Avete mai sentito parlare di Tom of Finland? Il suo vero nome era Touko Valio Laaksonen. Era un direttore artistico alle dipendenze della celebre agenzia pubblicitaria che oggi si chiama McCann Worldgroup.
Negli anni Settanta si chiamava ancora McCann Erickson. Laaksonen disegnava grafiche, loghi e marchi, progettava campagne pubblicitarie per prodotti di ogni tipo, dai biscotti in scatola ai motoscafi da offshore. Il suo obiettivo era quello di “aiutare” i clienti di McCann Erickson a vendere meglio e di più. Nel tempo libero la sua creatività viaggiava verso altre direzioni e Touko Laaksonen si trasformava in Tom of Finland: disegnava le sue fantasie sessuali, i suoi sogni erano popolati da motociclisti, marinai, boscaioli, montatori e poliziotti, intenti a lanciarsi martelli e tenaglie, nelle foreste, nelle prigioni, nei porti, nei parcheggi delle città.
I sorrisi sui loro volti erano volutamente sproporzionati, quasi a voler provocare gli spettatori a non abbassare gli sguardi verso le zone pubiche. Le conturbanti immagini di Tom of Finland non hanno soltanto alimentato le fantasie sessuali di gay e di etero, ma hanno prodotto una grande fascinazione sul mondo del Pop e del Rock. Le divise della polizia, quelle dell’esercito e della marina, in pelle nera ornata di borchie, e i berretti, i pantaloni e le giacche da motociclista, divennero “esplosive” quando ad indossarle fu Freddie Mercury.
Cambio epocale
Fino al 1979, sia lui che gli altri Queen avevano adottato un look da rockstar non lontano da quello di altre band, ed apparivano simili nell’aspetto ai Led Zeppelin o ai Jethro Tull. Quando Freddie si presentò con i capelli corti e i vistosi baffi neri, la maggior parte dei fans non aveva mai sentito nominare Tom of Finland. Che ci fossero dei cambiamenti in atto lo si intuiva già dal video di Don’t Stop Me Now ma è con l’uscita di The Game che si conclama il cambio di rotta. Nel suo nuovo look, Freddie era diventato di colpo il meno “capellone” dei quattro. Ancora privo di baffi, che avrebbero fatto la loro apparizione dal tour successivo, la band si lascia fotografare per la cover di The Game indossando dei giubbini alla Fonzie, ma il candore del personaggio più amato di Happy Days non traspare nemmeno un po’.
Dall’altra parte dell’Atlantico Glenn Hughes sta interpretando già da diverso tempo il ruolo del Biker nei suoi Village People. A differenza dei Queen, Hughes si è direttamente ispirato dal lavoro di Tom of Finland, non foss’altro per un fatto di vicinanza. Ma i Village People restano comunque innocui, sono un fenomeno tutto americano che fa ballare il mondo intero al ritmo – coinvolgente ed ammiccante – di It’s fun to stay at the YMCA. Il brano, forse il pezzo in assoluto più adatto ai balli di gruppo, è del 1978 e resta il loro successo più grande che – oltre ad una montagna di dollari – gli regala più sorrisi che rimbrotti.
La situazione in Europa
Ben altre reazioni accompagnano i Frankie Goes To Hollywood dell’inquieto Holly Johnson. Non fa nulla per mascherare le sue intenzioni quando ripete il ritornello di Relax (When you wanna come, come) con un impeto quasi ossessivo. Come già per i Village People con YMCA, anche Relax diviene per i FGTH un marchio di fabbrica. Ma se il mondo guarda alla band newyorkese come ad una compagnia di attori pronta per un musical a Broadway, la critica non risparmia ai Frankies né critiche né etichette.
E in Italia?
Alla fine degli anni Settanta l’omosessualità in Italia è un argomento impossibile. È una questione che potremmo definire invisibile. L’unico che sembra voler fare sul serio è Renato Zero. Ma il suo è un percorso completamente diverso. Dalle prime suggestioni alla Ziggy Stardust – più che altro un blando tentativo di nascondersi e riordinare le idee – i travestimenti adottati da Zero sono molto più ruspanti delle sofisticate manie del personaggio che assilla la mente di David Bowie. Nel 1978 Renato Zero è diventato una star formato famiglia e si guarda bene dall’adottare atteggiamenti che rimandino al movimento Tom of Finland.
Roma, 1978
Nello stesso anno sta aprendo a Roma una discoteca particolare. Ha una pista da ballo relativamente piccola, è situata in pieno centro storico al numero 9 di Via della Purificazione, nascosta tra Via Sistina e Piazza Barberini, non lontana dalla seducente Via Veneto. È una creazione di Gilberto Iannozzi, il principe delle notti romane. Iannozzi ha già creato dal nulla due delle discoteche più cool d’Italia, il Jackie’ O e il Much More, entrambe situate nel centro di Roma. Il fiuto per gli affari non gli manca ed intuisce che nella Capitale c’è spazio per un locale gay.
Nasce così l’Easy Going, che diviene una delle mete preferite del jet set romano, il primo ed esclusivo locale gay della capitale. Siamo sul finire degli anni ’70, nel bel mezzo degli anni di piombo. Il locale sembra un bagno turco al quale si accede aprendo alcune porte dalla forma fallica. Occorre utilizzare maniglie a forma di prepuzio, alle pareti compaiono per la prima volta i famosi disegni di Tom of Finland, altamente trasgressivi per l’epoca e – soprattutto – mai visti da nessun’altra parte. In quella discoteca trascorre qualche serata anche Claudio Simonetti.
Figlio d’arte
Figlio d’arte, ha solo 26 anni ma è già famoso. E’ il fondatore dei Goblin, il gruppo dark-prog autore della colonna sonora di un film nato per essere cult. Parliamo di Profondo Rosso, il thriller che trasforma Dario Argento in un guru dell’horror di fama mondiale. Dopo aver abbandonato il suo gruppo, insieme al produttore Giancarlo Meo lancia gli Easy Going, che devono il nome proprio alla discoteca di Via della Purificazione. Nello stesso anno pubblicano il primo album: è intitolato semplicemente Easy Going. Contiene solo quattro brani e come pezzo di lancio viene scelto Baby I Love You. È un successo che oltrepassa agevolmente il Grande Raccordo Anulare: entra nelle classifiche di vari paesi di lingua inglese e viene puntualmente proposto al The Loft di New York dal Dj Dave Mancuso.
La copertina del disco consiste in un insieme di tasselli che vanno a formare un mosaico raffigurante dei marinai alla Tom of Finland ritratti in una posizione di lotta greco-romana. Se la cover è un misto di eleganza e di trasgressione, lo stesso non può dirsi per il nome dell’etichetta discografica, la Banana Records. Un nome scontato e prevedibile, una caduta di stile o meglio, una caduta su una buccia di banana.
Pezzo che spacca
Il pezzo è di quelli che spacca. Sale in classifica, Paolo Micioni e i due ballerini Francesco Bonanno e Ottavio Siniscalchi arrivano anche alla castigatissima Rai. Nel brano è presente lo stesso Claudio Simonetti, la cui voce, camuffata elettronicamente con un Vocoder, apre Baby I Love You. Il successo si ripete anche l’anno successivo, seguendo il cliché ormai collaudato di una dance tutta italiana che strizza l’occhio ai mercati internazionali. Per Fear viene realizzata una copertina con rimandi ancora più fallici, ma priva della sofisticata ricercatezza dei disegni di Tom of Finland.
La meteora Easy Going
La popolarità del gruppo crebbe enormemente e nel 1981 arrivarono al grande pubblico televisivo, quello composto dalle famiglie che trascorrono il sabato sera davanti alla TV. Le dirette Mediaset non esistono ancora e la Rai Tv detiene il monopolio del divertimento nazionale. Gianni Boncompagni è un mammasantissima di casa Rai e sponsorizza gli Easy Going come protagonisti della trasmissione Sotto le stelle. Ad un patto: che rinuncino al look alla Tom of Finland. Devono abbandonare la loro immagine, che è troppo trasgressiva se non addirittura offensiva e dunque non adatta ad un pubblico televisivo “medio”. Gli Easy Going sopravvissero stancamente per altri due anni ed uscirono dalle scene con la stessa rapidità con la quale erano apparsi.
Ascoltandola oggi, si intuisce facilmente il tipo di emozione che comportò l’ascolto di una canzone del genere. Intriganti e luminescenti, le poche canzoni scritte dagli Easy Going potrebbero far riempire le piste delle discoteche ad oltre quarant’anni di distanza. Pezzi scritti d’istinto, basati sull’intuito di un momento, che li consacrano a caratteri cubitali nel grande libro del Pop italiano.