontrano grazie agli attualissimi arrangiamenti soul di un trentenne dal luminoso futuro, Quincy Jones.
Insomma, si sarà capito che ogni album di questa serie rappresenta un episodio imperdibile (e spesso arricchito da versioni alternative dei brani, recuperate dagli archivi delle case discografiche) di una vera e propria epoca aurea: subito dopo sarà la volta di due maestri, il sassofonista Sonny Rollins con «Saxophone Colossus» e il divino trombettista Miles Davis con «Workin’», quindi ecco il mago dell’organo jazz Jimmy Smith, Pharoah Sanders lacerante allievo di Coltrane, la quintessenza del pianoforte hard bop Horace Silver, l’ascetico sassofonista Lee Konitz, la virtuosistica cantante Sarah Vaughan…
Nel ventaglio di uscite in programma fino a novembre ci sarà spazio per ogni tendenza stilistica, dalla nascita della modernità al rivoluzionario free jazz.
(tratto da www.traccedijazz.it – link)