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London Calling, i Clash e la fine degli anni Settanta

La mitica cover di London Calling

London Calling dei Clash esce il 14 dicembre del 1979 e può considerarsi idealmente il disco che chiude gli anni Settanta. Un lavoro che fin dalla copertina riassume l’anima punk della band e il rispetto per le radici rock’n’roll.

Sì, perché la copertina di London Calling è una delle più iconiche della storia del rock. Non tutti sanno, però, che dietro la leggendaria foto di Paul Simonon che distrugge il basso si nasconde una citazione di Elvis Presley. La foto fu scattata da Pennie Smith alla fine di un live al Palladium di New York, il 21 settembre 1979.

Lo scatto è assolutamente estemporaneo, senza nessuna preparazione, tanto che la Smith era inizialmente intenzionata a non utilizzarla, a causa della scarsa qualità. Paul Simonon, personaggio bizzarro e piuttosto sanguigno, deluso per la sua prestazione al basso, se l’era presa col suo strumento, distruggendolo.

Non c’era nulla della calcolata furia iconoclasta degli Who e di tanti altri musicisti, il suo fu un atto totalmente istintivo.

La citazione del re del rock’n’roll si nasconde però nell’impostazione grafica della cover. La scritta, intanto, ricalca quell’Elvis Presley che campeggiava nel primo album del rivoluzionario di Memphis; anche l’alternanza tra la foto in bianco e nero scattata durante un concerto e la scritta colorata rimanda al seminale disco.

Qui si inserisce però la differenza tra la band e il re del rock; se nella prima foto Elvis suona la chitarra cantando, nella seconda ecco il gesto conflittuale e in perfetto stile punk. In sostanza, i Clash con questo di disco – già dalla copertina ma anche nel contenuto – superano il punk, movimento che nel ’79 è già agli sgoccioli. Lo fanno senza rinnegarlo – il gesto di Paul è puro punk – ma riprendendosi le radici rinnegate inizialmente.

Il punk dei Clash, fin dall’inizio, si rivolge ai giovani proletari inglesi, ma in modo diverso dai Sex Pistols, profeti del movimento. Se questi ultimi predicano un nichilismo senza speranze, i Clash mirano a scuotere le coscienze e a cercare di migliorare la situazione.

Ma chi sono i Clash e come nasce il loro spericolato miscuglio di generi alla fine degli anni Settanta?

Il primo nucleo nasce attorno a Mick Jones, giovane che canta e suona la chitarra; le sue ispirazioni arrivano sia dalla scena britannica che da quella americana di Mott The Hoople e New York Dolls. È la madre – fuggita in Usa con un soldato americano – a spedirgli puntualmente i vinili di cui il ragazzo si nutre avidamente.

Jones forma i London SS, band in cui passa un bel numero di futuri pezzi da novanta del punk, ma è l’incontro con Bernard Rhodes a fare la differenza. Bernie diventa prima il manager dei London SS, poi aiuta Mick nella formazione dei Clash. Il primo a entrare nella band è Paul Simonon, icona del bello e dannato senza nessuna conoscenza musicale. Un vero archetipo del punk.

Paul dispone di una voce grezza e poco educata tecnicamente e – dopo infruttuosi tentativi alla chitarra – impara a suonare il basso grazie alle lezioni di Jones. Arrivano poi Keith Levene alla chitarra e Terry Chimes alla batteria. Manca però ancora l’uomo più carismatico e i Clash lo trovano in un giovane arrabbiato ma ben poco proletario: Joe Strummer, al secolo John Graham Mellor. Joe è figlio di diplomatici – è nato ad Ankara – ha una voce da perfetto punk e strimpella – come da pseudonimo – la chitarra. Il suo gruppo – i 101’ners – propone uno scialbo rockabilly, fino al giorno in cui Joe si invaghisce del punk.

La band inizia a suonare in un edificio abbandonato e a farsi un nome, venendo messo sotto contratto dalla CBS e mettendo insieme una serie di esperienze live con alterna fortuna. Specie quando fanno da spalla ai Sex Pistols in un disastroso Anarchy Tour.

I primi album, l’omonimo The Clash e Give ‘Em Enough Rope li impongono all’attenzione generale. Tra i due lavori si unisce il batterista Nick Topper Headon, forse l’elemento più tecnico a livello strumentale. I Clash si fanno notare anche per atteggiamenti puramente punk e militanti che costano loro qualche scontro con la legge. A livello musicale, però, la band si differenzia decisamente coi dettami che vorrebbero i complessi punk a digiuno di tecnica.

I Clash sono infatti – da subito ma soprattutto con London Calling – maestri nel mischiare generi e influenze. Dal rock’n’roll delle radici allo ska, dal reggae al pop, la band vanta una versatilità forse unica nella storia. L’unico scarto che non compiono mai è quello verso progressive e art-rock, attenendosi in questo ai dettami punk, per cui la tecnica non deve mai soverchiare il contenuto.

Arriviamo dunque a London Calling, doppio album che diventa una pietra miliare e che supera i confini punk, decretandone in un certo senso la fine. Il disco viene venduto al prezzo di un album normale, dietro grande insistenza di Strummer e soci. Nonostante le flange più estremiste del movimento del ’77 rimproverino alla band di essersi svenduta al mercato, questo fatto fa capire come nei fatti i Clash si sentissero ancora dalla parte del proletariato.

London Calling è un doppio album che si compone di ben diciannove canzoni, composte quasi tutte dalla coppia Strummer-Jones. Le uniche eccezioni sono alcune cover e The Guns of Brixton, pezzo reggae composto e cantato da Paul Simonon. Le parti vocali sono divise equamente tra la voce aggressiva e grezza di Joe Strummer, nei pezzi più politici, e quella più educata – quasi beatlesiana – di Mick Jones.

Il brano che dà il titolo all’intero lavoro è posto in apertura.
Si tratta di un vero e proprio anthem rock, un pezzo che viene consegnato immediatamente alla leggenda del rock, ancora oggi attualissimo e suonato quotidianamente dalle stazioni rock. L’atmosfera è apocalittica e – purtroppo – profetica quando cita un nuclear error; Chernobyl e il disastro della sua centrale avverranno appena sette anni dopo.

La parte vocale è affidata a Joe Strummer, che sfodera una prestazione che entra nell’immaginario del rock di ogni tempo.

I generi, come detto, si inseguono e si alternano. Brand New Cadillac, cover anni ’50 dal repertorio di Vince Taylor, è puro e semplice rock’n’roll, con Mick Jones che dimostra anche una buona padronanza alla chitarra solista di stilemi rock e blues.

Ma c’è anche il quasi jazz di Jimmy Jazz, un pezzo che probabilmente nella prima ondata punk sarebbe costato caro alla band. Ancora una volta Mick Jones ha occasione di sfoderare una bella parte di chitarra solista. Rudie Can’t Fail è ancora rock’n’roll, debitore in parte alla celebre Will and the Hand Jive.

Spanish Bombs parla della Guerra Civile Spagnola, a conferma dell’impegno civile del complesso. Il tono, a livello musicale, è però quasi ai limiti del pop, con un bel duetto di Strummer e Jones. The Right Profile, con un andamento ska, rievoca la storia sfortunata di Montgomery Clift, star di Hollywood prematuramente scomparsa.

Lost in the Supermarket è farina del sacco di Jones, che canta e rievoca la sua infanzia di periferia. Il pezzo è una geniale cavalcata pop che anticipa quanto faranno – benissimo – band come i Pulp oltre dieci anni dopo. C’è spazio ancora per il reggae, con The Guns of Brixton, ma anche con Revolution Rock, per le radici con Wrong’em Boyo e col rock classico con I’m not down e Death or Glory.

The Card Cheat, ballata che incede con toni quasi spectoriani, rappresenta quasi un unicum nel canzoniere della band punk; peraltro riuscitissimo. Sembra quasi di sentire dei Beach Boys in salsa punk. Conclude il lavoro una traccia che sul doppio vinile originale non è accreditata, una sorta di ghost track ante litteram, Train in Vain, che tuttavia diventerà uno dei pezzi più famosi.

London Calling si chiude qui, dopo oltre un’ora di saliscendi tra generi ed emozioni. Inutile dire che il lavoro è quello che consegna i Clash al mito del rock, quello che vanta il maggior equilibrio tra impegno e superamento degli angusti confini del punk. Un disco che conclude gli anni Settanta, non solo cronologicamente, per lanciarli in un decennio che sarà di riflusso – al netto di molti ottimi lavori – per il rock come movimento.

Il punk, pur rinnegando qualsiasi radice e qualsiasi slancio progressivo, ha finito quindi per riportare tutto laddove era iniziato, a Elvis e quella rivoluzione del rock’n’roll che i Clash non nascondono di amare.

— Onda Musicale

Tags: The Who, Beach Boys, The Clash, Joe Strummer
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