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Led Zeppelin III, il capolavoro con cui la band scopre il folk

Led Zeppelin III, la copertina

Quando all’inizio di ottobre del 1970 arriva nei negozi Led Zeppelin III – notare l’arguta fantasia nello scegliere i titoli – non sono passati nemmeno due anni dalla nascita del complesso inglese.

Si tratta però di mesi impiegati davvero intensamente da Jimmy Page e compagni. I quattro musicisti sono passati da carriere che sembravano non decollare a essere incoronati Miglior Gruppo dell’Anno da Melody Maker. Un primato non da poco, considerando che nell’anno di uscita di Led Zeppelin III, il titolo cambia destinatario per la prima volta dopo otto anni.

In precedenza, a pregiarsi della carica, erano stati nientemeno che i Beatles, giunti nello stesso 1970 alla fine della loro pista. I Led Zeppelin hanno trascorso buona parte dello iato tra I e III viaggiando in giro per il mondo a spandere il nuovo verbo dell’hard rock, anche se all’epoca nessuno lo chiama ancora così. Le peripezie dei giovani si sono concentrate soprattutto in America, dove hanno raggiunto lo status di superstar.

Il ritorno in patria, grossomodo nell’aprile del 1970, è propiziato dalla forza maggiore; le corde vocali di Robert Plant, vessate da un utilizzo dissennato, soffrono. L’abbassamento di voce rende impossibile proseguire gli infiniti tour: sono i primi di tanti guai che intaccheranno l’incredibile vocalità di Plant.

Mentre John Paul Jones e Bonzo Bonham si godono il meritato riposo in famiglia, Page e Plant trascorrono la pausa alla loro maniera. I due se ne vanno per un paio di settimane in Galles, a Bron-Yr-Aur, località sulle montagne della Snowdonia, già nota a Robert che ci aveva soggiornato in tenera età. I due, con le consorti e tre collaboratori, passano quindici giorni senza nemmeno la corrente elettrica.

Page ha però pensato bene di portare con sé una chitarra acustica; mentre Plant si gode l’ambiente bucolico col fido cane Strider – nome ispirato al Signore degli Anelli – Jimmy butta giù un po’ di idee. Nascono così alcuni pezzi acustici che dettano la svolta folk di Led Zeppelin III. Bron-Yr-Aur Stomp, per esempio, ma anche That’s the Way e altri che saranno utilizzati successivamente.

Anche Stairway to Heaven, il pezzo che nell’album successivo proietterà la band nella leggenda, pare sia nato in fase embrionale durante il soggiorno.

Il famoso cottage di Bron-Yr-Aur

A maggio i Led Zeppelin si riuniscono a Headley Grange, villa sperduta nelle campagne che sarà teatro di altri episodi celebri del complesso; qui vengono registrati, nei Mobile Studios dei Rolling Stones, altri pezzi. Passa poco tempo e – a giugno – il gruppo si rimette già in pista. I Led Zeppelin suonano a Reykjavík all’arena sportiva Laugardalsholl, poi al Festival di Bath.

Plant, affascinato da sempre dalla storia antica inglese e dalle culture norrene, in Islanda si avvicina ancora di più a suggestioni vichinghe. Nasce così Immigrant Song, pezzo iconico del gruppo e traccia che apre Led Zeppelin III. Il complesso riprende a girare tutto il mondo e il materiale viene missato e completato un po’ dove capita, tra Inghilterra e Stati Uniti.

Il 5 ottobre del 1970, con una copertina un po’ naif e non proprio riuscitissima, Led Zeppelin III fa la sua comparsa nei negozi. Dopo la sbornia di rock duro come mai si era sentito prima, l’attesa per il nuovo lavoro dei Led Zeppelin è ovviamente altissima. Il disco vende bene, ma la critica non è unanime – questa volta – sulla qualità del prodotto. Le atmosfere molto più calme e acustiche vengono percepite come un passo indietro, se non un vero e proprio infiacchimento.

A Led Zeppelin III non segue un vero tour, e la band si mette subito al lavoro sul quarto episodio della saga. Alcuni attribuiscono il fatto alle critiche negative, ma è probabile che la band fosse provata da quasi due anni di tour ininterrotti e che volesse dedicarsi subito al nuovo materiale, presente in gran mole.

Led Zeppelin III rimane comunque un episodio che segna una certa discontinuità coi primi due lavori. Se l’esordio era votato a un hard blues che riprendeva le fila dove si erano interrotti i Cream, dando ulteriori ottani alla versione albionica della Musica del Diavolo, e il secondo proseguiva dettando i canoni del nascente hard rock, col terzo si assiste a una virata verso il folk.

Jimmy Page rinuncia, a parte un paio di episodi, alla sua figura di idolatrato guitar-hero; i suoni si fanno più compatti e sperimentali. Persino Plant, forse anche provato nelle corde vocali, urla meno che in precedenza.

L’attacco di Led Zeppelin III è comunque – è il caso di dirlo – da urlo.
Infatti basta mettere la puntina sul vinile ed ecco partire il maestoso riff di Immigrant Song. La chitarra suona ossessiva e l’inconfondibile drumming di Bonzo pare tracciare – agli albori – il sound degli anni Settanta; un decennio duro, dove i sogni dei precedenti anni affonderanno tra violenza e cinismo. Dieci secondi e irrompe l’urlo di Robert Plant: un urlo che diventerà una delle icone più resistenti dell’hard rock.

Il testo narra le gesta dei vichinghi dal loro punto di vista; la prestazione del vocalist è perfetta, un capolavoro di espressività e interpretazione. Il brano è compatto, poco più di due minuti senza un vero assolo di chitarra che passano come fosse un solo, continuo climax. Se Led Zeppelin II poteva vantare l’apertura di Whole Lotta Love, qui non siamo per nulla da meno.

Subito però i toni scendono con Friends, prima di una serie di ballate semi-acustiche. Bonzo si dà da fare alle percussioni, Page suona l’acustica col suo stile inconfondibile, mentre Plant declama i versi con sicurezza. Il vero protagonista di Friends è però John Paul Jones, col suo bordone di sintetizzatore che strizza l’occhio a melodie orientaleggianti.

Si va avanti con Celebration Day, pezzo rock classico dall’andatura sostenuta in pieno stile Led Zeppelin. Page snocciola un riff di chitarra slide in perfetto tema blues, mentre il basso di Jones rotola corposo e rotondo a sostenere il tutto. Dopo oltre otto minuti arriva il primo – breve – assolo di chitarra elettrica di Jimmy Page.

Lo scettro di Dio della chitarra viene però ripreso senza indugio da Jimmy nella traccia successiva, Since I’ve Been Loving You. Con Immigrant Song è il brano più celebre di Led Zeppelin III, un anthem blues di sette minuti, forse il più riuscito in tema della band inglese. L’ispirazione – palese ma mai riconosciuta – è nell’oscuro brano Never dei Moby Grape, ma la resa è fenomenale ed è tutta farina del sacco dei quattro ragazzi. Si tratta di uno slow blues classico e torrido, con tutti i cliché del genere.

La chitarra di Jimmy Page piange in modo straziante, la voce di Plant si lancia verso vette di suggestione che forse non raggiungerà mai più. Il lavoro alla batteria di Bonzo è come sempre maestoso e Jones che fa la sua parte all’organo Hammond. La genialità sta nel non riproporre in modo pedissequo le partiture di infiniti slow blues, ma nell’ibridare il tutto con una sensibilità melodica struggente. L’assolo di Jimmy Page è degno di stare nell’Olimpo dei chitarristi elettrici di ogni epoca.

Una curiosità, durante la canzone è possibile sentire il pedale della grancassa di Bonzo che cigola. Un suono appena percepibile ma che col tempo è diventato quasi un’ossessione per il perfezionista Page; il chitarrista ha dichiarato di sentirlo sempre più forte ad ogni ascolto.

Insomma, un capolavoro che da solo vale l’ascolto di Led Zeppelin III; e che – da solo – dimostra che la band è la numero uno nello sviscerare le tensioni hard blues.

Chi all’epoca si aspetta un proseguimento nei duri canoni dell’hard blues elettrico, rimane deluso. Il lato A si chiude con Out On The Tiles, pezzo rock tirato quanto sghembo. Il riff complesso di Page lascia il passo alla voce di Plant che declama quasi in staccato, col solo tappeto della possente batteria di Bonham. Il brano, però, pur partendo fortissimo stenta a centrare il colpo del K.O. forse a causa di un inopinato e solare ritornello.

La seconda facciata del disco si apre con Gallows Pole, versione di The Maid Freed From the Gallows, brano folk della tradizione inglese. Il brano, tra i preferiti di Page, si struttura man mano, con i vari strumenti che entrano uno alla volta. Jones suona basso e mandolino.

La parte di banjo è suonata da Page, che non aveva mai suonato lo strumento. Il chitarrista prova per caso quello di Jones: “L’avevo appena preso in mano e ho iniziato a muovere le dita fino al momento in cui gli accordi non suonarono nel modo giusto – racconta Jimmy –  come quando lavoro su composizioni quando le chitarre sono di accordature diverse”.

La successiva Tangerine è una delle ballate più famose dei Led Zeppelin.
L’introduzione acustica è da brivido e pare in qualche modo anticipare le suggestioni di Stairway to Heaven. Il brano ispirerà una quantità di artisti, tanto che alcune parti sembrano molto simili a una nostra vecchia conoscenza, totalmente avulsa dal mondo sonoro dei Led Zeppelin; parliamo dell’Antonello Venditti di Nata Sotto il Segno dei Pesci, insolitamente simile in alcuni passaggi ritmici.

L’assolo di chitarra di Page, breve e con un suono molto trattato, anticipa un cambio di suono che vira verso il country. Una ballata forse fin troppo breve, ma piacevolissima.

That’s the Way è ancora una ballata, insolitamente dolce, frutto della vacanza gallese. La voce di Plant è carezzevole, la chitarra di Page, accordata in modo particolare, suona quasi ancestrale. Un brano di grande suggestione.

Bron-Yr-Aur Stomp è ancora un bozzetto acustico, tra folk e country, con battiti di mani e un tour de force acustico di Page davvero notevole. La chiusura di Led Zeppelin III è affidata a Hats Off to (Roy) Harper, omaggio al cantautore Roy Harper e al blues delle origini. Il pezzo è strutturato come un blues degli anni ’30, con un gran lavoro di Page alla chitarra slide e una prestazione di Plant da vero shouter nero, molto effettata.

Per chi scrive, si tratta di una coda quasi sperimentale, decisamente efficace e riuscitissima. Il brano, tuttavia, è stato sempre misteriosamente snobbato da fan e critica, al punto di risultare quasi misconosciuto.

Led Zeppelin III è un lavoro di rottura rispetto ai primi due, ma non per questo di minore qualità. Lo strappo sarà parzialmente ricucito con IV, album che forse trova la miracolosa quadra tra l’hard degli esordi e il folk che domina i solchi di III.
Certo è che – all’epoca – nessuna band è in grado di esprimere potenza hard e delicatezza folk come i Led Zeppelin. Una band che – per citare Carlo Verdonepo’ esse piuma e po’ esse fero. In III, i Led Zeppelin sono più dalla parte della piuma, ma sempre con qualità eccelsa.

— Onda Musicale

Tags: The Rolling Stones, Led Zeppelin, John Bonham, Cream, Jimmy Page, John Paul Jones
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