Il rock italiano sta conoscendo un periodo di riscoperta, soprattutto attraverso il successo mondiale dei Maneskin; tanti sono però gli artisti che portano avanti il genere da anni e che meriterebbero più attenzione; oggi vi parliamo di Samuele Celenza e del suo progetto One Sam Band.
Samuele Celenza, deus ex machina di One Sam Band, è attivo da giovanissimo come chitarrista, dapprima nella natia Vasto, poi in ambito nazionale ed europeo; l’esordio è datato 1997 con un complesso chiamato Tributo Negativo. Negli anni successivi le prime soddisfazioni con la band dal curioso moniker dei Dolcetti. La vittoria in alcuni concorsi prelude alle prime registrazioni ufficiali e alla partecipazione all’Accademia di Sanremo.
Da qui in avanti, come accade spesso a chi tenta di farsi strada partendo da realtà locali, le esperienze si fanno molto diversificate. Suona prog e death metal con gli Hecatomb, partecipando anche a festival internazionali. Fa parte poi dei Vanara, inizialmente dediti a cover dei Deep Purple; il suo arrivo coincide con la scrittura di pezzi inediti, di stampo indie. Il periodo è coronato da Wrapped By Lighy & Shades, album di inediti.
Tra band, tentativi solisti e complessi di cover, arriviamo al 2017; con il brano inedito H2O partecipa alle semifinali nazionali del contest organizzato dalla BIM Music Network di Rimini, con la giuria presieduta da Mogol.
Nel 2020 esce infine Ins(H)ide, a nome One Sam Band, suo progetto solista.
L’EP è composto da cinque brani inediti dalle sonorità indie che strizzano l’occhio al miglior rock degli anni Ottanta e Novanta.
Il lavoro di One Sam Band si apre con Rebirth, una ballata che cresce lentamente fino a esplodere in un pezzo rock che evoca i tempi del grunge. Il ritornello cantato in falsetto fa pensare a Chris Cornell, più quello dello splendido disco a suo nome Euphoria Morning che non quello dei Soundgarden. La produzione è scarna, forse fin troppo, ma l’andamento è convincente e il respiro è quello dei grandi classici rock.
Si prosegue con un pezzo dall’andatura più sostenuta, Centuries, che fa pensare ai Placebo e a certo rock di stampo glam degli anni ’80; un po’ alla Billy Idol, per intenderci, tuttavia i rimandi di One Sam Band alla band di Brian Molko sono quelli più evidenti. Bello il ritornello, con un cambio d’atmosfera e la bella voce profonda in primo piano.
Il breve album di One Sam Band prosegue con In Mine, forse il climax del disco.
La risacca del mare introduce un delicato arpeggio, la voce e la chitarra acustica si aggiungono per una ballata rock quasi in stile sixties, melodica e delicata. Il brano cresce piano piano fino a sfociare in un ritornello epico. Qui parte l’assolo di chitarra, tuttavia il suono rimane un po’ troppo sullo sfondo per garantire un’adeguata resa emozionale; qui forse sarebbe stata più efficace un’esplosione maggiore del suono.
La ballata resta comunque da brividi.
La successiva Sacrified parte quasi come un pezzo di Simon & Garfunkel, con un dolce arpeggio di chitarra. Anche qui il crescendo passa per la chitarra acustica, per arrivare all’esplosione nel ritornello, epico e melodico come deve essere in una buona ballata rock.
Vengono alla mente band di rock radiofonico, potremmo citare i Nickelback nella loro accezione positiva.
La chiusura è per Noi Che, unico pezzo cantato in italiano da One Sam Band e sorta di cover di Sacrified con un diverso arrangiamento. L’assolo di chitarra del brano è forse il più incisivo dell’intero lavoro.
Concludendo, il lavoro d’esordio di One Sam Band è davvero ben scritto e suonato, al netto di qualche piccolo problema di produzione; considerando che il lavoro è autoprodotto con un piccolo budget, il margine di miglioramento è alto.
Quello che invece sorprende positivamente è la presenza di ottimi ganci melodici e di una scrittura rock che funziona benissimo.
Non rimane che sperare in questa sorta di Rinascimento rock all’italiana, con l’effetto Maneskin che potrebbe trascinare alla ribalta altri meritevoli artisti.