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Jimi Hendrix e “Are You Experienced”: la bibbia della chitarra elettrica

La copertina del primo disco di Jimi Hendrix

Il 12 maggio del 1967 in Gran Bretagna esce un disco destinato a cambiare la storia del rock, della chitarra e di tutta la musica del Novecento. L’album si intitola Are You Experienced e porta la firma della Jimi Hendrix Experience.

Fin troppo facile oggi attribuire la giusta importanza a quella rivoluzione di maggio, avvenuta un anno prima di quella sociale del Maggio Francese. Il musicista dietro il disco, il genio gentile di Jimi Hendrix, è all’epoca uno sconosciuto, reduce da una vita tutt’altro che facile.

Nato a Seattle il 27 novembre del 1942, Jimi Hendrix è il risultato di un miscuglio di origini, afroamericane e Cheerokee. Infanzia e adolescenza sono non proprio spensierate, allietate solo dall’amore per la chitarra. Un amore che ben presto sublima nell’ossessione. Jimi passa attraverso diverse esperienze, si arruola nell’esercito come paracadutista e viene congedato dopo essersi fatto male.

Negli anni di servizio i commilitoni assistono a curiose scene, come quando Hendrix dorme portandosi nel letto la chitarra, il suo unico vero amore. Il talento di Jimi è esplosivo, ma sembra non concretizzarsi mai in qualcosa di tangibile. Poco dotato come cantante, Hendrix vorrebbe solo suonare la chitarra; collabora con grandi bluesman come B.B. King e Ike Turner, con star del soul quali Sam Cooke, e suona nella band di Little Richard.

Quando il suo destino pare ormai essere quello del sessionman di talento, si apre una inaspettata sliding door; siamo a New York, durante una serata al Cheetah Club, sulla West 21st Street. Il chitarrista mancino fa amicizia con Linda Keith, allora fidanzata di Keith Richards, e la ragazza si prodiga per far conoscere le sue doti a Andrew Loog Oldham e Seymour Stein, manager e produttore degli Stones.

Hendrix ci crede: forse la svolta è finalmente arrivata, ma l’incontro non desta alcuna impressione – inspiegabilmente – nei due. Linda, però, ha un altro asso nella manica, Chas Chandler. Il bassista degli Animals, alla ricerca di un grande talento da lanciare e su cui lucrare, assiste a un concerto di Jimi e ne rimane estasiato.

“Non credo di essere stato fortunato o geniale a intuire le grandi capacità di Jimi. – dirà Chandler – Bastava guardarlo, ascoltarlo, sentirlo entrare dentro le persone e tirare fuori il lato più nascosto di ognuno per capire che la sua musica era qualcosa di rivoluzionario. Prima di lui nessuno era riuscito a creare incubi musicali così irresistibili, e nessuno è riuscito a raccogliere la sua eredità.”

Chandler convince il musicista di Seattle a seguirlo a Londra, dove la scena musicale – paradossalmente – lo avrebbe accettato meglio che negli Usa. Jimi si convince, anche dietro l’assicurazione che avrebbe conosciuto Eric Clapton, suo idolo e all’epoca profeta della chitarra elettrica coi suoi Cream. Chandler – in quattro e quattr’otto – mette insieme un trio proprio a immagine dei Cream.

Alla batteria recluta Mitch Mitchell, batterista autodidatta già con Georgie Flame e titolare di un drumming potente e furioso; al basso la scelta cade su Noel Redding, bravo chitarrista che ripiega sulle quattro corde in attesa di tempi migliori. Leggenda vuole che Jimi accetti Redding in virtù della sua somiglianza con Bob Dylan.

Hendrix sbarca quindi a Londra e diventa subito la sensazione del momento. Duetta in estemporanee jam session con Eric Clapton, suscita l’interesse di Jeff Beck e Pete Townshend e di band come Beatles e Who. Clapton ne diventa subito grande amico, ma allo stesso tempo rimane scioccato dal modo inusitato di Jimi di suonare la chitarra.

Fino a quel momento Eric è il God della chitarra blues, mentre Townshend è il rivoluzionario che spacca lo strumento e chiede sempre di più al volume degli amplificatori. I due – racconterà Clapton – si incontrano una sera al pub per bere e capire come regolarsi con quell’uragano che sta per investire la chitarra rock.

E il primo segno dell’uragano è Hey Joe, una scialba ballata blues che nella versione di Hendrix diventa nitroglicerina. Il singolo fa scalpore ed è seguito da Purple Haze, anthem rock retto da un riff immortale, e The Wind Cries Mary, imitatissima ballata che dimostra come Jimi Hendrix non sia solo l’ennesimo virtuoso della sei corde.

A maggio arriva Are You Experienced, e il rock ne esce cambiato per sempre.
L’album viene registrato agli Olympic Studios di Londra tra ottobre del 1966 e aprile del ’67. La versione originale comprende undici brani; come usa allora in Gran Bretagna, i precedenti tre singoli non sono compresi. Dopo il trionfo estivo al festival di Monterey, il disco esce anche in America, dove Hendrix continua a essere uno sconosciuto.

Il lavoro americano comprende anche i tre singoli, che in seguito verranno sempre inseriti a vario titolo nelle ristampe, rendendo l’album una vera miniera di capolavori.

Are You Experienced, nella versione originale, si apre con Foxy Lady.
Il brano è quasi una clonazione di Purple Haze, di cui non vanta la freschezza e la perfezione. La ritmica è di una pesantezza ignota all’epoca, quasi anticipatrice dell’heavy metal. Hendrix, finalmente convinto a tentare la carta del vocalist, non è certo brillante come cantante, ma comunque efficace.

A quasi due minuti dall’inizio, arriva il primo assolo di Hendrix, breve e lancinante, di stampo prettamente blues. Quello che impressiona, come già nei singoli, è l’assoluta scioltezza del chitarrista nel passare dalla dimensione ritmica a quella solista, nell’alternare accordi tonitruanti a note singole di scintillante perfezione. Qualcosa che fino a quegli anni non si era mai sentito.

Si prosegue con Manic Depression, brano che affronta il tema della sindrome maniaco depressiva con l’inusuale tempo di 9/8. Il brano è emblematico dello stile hendrixiano, con il continuo alternarsi della ritmica suonata sulle note basse e di fill che punteggiano le strofe. L’assolo è psichedelico e distorto in maniera pesantissima. La musica alterna note velocissime a lunghi ed estenuanti bending, quasi a rievocare gli sbalzi d’umore della sindrome che dà il titolo al pezzo.

Red House, il brano successivo, è un blues dall’andamento lento che più classico non si potrebbe. Jimi è sempre stato, al di là delle tante innovazioni tecniche, essenzialmente uno strumentista dal feeling schiettamente blues. Simbolico è il fatto che il brano non appaia nella versione originale americana: “Agli americani non piace il blues” sostenne la MCA americana. Red House è perfezione totale, anche nella parte vocale, in cui Jimi si dimostra ispirato shouter blues.

Le parti di chitarra hanno ispirato centinaia di chitarristi epigoni, più concentrati nell’emulare i trucchi da circo di Jimi che non l’irripetibile suggestione delle sue note. La chitarra, in primissimo piano, satura di riverbero e di effetto eco, sciorina frasi che suonano nuove ma che sono la summa della storia del blues. Non è difficile immaginare la disperazione di un Clapton, di fronte a un musicista che suona poco blues ma che, quando lo fa, si staglia a distanze irraggiungibili per chiunque.

Il racconto di Noel Redding ci fa ben calare nell’atmosfera che si respira in studio, al cospetto del genio umorale di Jimi Hendrix.

“Alcune volte facevamo dell’ottima musica, altre no. – racconterà Noel – Nessun gruppo era sotto pressione come la Jimi Hendrix Experience, ma a Jimi non fregava niente di questo. Lui suonava perché gli serviva come respirare. Ricordo che un giorno eravamo in studio a registrare un brano, Red House. Era un blues appena scritto da Hendrix e quindi, per entrare meglio nel pezzo, utilizzai al posto del basso una chitarra vecchia e scordata. Registrammo una take di prova e subito dopo Jimi disse che era buona la prima. Gli feci subito presente che non c’era il basso, ma lui non ne volle sapere. Era fatto così.”

Can You See Me è un pezzo rock tirato, dalle parti dell’hard blues dei Cream, tanto da ricordare vagamente SWLABR della band di Clapton. Il lavoro alla chitarra è molto discreto, e la parte vocale azzeccata. Segue Love or Confusion, brano psichedelico che conferma come il chitarrista sia un valido compositore anche nei pezzi tra virgolette minori.

Una cosa che colpisce l’ascoltatore è che – al di là di luoghi comuni ed eredi musicali concentrati sul virtuosismo fine a se stesso – la chitarra non sia mai preponderante. Hendrix è sì uno strumentista dalla tecnica senza precedenti, ma almeno in questo primo lavoro, ha le idee ben chiare sull’equilibrio tra virtuosismo e composizione.

Il primo lato del disco si chiude con I Don’t Live Today, altro rock graffiante cantato quasi in staccato, con un riff potentissimo. La parte di chitarra strizza ancora l’occhio al movimento psichedelico. May Be This Love apre la seconda facciata e siamo di fronte a una ballata per chitarra elettrica affine a The Wind Cries Mary o la di là da venire Little Wing. L’assolo di chitarra ha un tono orientaleggiante, piacevolmente esotico.

Fire, dal testo spiccatamente sessuale, è di nuovo un rock robusto e in staccato, col basso corposo di Redding in bella evidenza. Il brano vanta uno degli assoli più puliti e cristallini del lavoro, sebbene di brevissima durata.

Third Stone From the Sun è l’unico strumentale – o almeno quasi del tutto – del disco ed è un brano seminale in ambito fusion. Infatti, siamo di fronte a uno dei primi pezzi a fondere generi diversi, con Jimi che si lancia dalle parti del jazz. Il brano verrà in futuro omaggiato da decine di cover, tra cui quelle di Stevie Ray Vaughan, Pat Metheny, Dick Dale e Weather Report.

I dialoghi – in cui sentiamo Hendrix e Chas Chandler – tentano di dare una suggestione da film di fantascienza; non va dimenticato, infatti, che il titolo Third Stone From the Sun è mutuato da un celebre racconto di Richard Matheson, autore tra gli altri di Io Sono Leggenda. La terza pietra dal sole del titolo, non è altro che la nostra Terra.

Prima di chiudere questo vero tour de force rock, c’è ancora spazio per Remember, pezzo sicuramente minore nella discografia di Hendrix, ma che non manca di un certo appeal soul unico in quest’album. La chiusura spetta a Are You Experienced?, brano che si fa ricordare soprattutto per le sperimentazioni con la reverse guitar, tecnica in cui Jimi Hendrix è pioniere e uno dei massimi artefici allo stesso tempo.

L’assolo mandato al contrario ha l’effetto straniante sperato e ricorda il lavoro dei Beatles su Tomorrow Never Knows, all’epoca uscito da appena un anno.

Are You Experienced è insomma un disco che, al di là di qualità e piacevolezza all’ascolto, fa da spartiacque del rock e soprattutto della chitarra elettrica. Un album da cui è impossibile prescindere e che – ricordiamo – è il lavoro di debutto di uno sconosciuto, qualcosa a cui è difficile credere oltre cinquant’anni dopo.

Il lavoro vende tantissimo e mette d’accordo critica e pubblico, tanto che ancora oggi è una presenza fissa in tutte le classifiche dei migliori album della storia. La Experience registrerà ancora due lavori, tutti di grande valore, prima di implodere sotto l’ego, gli abusi e gli eccessi del genio di Seattle.

Tre album che lasciano tanti rimpianti, ma che – d’altro canto – sono anche un lascito di valore inestimabile di una band che non ha conosciuto declino. Una band che è scomparsa giovanissima, come chi è caro agli Dei.

— Onda Musicale

Tags: Stevie Ray Vaughan, The Beatles, Jimi Hendrix, Jimi Hendrix Experience
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