Daniel Johnston era senza pubblico, senza alcun sostegno particolare dalla sua famiglia, nessuna attrezzatura di registrazione tranne che un boombox economico. Una voce come chiodi sul vetro, un pianoforte stonato e una malattia mentale cronica e debilitante.
È impossibile discutere di Daniel Johnston senza toccare il suo disturbo bipolare, che lo ha intriso di grande disagio emotivo e con episodi maniacali che lo hanno fatto comportare in modo irregolare e creare in modo incredibilmente prolifico.
Johnston ha creato migliaia di canzoni e migliaia di dipinti e disegni mentre era in preda a quelli che chiamava “esaurimenti nervosi“: è stato ricoverato in un istituto psichiatrico dopo essersi convinto di essere Casper il fantasma amichevole, gettando le chiavi fuori dalla finestra durante un viaggio in aereo privato con suo padre, e quasi uccidendoli entrambi, poiché sono stati costretti a schiantarsi contro alberi.
Ha anche continuato a scrivere canzoni mentre era istituzionalizzato, inclusa un’ode particolarmente memorabile a Mountain Dew.
Bio
Daniel Johnston è nato il 22 gennaio 1961 a Sacramento, quinto figlio di Bill e Mabel. Una famiglia profondamente religiosa e normalissima, di quelle che insegnano ai propri figli a suonare il piano e a coltivare l’arte. Al liceo Daniel era un solitario e un underachiever, che passava più tempo a suonare il piano e disegnare in cantina che uscire con gli altri.
Ha iniziato a creare musica al liceo, registrando pianoforte, voce e organo con accordi su un boombox. Johnston lasciò l’università poche settimane dopo essersi iscritto; in seguito frequentò il programma artistico della Kent State University. Durante questo periodo, ha registrato il suo primo LP “Songs of Pain” del 1980-1981.
Dopo pochi anni, Johnston si ritirò di nuovo e alla fine si trasferì ad Austin, in Texas, dove iniziò a coltivare un seguito distribuendo costantemente le sue cassette ai passanti. Il suo successo locale gli è valso un’apparizione nella serie “The Cutting Edge” di Mtv nel 1985.
Daniel era un maniaco depressivo e con la sua celebrità sono arrivati soggiorni prolungati in ospedali psichiatrici e violente esplosioni psicotiche in cui ha quasi ucciso se stesso e altri.
Discografia
I Johnston avevano un garage per due auto. Da una parte c’era l’auto di famiglia e dall’altra lo studio di Daniel. Le pareti ricoperte di foto, dipinti e ritagli: i Beatles, Star Wars, King Kong, Godzilla, Batman, Capitan America, ragazze pinup anonime degli anni Cinquanta. C’era una foto di Bill e Mabel lì dentro, così come alcune delle copertine degli album di Daniel.
Un vecchio pianoforte contro il muro e un tavolo su cui erano appoggiati uno stereo portatile, un giradischi e un posacenere. Su uno scaffale poi più di una dozzina di quaderni pieni di canzoni. C’era anche un dizionario di rime, una Bibbia, un microfono e un piccolo amplificatore Marshall.
Non ci sono due canzoni di Daniel Johnston che suonano allo stesso modo e i brani continuavano a sgorgare da chissà dove. Riusciva a mantenere la sensazione familiare, innocente e cruda dei nastri casalinghi con la spontaneità delle sue esibizioni, portandole dal punto di vista sonoro in qualcosa di un po’ più “user-friendly”. Era un creatore ossessivo, disegnava e scriveva tutto il tempo.
Songs of Pain è stato il primo nastro, seguito da Don’t Be Scared.
Erano collezioni strane e low-fi, con Daniel che batteva a casaccio sul piano. Erano brani nudi e onesti, pieni di desiderio e bisogno, cantati con un suono acuto che sembrava che il suo cuore si stesse spezzando. Era come se si stesse esponendo, a volte in modo divertente, altre invece, le melodie erano doloranti.
Daniel lasciò il Kent State nel 1982 e l’anno successivo si trasferì a Houston per vivere con suo fratello Dick. Fu proprio nel garage di Dick; che registrò forse la sua opera più importante “Yip/Jump” usando un organo giocattolo ed un ukulele
Dopo una serie di disaccordi con la moglie di Dick, Daniel si è trasferito a San Marcos per vivere con sua sorella Margy. Compose e registrò “Hi, How are you”, un album sofferto, in cui si avvertivano i contrasti con la famiglia e l’acuirsi della malattia. Dopo un crollo nervoso, fuggì con un circo e vendette pop-corn per nove mesi, finché non arrivò ad Austin, in Texas, all’epoca una sorta di mecca della musica indipendente americana.
Era il 1984 e trovò lavoro in un McDonald’s, distribuendo i suoi nastri a chiunque incontrava.
Ciao, come stai?” — diceva.
Sono Daniel Johnston e diventerò famoso.”
Daniel Johnston non ha mai voluto essere mitizzato; voleva solo che gli altri condividessero e sperimentassero la musica che ha creato in modo così onesto e prolifico. Il suo primo successo nella carriera è derivato dalla distribuzione gratuita di cassette delle sue registrazioni casalinghe a chiunque li volesse, e i sussurri della sua instabilità mentale, dei feticci infantili e della misteriosa vita domestica aiutarono la sua rapida ascesa alla celebrità locale, e successivamente nazionale.
Come molti artisti anche Daniel aveva la sua musa ispiratrice. Una ragazza; Laurie, molto bella, fidanzata con un becchino. I suoi album sono pieni di canzoni per Laurie e per il vero amore. Si sedeva al piano, accendeva un registratore economico e suonava canzoni sull’amore non corrisposto, sulla miseria di essere un solitario e sul seguire i suoi folli sogni.
Aveva anche una spinta inarrestabile a riscattare i materiali della sua vita come arte, e per quanto sgraziate e contorte fossero le sue canzoni, avevano aspetti di scioccante bellezza e freschezza.
Una guerra di offerte di etichette iniziò dopo che Kurt Cobain attirò l’attenzione sulla sua musica sfoggiando l’artwork del suo album “Hi, How Are You” su una maglietta. Elektra Records e Atlantic Records erano tra gli offerenti, ma Johnston alla fine firmò con Atlantic perché credeva che i firmatari di Elektra fossero satanici.

Daniel ottenne la fama che desiderava così disperatamente: Mtv, grandi spettacoli di fronte a fan adoranti, un contratto con una major, le sue opere d’arte appese nelle gallerie di Londra e Berlino. Sarebbe diventato un eroe underground, le sue canzoni sono state coperte da dozzine di band indipendenti e musicisti con nomi come Wimp Factor 14 e Weird Paul Petroskey ma anche da alcune delle più grandi band del rock alternativo, come Yo La Tengo, Pearl Jam, Death Taxi per Cutie e Sparklehorse. I musicisti erano attratti dalle canzoni, ma erano anche incuriositi dal romanticismo della sua malattia mentale.
Da quel momento in poi la vita di Johnston alternò momenti di euforia creativa; immerso nell’affetto della comunità musicale di Austin; a lunghi periodi di degenza in ospedali psichiatrici. L’incontro con le droghe e soprattutto con l’acido lisergico a un concerto dei Butthole Surfers non gli fu d’aiuto. Da quel momento in poi, Daniel Johnston fu sempre sotto acido.
Era il 1988 quando Johnston si è recato a New York City; per registrare il suo undicesimo album,1990, con il produttore Mark Kramer. Nello stesso anno, gli fu diagnosticata la schizofrenia. Nel corso della registrazione di “1990”, la sua salute mentale peggiorò drasticamente. È stato involontariamente ricoverato in un ospedale psichiatrico dopo aver suonato a un festival musicale. Ormai, le cure con il litio non permettevano al musicista di suonare i suoi brani, i tremori si facevano sempre più evidenti.
Nel 2005, Jeff Feuerzieg ha diretto il premiato documentario sulla sua vita intitolato “The Devil and Daniel Johnston”. In questo periodo, ha formato la sua etichetta “Eternal Yip Eye Music”. Ha pubblicato il suo ultimo album “Space Ducks: Soundtrack”, nel 2012 ed ha intrapreso il suo tour finale nel luglio 2017.
Nel 2018, la città di Austin ha onorato Johnston; nominando il 22 gennaio “Hi, How are you Day”.
Artwork
Daniel non era solo un musicista, era compulsivamente creativo con una vena maliziosa, disegnando su qualsiasi superficie disponibile e persino virando in vandalismo quando finiva la carta.
Il suo primo amore sono stati i fumetti, in particolare i supereroi della Marvel Comics come Captain America e l’Incredibile Hulk. All’età di otto anni disegnava già i suoi fumetti, con un cast di personaggi e una mitologia a guidarli: un mondo del bene contro il male, informato tanto dai supereroi quanto dagli insegnamenti dualistici della Chiesa di Cristo. Captain America era lì. Così come c’erano Gesù, Satana, King Kong e Casper il fantasma amichevole.
Daniel ricordava:
«Ho cominciato a disegnare fumetti quando avevo otto anni. Qualche volta erano basati sul mio gatto. Rendevo il mio gatto un supereroe. Qualche volta disegnavo storie ispirate alla Bibbia, amavo anche Godzilla e King Kong”.
La musica non lo tenne lontano dai comics: continuò a disegnare e curare ogni aspetto grafico delle sue produzioni. I suoi fumetti includevano anche i suoi personaggi, creature giocose che alla fine sarebbero apparse sulle copertine delle sue cassette, intensificando il rapporto ossessivo con le creature che popolavano il suo mondo: il suo biglietto da visita inizialmente era un bulbo oculare fluttuante che in seguito chiamò Dead dog’s eyeball (l’occhio di un cane morto; un’immagine proveniente da “I Am the Walrus” dei Beatles. Gli occhi erano una costante in continua evoluzione nei disegni di Johnston, Nella fitta mitologia personale che fonda il suo lavoro, gli occhi erano simboli di innocenza e paranoia. Fu così che Jeremiah the Frog; divenne la sua mascotte ufficiale. Una rana con due occhi allungati che celebra la copertina del suo album del 1983 “Hi, How are You”.
Daniel scarabocchiava continuamente: migliaia di taccuini, fogli e libri; sua madre gli comprava in continuazione quaderni. Una forma ossessiva con cui curava le depressioni sempre più severe che nell’adolescenza lo colpivano. Le copertine disegnate a mano, con una penna biro, erano un’emanazione delle fantasie infantili: rane, fantasmini, pugili sprovvisti della calotta cranica.
L’autenticità della produzione musicale di Johnston si può allargare senza problemi alle espressioni grafiche, poiché la matrice è la stessa. Se l’immediatezza delle produzioni lo-fi dei primi anni Ottanta arrivavano dritte al cuore degli ascoltatori; i fumetti, forse in maniera più “crudele” erano una rappresentazione ancora più intima della sofferenza.
Considerato leggenda e precursore del lo-fi, icona del folk che ha ispirato Kurt Cobain, Matt Groening e Tom Waits; Johnston, che ha combattuto la schizofrenia e il disturbo bipolare durante la sua vita, è sempre stato difficile da classificare in termini artistici rigorosi.
Il lavoro di Johnston è la prova che non è necessario uno studio di registrazione stravagante, Auto-tune o altro, per scrivere una canzone profondamente significativa. La sua figura rara, da outsider o meno, è stata celebrata durante la sua vita ed ha raggiunto un pubblico di culto più di massa di quanto la maggior parte degli artisti contemporanei affermati avrebbe mai potuto immaginare.

Come altri grandi della musica e dell’arte, Johnston si è conquistato un posto, e la sua morte improvvisa nel settembre 2019, dovuta a un infarto; lascia un vuoto enorme in un tempo come il nostro, nel quale la rappresentazione spettacolare del sé e l’artificiosa creazione di un mondo fatto di immagini hanno quasi destituito d’importanza qualsiasi manifestazione d’autenticità artistica; un promemoria disarmante di ciò che è più significativo nell’arte, nella musica e nella vita.