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Rino Gaetano – Il menestrello italiano amato da tutti e scomodo a tanti

Rino Gaetano

Intervista a Michelangelo Iossa, autore di Rino Gaetano. Sotto un cielo sempre più blu (Hoepli, 2021), presente nella collana Storia della canzone italiana – I protagonisti, diretta da Ezio Guaitamacchi.


Gli occhi azzurri di Michelangelo Iossa brillano quando parla degli artisti a cui è devoto: sono, principalmente, i Beatles, George Harrison e Rino Gaetano. Ho avuto modo di constatare il carattere coinvolgente di ogni suo racconto, dovuto sia da un’accurata competenza nei confronti degli artisti da lui citati, che da una profonda passione nei confronti delle loro storie. Caratteristiche ampiamente presenti nella sua ultima pubblicazione – Rino Gaetano. Sotto un cielo sempre più blu – uscita in piena pandemia.

Cosa ti ha lasciato Rino Gaetano?

1978, Sanremo, avevo 4 anni. Ricordo distintamente la sera in cui Rino Gaetano canta “Gianna”, il 28 gennaio del 1978, con il suo cilindro (regalatogli da Renato Zero), il papillon, e l’ukulele. All’epoca, il Festival di Sanremo iniziava regolarmente alle 20:30, per cui, intorno alle 21:00, orario in cui io ero ancora sveglio, vidi questo “giullare” salire sul palco e cantare di questa Gianna. Il giorno dopo, chiesi espressamente a mia madre di comprarmi il singolo. A casa si ascoltava molta musica (Bruno Lauzi, Claudio Baglioni, Fabrizio De André, Lucio Battisti, Sergio Mendes, i Queen,  Nat King Cole, George Gershwin) e la figura di Rino Gaetano mi colpì fin da subito: era – per me – completamente fuori dagli schemi, e proprio questa marcata differenza con i cantautori di allora ha generato in me una grande attrazione nei suoi confronti.
Quello che mi ha lasciato Rino Gaetano si può descrivere come una grande “trappola”: il cantautore calabrese propone canzoni che ti si appiccicano addosso, e tu non sai nemmeno perché le stai cantando. I tedeschi parlano di “ohrwurm” [ = “verme dell’orecchio”], una specie di “tarlo” che entra nel tuo orecchio e ti ritrovi a cantare “Nuntereggae più”, “Gianna”, “Ma il cielo è sempre più blu”, “Berta filava”, “Sfiorivano le viole”, e tanti altri brani.
Insomma, Rino Gaetano si presenta con il sorriso sulle labbra, e – allo stesso tempo – lancia bordate contro l’Italia, la storia, i personaggi e i costumi; una specie di “cavallo di Troia” che nasconde al suo interno delle verità che, celandosi dietro musica “spensierata”, sono pronte a colpire – in tutti i sensi – ogni tipo di ascoltatore. Ad esempio, la Berta di “Berta filava” è in realtà una rappresentazione di Aldo Moro che tesse la tela delle alleanze politiche: dietro i nomi dei Mario e Gino citati nel brano si celano i ministri Tanassi e Gui. Un brano, quindi, ricco di connessioni molto profonde con la storia italiana di quel periodo. Altri esempi sono gli affiliati (i “fratelli”) della cosca P2 (in “Mio fratello è figlio unico”), oppure il rapido Taranto-Ancona, riferito al treno dove si incontravano gli affiliati della P2 per condurre i loro affari più nascosti.
Si può effettivamente dire che è stato il primo cantautore che ha avuto il coraggio di denunciare in maniera così diretta e schietta le contraddizioni sociali dell’Italia degli anni Settanta. Una vera e propria denuncia sociale cantata con il sorriso sulle labbra. Un altro esempio è “Nuntereggae più”, una canzone piuttosto pesante nei contenuti. Nel 1978 Rino è ospitato in tv da Maurizio Costanzo nel talk show “Acquario”, insieme a Susanna Agnelli, due nomi da lui citati nel brano. Costanzo lo descrive come “un ragazzo a cui piace comporre le canzoni a elenco”, una tecnica utilizzata dal cantautore in brani come “Gianna” e “Ma il cielo è sempre più blu”. Questo commento, quasi dispregiativo, cambia completamente significato: una “canzone a elenco” che diventa una hit era impensabile a quel tempo, e, invece, Rino Gaetano, anche in omaggio allo scrittore francese Georges Perec, riesce a mettere quell’elenco di nomi in metrica, senza far perdere nulla del senso del brano, riuscendo nell’impresa di far cantare la gente nonostante la poca convenzionalità “pop” di certe sue canzoni.
La lungimiranza del cantautore calabrese fa sì che una canzone come “Nuntereggae più”, nasconda una profezia ormai avvenuta già da qualche tempo: la “spettacolarizzazione della politica”. Confermato anche da Renzo Arbore: “Oggi ‘Nuntereggae più’ sarebbe un pezzo monumentale. Rino Gaetano ci fece capire, come una profezia, che la politica sarebbe diventata “show-business”, con i politici che progressivamente diventano figure di spettacolo”. E questo elemento lo racconta soltanto Rino Gaetano.


Nel libro parli di chanson vérité. A cosa ti riferisci?

La nuova canzone elaborata da Rino Gaetano è un tipo di forma-canzone davvero atipica. Infatti, il termine “chanson vérité” rimanda al concetto di “trovieri” e “trovatori”, ovvero musicisti del Medioevo che allietavano le corti con canzoni e poesie impregnate di amor cortese e satira sociale. La conferma di tale concetto arriva dallo stesso Rino: “Cerco di scrivere canzoni ispirandomi a discorsi che si possono fare sui tram, in mezzo alla gente, dove ti rendi subito conto dell’andazzo sociale. […] Non voglio dare insegnamenti, voglio soltanto fare il cronista”.
Ho utilizzato un termine francese, perché è viva la connessione tra la sua poetica e le chansons del Medioevo. Ad esempio, la “Chanson de Roland” parla de “Le donne, i cavalier, l’arme e gli amori”: non si parla, quindi, solo dell’amore, ma anche del potere politico-sociale, rappresentato dai cavalieri e dalle armi. Rino Gaetano altro non è che un “cronista-musicista” che utilizza la “chanson véritè” come suo principale strumento di espressione artistica.


I contesti storici di Rino Gaetano.

1. Il profondo sud degli anni Cinquanta: la sua Crotone, luogo di nascita di Rino.
Il profondo sud degli anni Cinquanta è in fase di mera ricostruzione: martoriata dalla guerra, si avvicina lentamente a quello che poi chiameremo “boom economico”, il miracolo che canterà Domenico Modugno nel 1958 – “Nel blu dipinto di blu”. Rino Gaetano, quindi, viene da un sud che ancora non è brillante, collegato ancora alla prima metà del Novecento, con un’agricoltura ancora predominante e i bambini che giocano alla guerra accanto ai residui bellici. Gli anni vissuti a Crotone (1950-59) sono molto formativi, poiché sono gli anni in cui Rino fotografa il Sud con la sua sensibilità, capisce il valore della famiglia (essendo cresciuto con i nonni di Cutro), e scopre l’inclinazione naturale per la musica ascoltando “Ufemia” di Natalino Otto. La sorella di Rino, Anna Gaetano, dichiarerà in seguito: “Rino ha scritto diversi pezzi dedicati al suo amato sud: ‘Ad esempio a me piace…il sud’ e ‘Anche questo è sud’. Sembra descriverne usanze e problemi con ammirazione e oggettività allo stesso tempo”.
2. Trasferimento a Roma: il seminario della Piccola Opera del Sacro Cuore di Narni.
Nel marzo del 1960, quando Rino aveva appena dieci anni, la famiglia si trasferisce a Roma: il padre Domenico Gaetano trova un impiego nel quartiere capitolino di Montesacro. In realtà, si trasferisce per finta, dato che viene subito iscritto al seminario della Piccola Opera del Sacro Cuore di Narni (in provincia di Terni), dove frequenta i 3 anni delle medie. È forse lì lo snodo della sua vita. In questo periodo non solo si appassiona al Teorema di Pitagora (elemento di connessione con la sua terra d’origine e con la scuola pitagorica di Crotone), ma scopre il poema dantesco. Il risultato s’intitola “E l’uomo volò”, il suo primo poema di ispirazione dantesca, realizzato all’età di tredici anni. Tale contesto lo rende diverso da tutti i cantautori dell’epoca: nessuno di loro aveva frequentato un seminario. Rino, invece, si avvicina a una cultura classica, nel senso stretto del termine.
3. Il ritorno a Roma: Rino si trova al momento giusto nel posto giusto.
Tra gli anni ’60 e ’70, Roma è il fulcro dell’attività musicale italiana. Il contesto in cui lui lavora a Roma è rappresentato dalla Roma dei locali notturni e la Roma del Folkstudio (dove incontra De Gregori, Venditti, Bassignano, e tanti altri). Altro contesto importante per Rino Gaetano è la scena teatrale; a differenza di De Gregori, Venditti, Dalla, Baglioni, Cocciante, lui è anche un attore: studia Eugène Ionesco, Samuel Beckett, Vladimir Majakovskij, Georges Perec, e recita nel ruolo della volpe nel “Pinocchio” di Carmelo Bene. Infatti, se ci fai caso, ogni sua esibizione non è solo musicale; ha sempre un quid teatrale. Se guardi “Gianna” a Sanremo, è un momento di teatro: lui sale sul palco con una divisa, si fa affiancare dai “Pandemonium” e interagisce con il pubblico, creando una pura interazione teatrale. Rino ha una “vis scenica” paragonabile solo a Modugno in Italia, il quale rivoluzionò la gestualità dei cantanti di Sanremo aprendo le braccia nel ritornello di “Nel blu dipinto di blu”, creando, nel 1958, una nuova forma di teatro, sfruttando appieno il mezzo televisivo (quella fu la prima edizione di Sanremo in diretta televisiva). Piccola ma significativa coincidenza: l’esecuzione teatrale di “Gianna” comparirà sugli schermi della Rai giusto 20 anni dopo quella del capolavoro di Domenico Modugno.

In cosa differisce Rino Gaetano. Sotto un cielo sempre più blu (Hoepli, 2021) dagli altri?

Lo studio su Rino Gaetano è iniziato abbastanza tardi rispetto a quando lui è morto: la vera ricerca bibliografica intorno a Rino inizia nel 2011, in occasione dei trenta anni dalla sua scomparsa. Va detto che la saggistica attorno a Rino Gaetano si concentra su singoli aspetti. Ad esempio, c’è l’avvocato campano Bruno Mautone che ha scritto tre libri soltanto sugli aspetti oscuri legati alla morte di Rino Gaetano (“Chi ha ucciso Rino Gaetano? Il coraggio di raccontare: un’indagine tra massoneria, servizi segreti e poteri economici”, “Rino Gaetano. Segreti e misteri della sua morte. L’ombra dei servizi segreti dietro la morte di Pasolini, Pecorelli e Gaetano”, “Rino Gaetano. La tragica scomparsa di un eroe”).  L’incidente automobilistico che gli ha tolto la vita nel 2 giugno del 1981 ha sicuramente degli aspetti misteriosi. Da “non-complottista”, sono convinto che la causa della sua morte sia stata un banale colpo di sonno, come hanno certificato tutte le autopsie effettuate. Quello che mi sento di dire, invece, è che la morte di Rino Gaetano ha fatto comodo a molte persone, poiché il suo essere cronista-musicista non era apprezzato da tutti, soprattutto dai soggetti della sua critica sociale.
Poi, ci sono libri che si occupano soltanto della sua poetica; altri, invece, solo sui suoi scritti, come ad esempio “Rino Gaetano. Ma il cielo è sempre più blu: pensieri, racconti e canzoni inedite” (a cura di Massimo Cotto), che raccoglie insieme la materia scritta di Rino (taccuini, appunti, quaderni); infine, altri che approfondiscono solo alcuni aspetti, ad esempio gli anni del Folkstudio.
Questo libro – “Rino Gaetano. Sotto un cielo sempre più blu” (Hoepli, 2021) – forse perché inserito nella collana “Storia della canzone italiana – I protagonisti”, diretta da Ezio Guaitamacchi, organizza la materia in tutti i suoi aspetti: il giovanissimo Rino Gaetano che studia a Narni, l’uomo del Folkstudio, il protagonista della vita discografica e radiofonica italiana degli anni Settanta, ma, anche, il Rino Gaetano uomo del sud, legato alle sue radici, legato ad un certo modo di fare scrittura, legato anche al suo amore per il teatro, e per Bob Dylan, i Beatles, i Nomadi, o per Ricky Gianco, Adriano Celentano e Gian Peretti, e, anche, il Rino Gaetano che si mette di traverso nella vita politica e storica italiana degli anni Settanta, denunciando le alleanze di Aldo Moro, la P2, il mondo dello spettacolo e della politica (quel contesto storico messo in risalto dalla propria “chanson vérité”, suo audace e tagliente marchio di fabbrica). Basti pensare che, per il Festival di Sanremo del 1978, Rino Gaetano voleva portare “Nuntereggae più”, non “Gianna” (la scelta finale, più “politically correct”). L’aspetto interessante è che anche “Gianna” diventa protagonista di un caso molto singolare:è la prima volta che la parola “sesso” è pronunciata sul palco dell’Ariston. Anche se meno “pungente”, “Gianna” è il suo “cavallo di Troia” in diretta nazionale: si tratta di un brano allegro ed orecchiabile, che “riesce a saltare di bocca in bocca in pochissimi minuti, conquistando praticamente tutti”. Di lì a poco, sarà distribuito sul mercato “Nuntereggae più”, che diventerà il brano del Festivalbar, il tormentone dell’estate. L’unica concessione che Rino attua è la rimozione del nome di Aldo Moro, per rispetto alla scomparsa del presidente della Democrazia Cristiana, ucciso il 9 maggio del 1978 dalle Brigate Rosse. Un gesto di grande attenzione umana nei confronti della sua Italia, oggetto di critica ma anche di profonda gratitudine, come si evince da due canzoni in particolare: in “Aida” canta “Aida come sei bella”, riferito all’Italia; nel 1981, durante la sua ultima apparizione televisiva canta: “In fondo è bello però, è il mio Paese e io ci sto” (“E io ci sto”).


Rino Gaetano, i Beatles e Isn’t It A Pity di George Harrison.

Il triennio delle medie di Rino Gaetano coincide con la visione in tv della famosa intervista di Gianni Bisiach ai Beatles,del novembre del 1963. Questa intervista è talmente importante – all’epoca nessun italiano aveva ancora visto i Beatles, nonostante fossero in attività già da qualche anno – che oggi è inserita nell’Archivio storico della Presidenza della Repubblica: è considerata una delle interviste più importanti del Novecento per l’Italia.
Come milioni di ragazzini, Rino ascolta i primi brani Beatles e se ne innamora. Ha in regalo una chitarra e inizia a suonare i loro pezzi, imparando man mano gli accordi. Poi scopre Bob Dylan, i Nomadi, Rick Gianco, Adriano Celentano, i Gufi, Gian Peretti, Jannacci e Fabrizio De André, ma i riferimenti chitarristici iniziali rimangono i Beatles e Bob Dylan. Tali riferimenti sono confermati nella canzone “Ciao Charlie”, dove elenca i suoi miti giovanili sopracitati, ringraziandoli esplicitamente.
Rino Gaetano era molto amante, in particolare, del chitarrista solista dei Beatles George Harrison, reo di aver portato la spiritualità nelle canzoni.  L’omaggio harrisoniano è presente nel suo primo singolo “Tu, non essenzialmente tu”, dove la struttura armonica della strofa cita “Isn’t It A Pity” di “All Things Must Pass” – disco che quest’anno compie 50 anni. C’è da dire che Rino ha sempre amato i Beatles per tutta la sua vita: la sua ultima avventura musicale è stata il “Q Concert”, un EP del 1981 realizzato insieme a Riccardo Cocciante e il gruppo New Perigeo, a cui seguì un tour in cui l’insolita formazione canta anche “Imagine” in onore di John Lennon, morto l’8 dicembre del 1980. Non fu solo la morte di John Lennon a “shockarlo”; ventidue giorni prima del suo tragico incidente automobilistico, morì un altro dei suoi miti: Bob Marley.


Cosa prevedi per il futuro editoriale post-pandemia?

La pandemia ci ha abituato ad avere dimestichezza con le grandi librerie online: considerando il tempo “forzato” a casa, c’è stata una crescita della lettura dei libri – e non solo: ad esempio sono aumentate le vendite online di chitarre e di strumenti musicali in genere – consolidando un “rapporto artigianale” conseguente al rapporto fisico con i “manufatti artistici”. Mi piace ricordare che i vari Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio si definivano “artisti-artigiani”. Ad una prima impressione, è una definizione che può far ridere, considerando che le loro opere sono “de facto” patrimonio dell’umanità, ma ci tengo a sottolineare il concetto di “faber” associato all’artista, inteso nel vero senso della parola: “facitore, artefice, capace di fare o creare qualcosa”. Così come Leonardo conosceva i pigmenti prima di dipingere, e Michelangelo, invece, le proprietà del marmo prima di lavorarlo, è doveroso e utile conoscere il lavoro che c’è dietro l’editoria. Dietro un “prodotto industriale”, che può essere un disco, un libro, un vinile, o, addirittura, un mp3, ci sono creatività, autori, compositori, sound engineer, studi di mix e mastering, studi di registrazione, e, infine, musicisti che suonano, che sono contemporaneamente artisti e artigiani.
Perché l’artigianato è importante anche al fianco dell’arte e dei talenti? Te lo spiego con un singolare aneddoto. 30 gennaio 1969: ultimo concerto dei Beatles sul tetto della Apple (il leggendario “The Beatles’ rooftop concert”). Era una giornata invernale a Londra, e c’era un vento molto forte. George Martin e Geoff Emerick, coloro che avevano registrato tutto il meglio della musica dei Beatles, non si erano resi conto che il vento entrava nei microfoni rischiando di compromettere la performance vocale dei “Fab Four”. Un giovane Alan Parsons ebbe la geniale intuizione di coprire i microfoni con delle calze in nylon, salvando così il concerto più iconico dei Beatles con un’azione d’ingegno artigianale. Così come dietro ai Beatles c’è una squadra di persone e di grandi talenti tecnici che servono a valorizzare il loro lavoro, lo stesso discorso vale anche per i Pink Floyd, Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Nirvana, e così via.
Dietro un libro come “Rino Gaetano. Sotto un cielo sempre più blu”, c’è un autore; ancor prima, c’è un curatore di una collana (Ezio Guaitamacchi); ancor prima, dei responsabili editoriale (Andrea Sparacino e Maurizio Vedovati). Accanto al libro, poi, c’è il lavoro dell’autore che intervista una cinquantina di persone. Compiuto il libro, c’è un “artwork designer” che disegna il libro (Sara Taglialegne). Una volta creato, il volume passa ai correttori di bozze. Il libro presenta oblò, box, colonnine della cronologia e ha, quindi, più piani di lettura. Poi, c’è la scelta delle foto, che sono successivamente acquisite per il libro. Infine, c’è la distribuzione del libro. Dietro le centosessanta pagine del libro, c’è un lavoro di decine di persone, ed è giusto che tale aspetto si conosca. Il futuro dell’editoria, per me, è la valorizzazione della sua filiera, e sono convinto che avranno vita facile quelle case editrici che riusciranno a creare una “factory” attorno a loro.
Si crea un circolo virtuoso laddove gli autori si stimano e si conoscono tra loro: Ezio Guaitamacchi sceglie, ad esempio, Carmine Aymone, Donato Zoppo, Michelangelo Iossa e Matteo Guarnaccia, non soltanto perché conosce il loro lavoro, ma perché sa che, se deve creare una collana, deve essere presente in essa una somiglianza di intenti: l’attenzione all’approfondimento, alla cura del libro, alla cronologia dettagliata degli eventi, alle note.
Ad esempio, ho “sistemato” la questione irrisolta dell’iscrizione alla SIAE di Rino Gaetano: mentre le altre biografie indicavano il 1972 come data di iscrizione, ho scoperto, intervistando direttamente i dirigenti della SIAE e analizzandone gli archivi che tale iscrizione è avvenuta nell’aprile del 1973, un mese prima dell’uscita del singolo “I love you Maryanna”. Questo lavoro di “sistematizzazione virtuosa” è il frutto della creazione di una “factory” di autori e addetti ai lavori che si stimano tra loro. Ritengo che la HOEPLI possa vantarsi di aver dato vita in Italia a un vero e proprio collettivo virtuoso.


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Michelangelo Iossa – Biografia.


Giornalista e scrittore, collabora da quasi trent’anni con alcune delle più importanti testate italiane. Contributor del Corriere del Mezzogiorno – Corriere della Sera e di altri periodici del gruppo RCS, ha firmato reportage, special radiofonici e televisivi. Dal 1999 è docente presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli e cura due insegnamenti legati al mondo della comunicazione e il Laboratorio di Musicologia. Ha firmato libri su icone della musica italiana e internazionale, da Pino Daniele a Michael Jackson. Il suo ultimo volume è 007 Operazione Suono, dedicato alle musiche della saga cinematografica di James Bond. Iossa è tra i più autorevoli biografi italiani dei Beatles, a cui ha dedicato sei differenti libri pubblicati tra il 2003 e il 2016, e ha ricevuto il Premio per l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 2004.

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