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Allman Brothers Band, il mitico debutto del 1969

Allman Brothers Band nel 1969

L’Allman Brothers Band si forma nel marzo del 1969, sulle ceneri dei disciolti Hour Glass. Gregg e Duane Allman sono due fratelli con la musica nel sangue, gli altri componenti arrivano dai Second Coming e dai 31st of February.

Il rock negli Stati Uniti è già un fenomeno di massa, quando l’Allman Brothers Band si forma. Il Southern Rock, invece, ancora non esiste, ma a questo penseranno i due fratelli e la loro combriccola. In quel momento il movimento hippie è al massimo del suo splendore, il rock psichedelico prende sempre più piede e la Summer of Love non conosce ancora battute d’arresto.

Di qua dall’oceano la situazione è ancora più strutturata; il rock psichedelico è molto più complesso che dai cugini americani e va trasformandosi in qualcosa di ancora più cerebrale: il rock progressivo. Negli stati del sud degli Usa il sentire popolare è diametralmente opposto a queste tendenze intellettuali e progressiste. Duane e Gregg vengono infatti da Nashville, profondo Tennessee e patria del country, ovvero la musica più tradizionale e reazionaria d’America.

E Gregg e Duane sono così, incarnano lo spirito sudista in pieno; a loro non interessa che la musica porti messaggi universali, magari di pace e libertà, per loro la musica è l’occasione per ritrovarsi, far ballare i giovanotti del sud e prendersi una sbronza colossale. L’occasione, insomma, per divertirsi alla maniera dei buoni sudisti. Il loro pubblico è formato per la maggior parte dai cosiddetti redneck, ragazzi un po’ grezzi che amano ballare e fare casino; portano camicie a quadri, adorano la bandiera del Generale Lee, le macchine truccate e la birra.

Però i loro fan hanno orecchie buone, allenate al blues dei padri del genere e ad assoli di chitarra lunghi quanto le highway che attraversano quei panorami.

Gregg e Duane non hanno certo una vita facile; figli di un sergente dell’esercito, perdono il papà da ragazzini, quando viene ucciso da un autostoppista: non una rarità nella società americana. L’amore per la musica nasce ascoltando un concerto di B.B.King: “Fu uno spettacolo grandioso. – ricorderà Duane – Mentre lo guardavamo maturò in noi l’idea di diventare dei musicisti, di fare della musica l’obiettivo della nostra vita.”

Duane diventa in breve un formidabile chitarrista rock-blues, Gregg suona le tastiere, ma il suo grande dono è una voce roca e potente da far invidia a un bluesman nero. Cercano fortuna a Hollywood e la Liberty li mette sotto contratto facendogli incidere un paio di album a nome Hour Glass. L’etichetta si intestardisce cercando di cambiare l’immagine di ragazzotti del sud con quella di una qualsiasi band psichedelica e i due la prendono male.

“Non solo ci facevano vestire come degli sballati californiani, dei figli dei fiori smidollati e sempre fatti; dimostravano anche di non capire niente di musica. Così, io e Gregg ce ne siamo andati appena possibile e abbiamo fatto di testa nostra, dimostrando a quegli imbecilli della Liberty che nel mondo c’era spazio per una solida band di rock blues”.

Duane Allman

Così nasce l’Allman Brothers Band, innestando in formazione l’altra formidabile chitarra di Dickey Betts e il basso potente di Berry Oakley; altro segno distintivo è la doppia batteria, con Jai Johanny Johanson e Butch Trucks.

La band si fa subito una solida fama dal vivo: “Nessun gruppo riesce a essere eccitante dal vivo come noi; con due chitarre, due batterie, tastiere e basso riusciamo a esprimere una potenza davvero unica. E poi Gregg è il più grande cantante del secolo!” sono parole di Duane Allman. Il sound del complesso è un robusto mix di blues, rock, soul e qualche elemento preso dal jazz tradizionale e dal country. La ricetta è semplice ma fino ad allora nessuno l’ha perfezionata così bene, se non in parte i Creedence Clearwater Revival; il suono dell’Allman Brothers Band è però più sbilanciato sul rock-blues e si avvale della chitarra elettrica di Duane, a detta di molti il più grande talento del rock americano.

Duane è un virtuoso della slide, che ha imparato a suonare appena da un anno, a testimonianza del suo impareggiabile talento. L’aneddoto è gustoso: è il giorno del compleanno del chitarrista, nel 1968. Il giorno prima è caduto da cavallo, infortunandosi al gomito; Gregg gli regala l’ultimo disco di Taj Mahal e una bottiglia di Coricidin, un antidolorifico. Suona il campanello e lascia il tutto sulla veranda perché Duane ce l’ha con lui, gli attribuisce la colpa del suo incidente.

Passa un’ora o poco più e Duane, usando il flacone per suonare la chitarra slide, è già un campione di quello stile mai provato.
Ma per l’Allman Brothers Band è arrivato il momento del primo disco, e per noi di raccontarvelo.

Il disco, intitolato col nome della band, viene registrato in nove giorni agli studi dell’Atlantic di New York; siamo in agosto e il vinile uscirà a novembre. Il produttore è Adrian Barber e all’interno della copertina apribile troviamo i musicisti nudi, immersi in un ruscello come dei cowboy dediti al naturismo.

Allman Brothers Band si apre con Don’t Want You No More, cover dello Spencer Davis Group. Se il pezzo originale è un capolavoro di rhythm and blues in salsa british, Duane e soci sono formidabile nel tirare fuori tutto il potenziale blues del brano. Va detto, innanzitutto, che la versione sudista è strumentale, spogliata del cantato tipicamente britannico dell’originale; il riff rimane il medesimo ma con tutta la potenza in più che il rock-blues aveva innestato in pochi anni.

Passa qualche decina di secondi e l’atmosfera cambia però completamente, il ritmo si fa rilassato e ai limiti del jazz e parte l’organo di Gregg. Le chitarre si prendono poi la scena e duettano incrociandosi, cifra tipica dei primi Allman. La cavalcata va avanti per poco più di due minuti prima di cedere il passo – senza soluzione di continuità – a un rutilante slow blues. La chitarra ulula e il roco urlo di Gregg annuncia It’s Not My Cross ti Bear, un pezzo che incede con la forza dello standard e la sicurezza del classico istantaneo. La voce di Gregg Allman non sarà la più bella del secolo – come sostenuto da Duane – ma certo è degna dei grandi bluesman.

Sono poi le chitarre a prendere la scena. Il primo solo è appannaggio di Duane, dei fraseggi deliziosi che omaggiano Freddie King ed Eric Clapton con un suono chiaro e scintillante; tocca poi a Dickey Betts, con una parte un po’ più breve e con un suono più rotondo. La band chiarisce subito, con questi cinque minuti, che se si parla di blues duro e puro non ha rivali.

Con Black Hearted Woman siamo ancora in pieno campo blues, ma sono battute più saltellanti e ritmate, molto più debitrici a Jimi Hendrix e al soul che non ai mostri sacri delle dodici battute. Gregg dimostra ancora una volta le sue doti, mentre le chitarre riempiono ogni spazio con dei gustosi fill. Lo schema è il solito: break centrale con la chitarra che si prende la scena; nel finale un breve assolo delle percussioni e una parte in cui la voce doppia il riff di chitarra. Per essere dei conservatori del sud, il pezzo suona fresco e innovativo.

Il lato A si chiude con l’altra cover del disco, mentre gli altri pezzi sono tutti firmati da Gregg Allman; il brano è Trouble No More, versione attualizzata, ma neanche molto, del classico di Muddy Waters. Per la prima volta entra in scena l’incredibile chitarra slide di Duane, mentre per la ritmica spunta anche una chitarra acustica. Il tono è da fangosa palude del Mississipi e la voce di Gregg è – come sempre – nera al punto giusto. Gli assoli non ripropongono la slide, ma solo un breve intreccio tra Duane e Dickey.

La seconda facciata si apre con Every Hungry Woman, altro blues dall’incedere quasi funky, vicino a certe cose di Johnny Winter. La voce di Gregg è ancora più in primo piano, mentre le percussioni danno quel qualcosa in più che differenzia l’Allman Brothers Band. Gli intrecci di chitarra, che spesso si doppiano, inizia a essere quello che farà la – breve – storia del duo Allman-Betts.

Dreams è il pezzo più lungo dell’intero lavoro, sicuramente quello più psichedelico. Al di là delle dichiarazioni di Duane è qui chiaro che la band non disdegna strizzare l’occhio anche al genere allora sulla cresta dell’onda; le chitarre sono liquide e l’andatura rilassata è lo sfondo ideale – all’epoca – per certi trip lisergici. La cavalcata chitarristica di Duane rimanda ai suoni di Grateful Dead e Paul Butterfield Blues Band, ma anche agli amati Miles Davis e John Coltrane.

Il fantasma di Coltrane è presente a tal punto che Jay Johansson definisce Dreams come My Favourite Things con il testo.

Una bella parte di slide rende il tutto ancora più onirico; Dreams è un pezzo non troppo considerato nella discografia dell’Allman Brothers Band, ma certo ancora oggi da ascoltare con devozione. Eccezionale.

Chiude questo fantastico primo album Whipping Post, futuro cavallo di battaglia live della band. Il brano nasce dalla penna di Gregg come una ballata; con l’innesto nella band di Dickey Betts, l’arrangiamento prende quasi la via dell’hard rock. Gli intarsi di chitarra faranno scuola ovunque, sia tra gli stessi componenti per i futuri live, sia tra tanti epigoni più o meno degni.

Il disco ottiene un buon successo locale, tanto che Macon – la cittadina che fa da base – diventa un luogo alla moda tra i bikers; a livello nazionale le cose sono ben diverse. Nonostante buone recensioni – anche quella di Lester Bangs – l’album entra a malapena nella Top 200; è comunque abbastanza per dare un futuro alla band, che si prende il lusso di rifiutare l’invito dell’Atlantic a trasferirsi a New York o a Los Angeles.

“Volevano che ci comportassimo come una rock band e gli abbiamo semplicemente detto di fottersi” ricorderà in modo colorito Butch Trucks. L’anno seguente esce il magistrale Idlewild South, prima del celebre live al Fillmore che li consacra come miglior band dal vivo. Arrivano insieme anche i guai. I ragazzi del sud, tanto decisi nell’etichettare gli hippie come sballati sempre fatti, cadono a loro volta nella trappola delle droghe.

Ma i colpi più duri arrivano da fatalità: il 29 ottobre del 1971 Duane Allman muore in un incidente motociclistico a Macon. Passa un anno e la stessa sorte priva la band di Berry Oakley. I ragazzi andranno avanti, ma nulla sarà più lo stesso.

— Onda Musicale

Tags: Muddy Waters, Jimi Hendrix, B.B. King, Miles Davis, Creedence Clearwater Revival, Allman Brothers, Grateful Dead
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