Musica

L’ “aria di rivoluzione” nel Battiato elettronico degli anni 70

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Franco Battiato ha attraversato, come un Picasso sonoro, diversi “periodi” nella sua intensa vita artistica.

Ma a differenza di quelli dell’artista spagnolo, i periodi di Franco Battiato non hanno avuto un colore marcato e caratteristico ma una tavolozza variegata, con tinte che si intersecavano tra loro.

Battiato e gli anni 60

Negli anni 60 Battiato pascolava in classifica con canzonette commerciali, che potevano essere buone per un ascolto di massa ma erano impantanate in mezzo a troppa concorrenza (più o meno) valida per poter sfondare del tutto. L’ artista siciliano, scelse poi di voler letteralmente fuggire da quel genere beat conciliante (e l’istinto di fuga gli venne mentre era in fila per andare sul palco del Festivalbar 1969 con “E’ l’amore” come raccontò poi divertito lui stesso) per rifugiarsi nello studio di nuove sonorità elettroniche a quel tempo del tutto sconosciute in Italia.

Gli anni 70 e la sperimentazione

Franco Battiato fece qualche esperienza semi-progressive con gruppi come gli Osage Tribe o i Genco Puro&Co. e decise poi di gettarsi in una nuova e coraggiosa carriera solista. Nel 1972 fu il primo musicista italiano a sperimentare il sintetizzatore inglese VCS3, un dispensatore di effetti elettronici che utilizzava degli oscillatori in tensione e lavorava per “sintesi sottrattiva” ( e tutta la musica di Battiato, anche quella da disco d’oro, avrebbe in futuro lavorato per sottrazione, togliendo gli orpelli in funzione dell’essenzialità elettronica sempre orecchiabile e creativa ma tuttavia mai banale o semplicistica). E siccome ai tempi non esisteva nessun Amazon, dovette volare a Londra per acquistarlo sul posto.

I suoi primi album sperimentali

Fu con questa innovativa carta d’identità sonora che il musicista di Jonia diede alla luce, nel 1972 e 73, i suoi primi due album sperimentali, Fetus e Pollution. Entrambi molto coraggiosi (il primo con un primo piano di un vero feto in copertina!) con musiche che esploravano la fantascienza biogenetica di Aldous Huxley (“Fetus” e “Meccanica” gli esempi più lampanti). Pollution lanciava addirittura una sfida ante litteram all’ inquinamento (con tanto di invito pubblicitario a spegnere per un giorno intero tutti i motori a scoppio presenti nella penisola), con pezzi già più centrati musicalmente come “Areknames” che dà la misura della sua capacità di usare il vocoder in modo psichedelico; “31 Dicembre 1999 ore 9” e “Ti sei mai chiesto quale funzione hai” con profezie inquietanti condite da uno scanzonato valzer ottocentesco di sottofondo. Su tutto spicca la title track “Pollution” in cui Battiato canta come fosse un canzone la definizione fisica di portata di un condotto e rompe in singhiozzi disperati verso la fine del pezzo, quasi a voler simboleggiare l’umanità che prende la terribile coscienza del fatto che sta iniziando ad autodistruggersi portando il pianeta con se.

“Sulle corde di Aries”

Nel 1974 viene pubblicato il capolavoro del Franco Battiato sperimentatore, ossia “Sulle corde di Aries”, denso di umori ed odori siciliani che il cantautore riproporrà spesso in alcune canzoni in dialetto ma anche nei sui film. Il disco è elettronico ed evocativo, una vera testa di ponte con il Battiato post cinghiale bianco che non sbaglierà un colpo nel mescolare elettronica, estetica e classifica. “Aria di rivoluzione” ti trasporta negli anni quaranta e quel verso “e per canzoni solo sirene d’allarme” sembra collegato a presa scart con “il rombo degli aerei da caccia che stona con il ritmo delle piante al sole sui balconi” de “Il re del mondo” e testimonia la voglia viscerale di rinascere dopo una guerra ( o dopo una pandemia…). “Sequenze e frequenze” invece è pura elettronica tribale nata molto prima che si cominciasse a chiamare world music qualsiasi tamburo battuto.

Nel 1975, si torna ad una sperimentazione più complessa e tecnicistica con “Clic”

Disco con un solo pezzo cantato, la psicoanalitica “No u turn” (“Per conoscere me e le mie verità, ho combattuto fantasmi di angosce con perdite di io”) e che contiene l’ipnotica ed inquietante “Probiedad prohibida” che sarà la sigla dello Speciale tg2 dei vent’anni a seguire (particolarmente demoniaca è anche la grafica).

Nella seconda metà dei ’70, lo sperimentatore Battiato sfocia in un minimalismo sonoro difficilissimo che gli aliena anche i pochi fan che lo seguivano e pubblica “M.lle le gladiateur” (1976), caratterizzato da due brani realizzati con la tecnica del collage, con l’effetto simile a quello che si poteva avere girando la manopola di una radio senza soffermarsi su nessun pezzo oltre i 3 secondi (con tanto di risvolto comico,  una parte di organo è stata infatti suonata sul maestoso strumento presente dentro al duomo di Monreale, con Battiato che riesce ad ingannare il parroco fingendosi un organista di fama, finchè quest’ ultimo non mangia la foglia e lo caccia via in malo modo).

Successivamente arriva “Battiato” (1977), utilizzabile solo per meditazione in stile Gurdjeff visto che consta di pezzi di circa 20 minuti della stessa nota suonata (da Antonio Ballista) con diverse variazioni del pedale, l’apparentemente più accessibile “Juke box” (1978, concepito come colonna sonora di uno sceneggiato su Brunelleschi) e “L’egitto prima delle sabbie” (1978) che è simile a “Battiato” ma risente dell’ influenza del maestro tedesco Karl Heinz Stockausen che impose al suo pupillo di iscriversi al conservatorio e gli diede un’ importante imprinting musicale che gli servirà poi quando si troverà a cimentarsi con “Genesi” e con “Gilgamesh”, le sue prime opere liriche.

Il sodalizio con Giusto Pio

Tutto ciò finirà quando Battiato stringerà un altro sodalizio fondamentale con il violinista e direttore d’orchestra Giusto Pio, risolverà che “la vera musica classica del nostro tempo è il pop” (parole sue) ed inizierà lentamente a scalare le classifiche, portando però sempre con sé la sua volontà ferrea di non essere mai banale o catalogabile e mettendo un soffio, anzi meglio un’aria di rivoluzione in ogni disco che andrà a realizzare.

(realizzato da Marco Giannini)

— Onda Musicale

Tags: Franco Battiato
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