Nel 1936 Pier Paolo Pasolini è a Scandiano, ennesima tappa del peregrinare della sua famiglia al seguito di suo padre, Carlo Alberto, tenente di fanteria. Una foto di quei giorni lo ritrae insolitamente paffuto, vestito con dei pantaloni alla zuava, il violino sotto il braccio destro, l’archetto nella mano, la mano sinistra appoggiata ad un fianco.
Lo studio della musica occuperà un breve periodo della sua vita, ma la musica sarà il comune denominatore della sua produzione artistica. Saranno però gli anni dal 1943 al 1945, trascorsi in Friuli a Casarsa della Delizia, paese natale di sua madre Susanna Colussi, a marcare il gusto e la passione di Pasolini per la musica, complice l’amicizia con la violinista Pina Kalz sfollata anch’ella a Casarsa dalla Slovenia a causa della guerra. Più grande di Pasolini di una decina di anni, sarà lei a fargli conoscere Janàcek e poi Bach, le Sei sonate per violino solo. Lei gli impartirà lezioni di violino, raggiungendolo a casa, tra un’incursione aerea e l’altra.
Lei deve spicciarsi a insegnarmi a suonare. Bisogna che mi esprima in musica. Sento che la musica è il mio più vero modo di sentire”.
Questo scrive Pier Paolo Pasolini in Atti impuri, trasponendo in forma romanzata il contenuto dei Quaderni rossi del 1947. Immagina perfino una nuova terminologia che sostituisca alle espressioni di Adagio o Allegretto, per esempio, Straziato o Svenevole. E ancora, nuove note stonate e nuovi segni per indicarle. Non vi sarebbe caos però, “perché io mi trasporrei tutto nell’anima dell’usignolo, e non ne tradirei questa patetica dolcezza, questa ingenuità esasperante, quest’ordine della passione.”
Questo teorizzare testimonia del desiderio di Pasolini di vivere interamente, non solo come fruitore, della musica
Dalle lezioni e dall’ascolto delle musiche suonate dalla Kalz, Pasolini rimane fortemente colpito. Prima di tutti da Bach, per esempio dal II movimento della I sonata per violino solo, detto “il Siciliano”. Il dialogo tra alcune note stridenti e astratte ed altre basse e calde, gli appare come una lotta tra Cielo e Carne. La stessa che, negli anni trascorsi prima a Casarsa e poi, quando anche questa sarà troppo esposta ai bombardamenti, a Versuta frazione poco distante dove riparerà con la madre, animerà i sogni ed i tormenti del giovane di cui ancora nessuno o quasi sospetta l’omosessualità, nemmeno Pina Kalz il cui sentimento per Pasolini è più di una semplice amicizia.
Come Pasolini stesso ammette nella prefazione dello scritto, Studi sullo stile di Bach, non si può dire che conoscesse approfonditamente la musica
Ne subisce il fascino, le sue prove narrative ne vengono illuminate e la penna indugia in immagini e metafore che rivelano l’empatia con l’universo sonoro. Non sempre e non solo costituito da musica classica, ma anche da musica popolare, sia essa rappresentata dalle Villotte friulane, o dal canto a tratti sguaiato del popolo delle borgate. Ma è illuminante il fatto che ancor prima di realizzare Accattone (1961), pensando al film che avrebbe messo in scena, sapesse già di dover usare la musica di Bach. Il cui carattere epico, per il senso del sacro che la permea, e per il suo essere “la musica in assoluto”, gli pare la colonna sonora più adatta per fare strada al mondo di Accattone. La Passione secondo Matteo di Bach, che fa da contrappunto alla rissa di Accattone con il cognato, non solo una rissa tra due pezzenti, esalta l’epicità di una lotta degradante, attraverso la contaminazione fra la violenza della situazione e il sublime musicale che sfocia nel sacro. E lo stesso Coro finale della Passione secondo Matteo accompagna Accattone alla morte, l’unica vera libertà concessa dalla società a uomini senza dignità.
La musica è per Pasolini molto più che complemento sonoro delle immagini
È la proiezione stessa del mondo interiore dell’artista, un elemento vivo. Fa da contrappunto, buca “il piatto o illusoriamente profondo delle immagini dello schermo, aprendole sulle profondità confuse e senza confini della vita”. In Poesie della cenere del 1961 scrive:
Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti/ che io vorrei essere scrittore di musica/ vivere con degli strumenti/dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare[…]e lì comporre musica/ l’unica azione espressiva/ forse, alta, e indefinibile come le azioni della realtà.”
Così come Bach per Accattone, sarà Vivaldi a dominare le scelte per Mamma Roma (1962), in cui si alterneranno motivi classici, al magistrale duello di stornelli tra la Magnani ed il suo ex pappone. Di nuovo ne La ricotta, episodio firmato da Pasolini per RoGoPaG, si alterneranno il Twist di Rustichelli e la Sinfonia dalla cantata di A. Scarlatti.
Opere multimediali ante litteram
Attraverso l’uso, nelle produzioni a seguire da Il Vangelo secondo Matteo, alla Trilogia della Vita (Il decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte), di musiche eterogenee, classiche e popolari rielaborate abilmente da Ennio Morricone, i suoi film diventano delle opere multimediali ante litteram. Il cui centro è nel silenzio che domina la scena. Dice Laura Betti che Pasolini era intimorito e posseduto dalla musica. La chiamava “Sua maestà!” Il suo mondo musicale era un universo sonoro ed i suoi sensi captavano la più piccola nota di violino, di flauto o la voce impegnata a raccontare vita. Quella che affiora in forma musicale anche nei primi romanzi e nelle prime raccolte di poesie con l’attenzione rivolta al dialetto friulano, alla musicalità della lingua, della parola e del suo suono.
Ma anche nella sensibilità per le cosiddette canzonette, che meritano, secondo Pasolini, l’intervento di un poeta, di una musica e di un testo più belli. Egli stesso comporrà i testi per diverse canzoni musicate, da Ennio Morricone in Uccellacci e uccellini, da Domenico Modugno in Che cosa sono le nuvole, da Sergio Endrigo per Il Soldato Napoleone. Come testimoniato ancor meglio dalle scelte musicali del Vangelo secondo Matteo, compiute ben prima dell’inizio della lavorazione del film, si evidenzia in Pasolini una forma di contaminazione musicale, lui la definisce pastiche, che mescolando generi e musiche alte a umili ribadisce la tensione tragica presente già nelle sue prime composizioni. Mentre tornerà alla musica seria nell’Edipo re, Appunti per un film sull’India, in Teorema, a Bach e Morricone ne La sequenza del fiore di carta, del 1969.
Intervistato da Giorgio Bocca su “Il Giorno” del 19 luglio 1966, Pasolini dice:
Sa perché ho fatto del cinema? Perché non ne potevo più della lingua orale e anche di quella scritta. Perché volevo ripudiare con la lingua il Paese da cui sono stato cento volte sul punto di fuggire.”
Più che di una fuga si tratta del bisogno di creare una discontinuità nella barbarie politica, sociale e culturale che Pasolini scorge prima e meglio di altri. Una insofferenza che lo spinge ad andare ostinatamente controcorrente. Ciò lo rende affatto umano e attuale a dispetto del paludato gotha intellettuale dell’epoca da cui sfugge per vitalità di pensiero e per l’avidità di vita che lo allontana dall’immagine, non sempre precisa, dell’uomo oscuro e triste.
Pasolini è sempre in tensione tra Carne e Cielo
E’ sempre insoddisfatto di qualsiasi mezzo espressivo, della lenga furlana prima (quando a Versuta darà vita insieme con la Kalz, Nico Naldini ed altri alla Accademia della lenga furlana), come del dialetto romanesco poi, della parola, come dell’immagine, una frenesia che non è solo eclettismo. È il bisogno di genuinità che forse il Vecchio Continente non sa più restituirgli. Non a caso, fallito il progetto del film africano, Il padre selvaggio, sentirà il bisogno di fissare quell’idea nel documentario, Appunti per una Orestiade Africana, omaggio all’Africa, affidato alla musica jazz di Gato Barbieri, che già era nei versi conclusivi della poesia Frammento di morte, inserita nella raccolta La religione del mio tempo (1961) in cui si legge: “Sono stato razionale e sono stato/ irrazionale: fino in fondo./E ora…ah, lo stupendo e immondo/sole dell’Africa che illumina il mondo./Africa! Unica mia/ alternativa.
La collaborazioen con il Maestro Morricone
L’Africa incarna, quindi, le speranze non solo di tutti i popoli neri liberatisi dal colonialismo, ma anche la forza e la genuinità di cui l’Europa è ormai priva, offesa dal consumismo e dalla degenerazione morale, spirituale rappresentata nell’ultimo film, Salò, che segnerà l’ennesima collaborazione per la colonna sonora con Ennio Morricone, e che spingerà Pasolini a tornare alla parola scritta necessaria per raccontare, con Petrolio, il romanzo incompiuto di un’epoca e di un Paese vittima di troppi mostri capaci solo di divorare speranze, energie e sogni.
(a cura di Massimo Turtulici)