Musica

Hejira, il viaggio secondo Joni Mitchell

|

“Egira”: termine che indica l’abbandono della Mecca da parte di Maometto e il conseguente trasferimento a Medina, nel 622 d.C. Un esodo, dunque; un viaggio compiuto dal profeta.

Lo stesso termine, Hejira è stato scelto dalla cantautrice canadese Joni Mitchell, al secolo Joan Anderson, come titolo del suo nono album in studio: i numerosi viaggi intrapresi dalla donna potrebbero averla fatta entrare, in qualche modo, in contatto con la cultura araba, ma come ha spiegato nel corso di un’intervista, “il termine Hejira è stato scelto più per indicare un nuovo atteggiamento, un cambiamento”.

E l’album Hejira un cambiamento lo segna

Il pianoforte, che dai primi album accompagna l’angelica voce dell’altrettanto angelica cantautrice, non trova spazio in nessuna delle nove tracce dell’album: leggenda vuole che le canzoni siano state composte nel corso di un viaggio in auto che la Mitchell ha intrapreso lungo tutto il territorio degli Stati Uniti insieme a due suoi amici: uno scenario alla Kerouac, in cui, per ovvi motivi di spazio, l’accompagnamento di un pianoforte non sarebbe stato possibile. Il tema del viaggio, quindi, e il distacco dal piano, strumento utilizzato nella maggior parte delle canzoni più cariche di pathos, sono paragonabili alla rottura dei vincoli tribali riscontrabile nell’egira, in linea con il nome che la cantautrice ha attribuito all’album.

Hejira si apre con Coyote, brano che descrive la breve relazione tra l’autrice del testo e Sam Shepard, drammaturgo conosciuto nel corso del Rolling Thunder Revue, tour di concerti tenuto insieme a Bob Dylan e altri grandi artisti nel 1975. Joni Mitchell descrive l’incompatibilità tra la vita dell’artista, presa tra registrazioni notturne e tour, e quella dell’uomo che invece desidera una vita più tranquilla e regolare. Purtroppo, Sam ‘Coyote’ Shepard, dovrà salutare Joni, la quale sceglie la vita senza orari dell’artista.

Amelia, la seconda traccia dell’album, narra la toccante storia di Amelia Earhart, una delle più grandi aviatrici della storia, se non la più grande in assoluto, la quale, come descrive Joni, “was swallowed by the sky / Or by the sea” [è stata inghiottita dal cielo, o dal mare]. Joni lascia il beneficio del dubbio, in quanto il corpo di Amelia non è mai stato trovato.

La terza tappa della Hejira di Joni è Memphis, al Beale Street, un tempo vero e proprio covo di band e personalità blues

La cantautrice, in Furry Sings the Blues, descrive il suo incontro con William ‘Furry’ Lewis, grande bluesman del passato, ormai bloccato all’interno del personaggio costruitosi nel corso della sua carriera da musicista. Joni ne dà una descrizione alquanto grottesca, tanto che lo stesso Furry non sembra gradire. Lamenta, tra le altre cose, anche il fatto che la Mitchell abbia inserito il suo nome all’interno di Hejira senza il suo permesso, e senza avergli pagato i diritti. Il pezzo è impreziosito dalla presenza di Neil Young all’armonica a bocca.

Ma la Joni Mitchell di Hejira non parla soltanto di viaggi e storie: in alcuni dei suoi versi trasuda sensualità e passione

È il caso di Strange Boy, in cui la cantautrice racconta la breve ma intensa relazione con uno dei suoi compagni di viaggio, un ex soldato tanto intelligente quanto infantile. L’autrice non usa mezzi termini per raccontare le notti di passione trascorse in uno degli hotel lungo la sua Hejira, rimanendo, però, sempre fedele alla spiccata eleganza che l’ha contraddistinta sin dai primissimi album:

What a strange strange boy

I gave him clothes and jewelry

I gave him my warm body

I gave him power over me”

E dopo la passione di Strange Boy, si torna all’introspezione, alla ricerca di sé; in Hejira, title track dell’album, il viaggio diventa veicolo di scoperta, e, come se Joni andasse a scavare nel suo io più profondo, anche l’atmosfera, a livello musicale, diventa più cupa, con il basso freatless di Pastorius a farla da padrone. Nel brano, vengono narrate le ragioni per cui la cantautrice ha rotto con il percussionista John Guerin. Hejira tocca nervi ancora scoperti, tanto che, a detta della stessa Mitchell, è stato uno dei testi più difficili da scrivere: la malinconia, presente in gran parte della produzione della cantautrice canadese, è, qui, più forte che mai, in un continuo gioco tra realtà e illusioni.

La parentesi introspettiva prosegue con Song for Shannon, la traccia più lunga dell’album in cui Joni combatte, come in Coyote, tra il desiderio di libertà e la necessità di mettere radici e formare una famiglia. Il brano è impostato sotto forma di lettera inviata ad un’amica di infanzia della cantautrice, Sharon appunto, la quale, da bambina, ha studiato canto per poi abbondonare questa passione e stabilirsi in un ranch, con suo marito. Al contrario, Joni, ha sempre voluto una vita stabile, in campagna, ma è finita per avere la strada come casa, proprio grazie alla sua straordinaria voce.

Il basso di Jaco e la chitarra di Joni

Il basso di Pastorius, amalgamato alla perfezione alla chitarra di Joni, torna protagonista nella successiva Black Crow: nell’immaginario comune di libertà, l’uccello che si libra in volo è sicuramente l’animale più adatto per descrivere una persona priva di catene come la cantautrice canadese. Anche nella copertina del vinile, la cantautrice viene ritratta mentre pattina sul ghiaccio, con un mantello sulle spalle, rimandando proprio al corvo nero della canzone.

Blue Motel Room è un blues sul tira e molla tra la cantautrice e, ancora una volta, il percussionista John Guerin. Anche qui, il colore blue è il protagonista, simbolo di tristezza nel vedere l’uomo che ama circondato da belle donne ad ogni concerto.

I know that you’ve got all those pretty girls coming on

Hanging on your boom-boom-pachyderm

Will you tell those girls that you’ve got German Measles

Honey, tell them you’ve got germs”

L’album si dirige verso la sua naturale fine con Refuge of the Roads, un titolo che, per chi conosce Joni Mitchell e la sua discografia, è decisamente autobiografico. In quest’ultima traccia, Joni racconta la sua breve permanenza con un friend of spirit, che tra le altre cose, pare avrebbe contribuito nell’allontanare la cocaina dalla vita della donna.

Se Blue è l’album della consacrazione, e oggi, a 50 anni di distanza è ancora in testa alle classifiche, Hejira è l’album della maturità.

Una maturità innanzi tutto sonora, con sfumature jazz che arricchiscono la produzione della cantautrice, conferendo la ricercatezza che la giovane canadese ha sempre cercato nella sua musica. Una maturità vocale in cui l’angelica voce ascoltata nei primi album della cantautrice inizia a sporcarsi, assumendo un timbro più scuro: sicuramente la vita di eccessi ha avuto un ruolo non secondario in questo.

Ma insieme all’aspetto musicale, cresce anche la consapevolezza nei testi; la malinconia tanto sofferta in Blue, ora diventa elemento di riflessione e di crescita personale: alla toccante tristezza descritta nel 1971, in Hejira, a cinque anni di distanza, Joni Mitchell abbina storie cantate con una naturalezza e una scorrevolezza che la confermano nell’olimpo della musica Folk mondiale.

— Onda Musicale

Tags: Joni Mitchell/Bob Dylan
Segui la pagina Facebook di Onda Musicale
Leggi anche

Altri articoli