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Omar Souleyman a Bolzano. Aprono i Mashrou’ Leila. L’electro pop arabo che hai sempre desiderato e non hai mai osato chiedere.

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Interessante serata quella del 24 settembre 2016, a Bolzano. Nell’ambito del Festival di cultura contemporanea Transart, la kermesse sui linguaggi del contemporaneo dell’Alto Adige, si esibisce il celebre Omar Souleyman. Aprono i Mashrou’ Leila.

Proveniente dall’ambiente dell’indie rock libanese, i Mashrou’ Leila sono saliti agli onori della cronaca per i loro testi critici sulla società e sulla politica libanese, sul sesso e sull’amore. Chiedono la tolleranza per l’amore verso lo stesso sesso, si fanno portavoce dei diritti nel mondo. Le loro canzoni sono spesso associate alle rivolte arabe. Sono Hamed Sinno come lead vocalist, Haig Papazian al violino, Carl Gerges alle percussioni, Ibrahim Badr al basso e Firas Abou Fakher alla chitarra.

Omar Souleyman è un musicista del genere dabke originario di un paese nel nord-est siriano. Il suo percorso è peculiare: cantante di matrimoni, usa la sua stessa etichetta discografica e vende i dischi alle bancarelle. Viene notato in Siria da un musicologo e discografico iracheno naturalizzato americano, Mark Gergis, a fine anni ’90. Negli anni Zero un successo inaspettato lo porta sui palchi di mezzo Occidente, facendolo acclamare dai guru dell’elettronica mondiale.

La location, preparata per l’occasione, è un capannone delle Ferrovie dello Stato. L’atmosfera è unica: musica dark ambient, sperimentazioni techno, synth. Poi, dubstep sulle più famose canzoni del Solimano.

La media di età si aggira sulla trentina. L’atmosfera è radical chic.

Alle 22:30 entrano i Mashrou’ Leila. Violino, chitarra e basso elettrici, percussioni, voce. Un video in sottofondo crudo, a tratti surrealista, offre la cornice della performance del gruppo.

La voce del vocalist Hamed Sinno si fa forte di virtuosismi, usa il megafono per saturarla. “Grazie Bolzano, è la prima volta che veniamo qui. Siete grandi”. Corpi di donne, figure angeliche si insinuano sullo schermo. Le parole provengono dal medio oriente, ma le sonorità sono ben comprensibili alle orecchie d’occidente: folk, alternative rock, indie pop. Poliedrici, mai scontati.

Si potrebbero paragonare agli italiani CSI e Bandabardò, l’estetica del cantante ricorda gli anni migliori di un ruggente Freddy Mercury.

Parte un video a cavallo di una figura alata, fra bar e attraverso una città utopica, disegnata quasi a malavoglia sullo schermo. Figure nude ballano, altre si baciano in modo volgare. Il corpo segue il ritmo, le performance sul palco regolano il passo, con Sinno che si lancia in balletti hip hop. Le chiusure delle canzoni spiazzano, risultano inaspettate.

Dark, più dark. Video saturato, prevalgono il bianco, nero e blu, con primi piani su foto scattate male. Una ragazza che balla, la telecamera che scende, si posa a terra.

Repeat. In loop.

Colori da discoteca una figura umana oscena dal volto coperto balla sinuosa come una tarantola.

Primi piani, ciak veloci.

Il vocalist mostra le sue doti liriche nella canzone seguente. Un portento, l’applauso dura minuti.

Mezz’ora di pausa. Nell’attesa, un dub delle canzoni più famose di Omar Souleyman. Il Soundcheck è preciso, la gente è carica dal gruppo che ha appena terminato.

All’01:00 di notte sale sul palco Solimano: rappresenta il contrappasso del gruppo precedente. Il palco si fa più casto: un tastierista e un cantante. Si spegne lo schermo.

Batte le mani, invita gli ospiti. Bahdeni Nami, Wenu Wenu, Warni Warni… la scaletta è quella delle canzoni che lo hanno portato al successo.

Le sue performance più conosciute si rifanno tradizionali, vengono fotografate con sound diversi da quelli proposti su Youtube. Il dancefloor potrebbe benissimo essere quello di un matrimonio. Le persone potrebbero benissimo essere degli invitati.

Nella vita è un uomo molto riservato. Questa sua personalità si svela anche sul palco: il suo è un genere di difficile comprensione per un occidentale. Sorride, guarda ad uno ad uno le persone della prima fila. Le sue canzoni sono dedicate ad ogni invitato. Ogni tanto il sorriso si smorza, diventa pensieroso, riflessivo. Poi ritorna ad essere il Solimano. La gente balla, si diverte.

Il virtuosismo tecnico viene affidato al tastierista, che esegue con rapidità e accuratezza i rapidi fraseggi acidi delle melodie delle canzoni. Il personaggio dello showman è statuario, fermo. Le sue movenze sono minimali. L’immobilità del solimano stride con la dinamicità del sound.

Un concerto mozzafiato, in una location estremamente accurata. Un plauso al dj set, dai ritmi sperimentali e difficilmente ascrivibili a un solo genere.

Menzione speciale allo staff di TransArt, per le emozioni che il loro festival sa proporre.

 

Michele Venuti – Onda Musicale

— Onda Musicale

Tags: Bolzano/Synth/indie rock/Michele Venuti
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