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Pulp: e se Different Class fosse il vero capolavoro del Britrock?

I Pulp nel 1995

Gli anni Novanta sono passati alla storia del rock britannico per la contrapposizione tra Oasis e Blur, band principali del Britrock. E se invece il disco migliore del movimento fosse Different Class dei Pulp?

Andiamo con ordine, dato che la storia dei Pulp inizia addirittura nei sempre presenti anni Settanta. Dopo gli anni Ottanta, in cui al di là di alcuni fulgidi esempi, il rock è stato un po’ cacciato nell’angolo, gli anni Novanta vedono un rifiorire del genere. L’Europa è stata la patria della cosiddetta New Wave, che ha prodotto fenomeni come Joy Division e – più in là – gli Smiths.

Il genere si è frammentato in mille movimenti, dando la stura al fenomeno dell’indie rock. E mentre al di là dell’oceano band dedite a un rock che mette assieme il suono grezzo di Neil Young con una feroce attitudine punk dà vita al grunge, in Gran Bretagna la questione è molto diversa.

Il disco a cui si fa risalire la nascita del Britrock è Suede, dell’omonima band inglese; subito saltano fuori una serie di complessi pronti a cavalcare l’onda del momento. Come detto, quelli che si affermano subito, dando vita a un dualismo che ripropone quello storico tra Beatles e Rolling Stones, sono Oasis e Blur.

I primi nascono attorno alle figure carismatiche – e parimenti litigiose – dei fratelli Gallagher; i Blur sono invece la creatura del versatile e visionario Damon Albarn. I primi sono un’evoluzione grezza del lato più rock dei Beatles, i secondi ne riprendono il lato più pop e sperimentale. Tra le due vie, improvvisamente, si mette in luce una band che calca le scene dal 1978, quella dei Pulp.

I Pulp sono la creatura di Jarvis Cocker, estroverso dandy alla perenne ricerca delle luci della ribalta; il cantante – che non ha nessuna parentela col celebre Joe – vanta una vocalità simile a quella di Robert Smith dei Cure e una carismatica presenza scenica.

Il suo atteggiamento provocatorio, la sua incredibile capacità espressiva e la scrittura ironica lo fanno sembrare quasi un Oscar Wilde trapiantato nella Londra degli anni Novanta. Dopo un inizio promettente all’alba degli anni Ottanta, con l’introvabile It, che suscita l’interesse di John Peel, i Pulp paiono perdersi.

I continui cambi di formazione, la totale indifferenza del mercato e un sound che mescola il pop d’autore francese, il synth-pop dei Pet Shop Boys e l’art rock dei Velvet Underground, non sfonda in classifica. La discografia, piuttosto frammentaria, si arricchisce di alcuni episodi negli anni Ottanta, fino a quando una congiuntura irripetibile e miracolosa lancia i Pulp nell’Olimpo del rock.

His ‘n’ Hears esce nel 1994 e mette in mostra una band finalmente matura, pronta a sfruttare il momento d’oro del Britrock. I Blur li vogliono come band di supporto in Usa e a maggio del 1995 il nuovo singolo, Common People, conquista la vetta della classifica. A Glastonbury un’altra coincidenza fortunata: gli Stone Roses, band principale in cartellone, danno forfait e i Pulp sono chiamati a fare da headliner.

Il successo è straordinario: finalmente Jarvis Cocker, a 33 anni, ha l’occasione di prendersi le luci e la sua rivalsa. L’uscita di Different Class, prevista per l’autunno, si preannuncia come il capolavoro di una band in stato di grazia.

Al momento delle registrazioni la formazione si è finalmente stabilizzata; oltre a Cocker, troviamo Candida Doyle alle tastiere, Russel Senior a chitarra e violino e Mark Webber alla chitarra. La sezione ritmica vede Steve Mackey al basso e Nick Banks alla batteria.

L’album, pubblicato con la Islands, originariamente sfoggia un set di dodici diverse copertine. Il suono – personalissimo – sembra tuttavia una vera quadratura del cerchio tra il rock grezzo degli Oasis, le sperimentazioni pop dei Blur e il glam degli Suede. Con in aggiunta la spiccata vene melodica di Cocker e il background electro che da sempre accompagna le prodezze della band.

Il lavoro si apre con Mis-Shapes, pezzo chiave della poetica di Jarvis Cocker, forse il più duro j’accuse verso la società britannica dell’intero canzoniere. Il testo, denso di giochi di parole, rappresenta quasi una vendetta della classe operaia, a cui Cocker rivendica l’appartenenza dopo anni di infruttuosa gavetta.

Il suono, sincopato e con passaggi epici, va in continuo crescendo, con la voce di Jarvis che sale senza che sembri voglia mai fermarsi. Un primo tassello perfetto per un disco che, come ogni buon capolavoro, non conosce cadute di tensione.

Pencil Skirt si muove su ritmi più sommessi e propone un testo allusivo e sensuale. La voce carezzevole di Jarvis Cocker snocciola una serie di versi decadenti, quasi da poeta maledetto, in cui tenta di traviare la ragazza oggetto delle sue attenzioni. Musicalmente la chitarra elettrica copre maliziosamente le soffuse linee melodiche.

La canzone viene però spazzata via dal pulsare elettronico della successiva Common People, uno dei più limpidi successi dei Pulp. Il brano cresce pian piano, accumulando strumenti e velocità come se fosse stata posta su un piano inesorabilmente inclinato. Il testo – metafora del successo e della società inglese – prende spunto da un episodio reale occorso a Cocker nel 1988; cantante spiantato senza una sterlina, il cantante venne fatto oggetto delle attenzioni di una ricchissima ragazza greca, curiosa di vivere come “una della gente comune”.

In un irresistibile crescendo – col bellissimo violino di Russel Senior nel climax – Cocker si prende gioco della ragazza e dell’alta società, con un brano dal potenziale commerciale irripetibile. I vocalizzi e lo spoken di Jarvis raggiungono vertici sublimi e il pezzo eserciterà un’influenza impareggiabile su tutto il pop britannico e non solo. Basti citare i bravissimi e nostrani Baustelle, spesso ai limiti del plagio verso melodie e atmosfere dei Pulp.

Il tempo di riprendersi da uno dei pezzi più geniali del pop anni Novanta, e arriva I Spy. Il brano nasce stavolta da una riflessione di Jarvis sull’improvviso successo, e sul fatto di ritrovarsi sotto la lente d’ingrandimento del pubblico; proprio lui che – dichiarerà più volte – ha come passione quella di osservare la gente senza essere visto.

L’inizio vede lo spoken sussurrato di Cocker su una base epica che pare a metà tra una OST di James Bond e la meravigliosa It’s a Sin dei Pet Shop Boys. Il brano esplode poi con l’ingresso della sezione ritmica, con Jarvis che alterna sapientemente vari registri interpretativi. Dopo l’inizio sussurrato, la sua voce si fa quasi rabbiosa e implorante, cavalcando una melodia perfetta ed epica. Un ennesimo capolavoro in un lavoro di capolavori.

E – manco a dirlo – ecco arrivare un altro pezzo da novanta. Disco 2000 è senza dubbio – con Common People – il brano più universalmente conosciuto dei Pulp; forte anche di un bel videoclip e di una straniante cover di Nick Cave. Il giro di chitarra, ormai proverbiale, ruba più di un’idea alla celebre Gloria di Umberto Tozzi, sebbene non segua nessuna accusa di plagio.

Il testo, all’insegna di una sottile malinconia che anticipa gli anni dell’eterna nostalgia da social che stiamo vivendo, narra un impossibile amore adolescenziale. La figura dell’adolescente che ama segretamente la ragazza più popolare della scuola, con cui è cresciuto insieme ma che non lo degna di attenzione, è archetipica del loser per eccellenza.

Difficile non vedere un’ennesima rivalsa del perdente dandy Jarvis Cocker verso un passato di sconfitte, visto sotto una luce romantica. La melodia, bellissima e senza tempo, sottolineata da una splendida chitarra elettrica, lascia senza fiato per la bellezza.

Difficile pretendere di più da un disco che è arrivato appena alla quinta canzone. Live Bed Show è invece ancora una piccola gemma di delicatezza e melodia. Gli Oh oh e la la di Cocker evocano il pop sixties, tra Beatles e Beach Boys, ma sempre con uno stile inconfondibile, che è puro stile Pulp.

Something Changed è una riflessione sui crocevia del destino. Un classico del pop senza tempo, con tanto di orchestra e una melodia delicata e irresistibile. Un brano che sarebbe potuto uscire allo stesso modo dalla penna di Burt Bacharach negli anni Sessanta o da quella di Elvis Costello un decennio più tardi.

Si prosegue con Sorted For Es & Wizz, una ballata synth-pop, forse più indecifrabile e frammentata del resto del disco. Un brano che è costato qualcosa più di una polemica per alcune allusioni alle droghe; polemiche, va detto, in cui Jarvis Cocker si è sempre trovato estremamente a suo agio.

F.E.E.L.I.N.G.C.A.L.L.E.D.L.O.V.E. è ancora un pezzo all’insegna di elettronica, atmosfera e spoken word. La successiva Underwear riprende invece le fila del discorso pop d’autore; di nuovo una ballata soffusa ed elegante all’inizio che esplode in un ritornello da stadio. Un brano perfetto che va avanti tra passaggi delicati e soft e improvvise accelerazioni.

Different Class si avvia alla fine con Monday Morning, pezzo che alterna un inizio quasi da spy story, con voce sussurrata e chitarre che si muovono sui registri bassi, a una parte sincopata ai limiti dello ska. Il ritornello si apre improvvisamente su toni quasi country, con la voce di Jarvis Cocker che cambia continuamente tono, tra bassi e urletti alla Mick Jagger. L’ennesima testimonianza di una band e di un leader che maneggiano con totale padronanza tutti i registri pop e rock.

La chiusura spetta a Bar Italia. Il pezzo racconta le conseguenze della vita da club, una sorta di hangover che a un certo punto prende connotati metaforici. Pare quasi che – sull’andamento sobbalzante della musica – Cocker e compagnia non vogliano che l’esperienza del disco si concluda. Un’ennesima ballata perfetta che chiude il disco lasciando l’ascoltatore quasi confuso davanti a tanta perfezione.

You can’t go home and go to bed
Because it hasn’t worn off yet
And now it’s morning
There’s only one place we can go
It’s around the corner in Soho
Where other broken people go
Let’s go

Different Class si chiude quindi lasciando il dubbio di come la band possa fare di più; e infatti il lavoro prelude a qualche tempo di grande successo, con il celebre scandalo durante l’esibizione di Michael Jackson. Poi i Pulp, nonostante una grande prova con This is Hardcore, si sfaldano sotto il proprio successo.

Tra reunion, cambi di formazione e nuovi scioglimenti, Jarvis Cocker mantiene viva la sua figura di dandy di culto attraverso collaborazioni e alcuni dischi solisti ben riusciti. La magia di Different Class resta però cristallizzata in quell’autunno del 1995, quando finalmente l’estroso personaggio di Sheffield poteva godersi la sua rivincita grazie a un disco perfetto.
E irripetibile.

— Onda Musicale

Tags: Beach Boys, Mick Jagger, Velvet Underground, Nick Cave, Elvis Costello
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