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John Mayall e l’ennesimo capolavoro blues: “The Sun is Shining Down”

John Mayall sul palco

John Mayall è stato il protagonista di una delle rivoluzioni musicali più importanti e sottovalutate del Novecento, Il British Blues. Tuttavia, John è tutt’altro che un musicista del passato: a 88 anni suonati, è appena uscito con un nuovo album.

The Sun is Shining Down è il titolo dell’ennesima fatica del cantante e armonicista di Macclesfield. L’album giunge a tre anni di distanza da Nobody Told Me, che già aveva stupito per la grinta e la vitalità di John Mayall.

E sì, perché a quasi novant’anni il buon vecchio John sembra aver stretto il proverbiale patto col diavolo. La sua voce è identica a quella che si stagliava a metà anni Sessanta sulle chitarre dei tanti prodigi da lui scoperti. Nomi come Eric Clapton, Peter Green e Mick Taylor, tanto da far coniare per i suoi Bluesbreakers la definizione di Università del blues.

Detto questo, non torniamo più sull’età di Mayall: mai come in questo caso si può dire che essa sia solo un numero. Si diceva dell’importanza del British Blues, movimento musicale mai abbastanza celebrato; eppure, quella versione bianca della musica nera per eccellenza sta alla base di tutte le successive trasformazioni del rock.

I Rolling Stones, che iniziarono come cover band blues proprio sulla scia di John Mayall e pochi altri, come Alexis Korner e Cyril Davies; ma anche i Cream, creati da Clapton all’indomani della fuoriuscita dal gruppo di John. Frutto della rivoluzione blues inglese sono però anche band più dure come Led Zeppelin e Black Sabbath, tutte inizialmente dedite alle dodici battute.

Ebbene, John Mayall, dopo essere stato il profeta e fautore di tutte queste rivoluzioni, è tornato nell’ombra fin dagli anni Settanta. Il suo estro, però, lungi dall’essere esaurito, ha continuato a partorire piccole gemme, quasi un album all’anno. Il tutto senza trasformazioni o concessioni alle mode del momento; John è sempre rimasto fedele a quella bizzarra formula di blues tradizionale, ma filtrato attraverso la sensibilità di un ragazzo nato nel Cheshire.

Nella sua band hanno continuato ad avvicendarsi grandi musicisti, quasi tutti destinati a ottime carriere. La sua band attuale è stabile da un po’. Alla chitarra – a testimonianza della modernità di Mayall anche come pensiero – troviamo una donna, Carolyn Wonderland. La sezione ritmica è costituita da Greg Rzab al basso e dalla batteria di Jay Davenport.

In sede di registrazione si aggiunge una completa sezione di fiati, mentre il bandleader si occupa – come sempre – di voce, armonica e tastiere; queste ultime sono costituite dal tipico armamentario anni ’60: piano, Wurlitzer e Hammond B-3.

Per The Sun is Shinig Down – titolo ci auguriamo poco profetico – John Mayall ha come sempre voluto uno stuolo di ospiti speciali. Troviamo così alla chitarra Melvin Taylor, eroe del blues di Chicago, ma anche Marcus King e Mike Campbell, membro dei Fleetwood Mac. Scarlet Rivera, violinista della band di Bob Dylan, dà il suo ottimo contributo in due brani.  Jake Shimabukuro, fenomeno dell’ukulele, partecipa in un altro pezzo.

Facciamo allora finta di essere ancora alla metà dei favolosi anni ’60, alla vigilia dell’avvento della Swingin’ London, e mettiamo sul piatto il nuovo album di John Mayall.

Fin dalla copertina del disco l’atmosfera da Londra dei tardi sixties è ben evidente; la grafica del titolo è in tipico stile psichedelico, quello che ci lascia ancora a bocca aperta nelle locandine dell’epoca.

Si parte con Hungy and Ready, tipico shuffle di Chicago con la chitarra di Melvin Taylor.
Taylor è stato uno dei chitarristi fenomeno del genere nei primi anni Novanta, con un suono rotondo e virtuosismi degni di un jazzista. Ora il suo stile è più maturo, non ha bisogno di mostrare troppo i muscoli per dar conto di cosa sappia fare.

La prestazione di Mayall fa subito capire come il tempo – a livello vocale – sia stato gentilissimo con John. Le parti in staccato precipitano subito l’ascoltatore nelle atmosfere bluesy care al maestro, che si concede anche una breve parte di armonica. L’assolo di Melvin Taylor, misurato e cristallino, è una breve lezione di chitarra blues.

La grandezza di John Mayall è proprio quella della giusta misura; come un perfetto direttore di squadra – o d’orchestra – John sa sempre dare il giusto spazio ai musicisti, senza esagerare.

Si prosegue con Can’t Take No More, con la chitarra di Marcus King, giovanissimo chitarrista cresciuto coi lick di Freddie King e Stevie Ray Vaughan. Il pezzo ha un andamento marcatamente funk, anche grazie alla robusta sezione di fiati. King si prende tutte le luci con un paio di assoli in cui sfoggia la sua tecnica eccezionale. Il suono della chitarra è saturo e caldo, un piacere per le orecchie dei puristi.

I’m as Good as Gone è una traccia più grintosa, con la voce senza tempo di Mayall che si fa roca e aggressiva. L’ospite è Buddy Miller e l’assolo di chitarra, immancabile, stavolta profuma di paludi e bayou; il fantasma di John Lee Hooker aleggia su tutto il brano.

Got to Find a Better Way è un classico up-tempo che ricorda molto la celebre Black Magic Woman, scritta dall’allievo Peter Green. La voce di Mayall è da brivido, mentre l’insinuante violino di Scarlet Rivera aggiunge un tocco di americana. Uno dei brani di punta dell’intero lavoro.

Chills and Thrills riporta il suono dalle parti del funk, quello nobile di matrice Stax; il riff dell’ospite Mike Campbell è di quelli sentiti migliaia di volte, ma che fa sempre effetto. Il suono di Campbell è scintillante, quasi troppo levigato per le atmosfere genuine dell’album. Mayall canta con l’energia di un trentenne, questo va detto, e si prende anche lo spazio per un breve assolo di tastiere, prima della classica parte di chitarra.

One Special Lady è un tipico boogie dall’andamento fortemente jazzato, molto vicino a certe cose dei Ten Years After. La vera sorpresa del brano è Jake Shimabukuro, che col suo ukulele elettrico non fa rimpiangere chitarristi più tradizionali.

In un curioso cortocircuito temporale, arriva A Quitter Never Wins, slow blues da manuale. Il pezzo, di Tinsley Ellis, fu un successo nella riproposizione dell’allora ragazzo prodigio Jonny Lang, e ora è riproposto dall’arzillo ottantottenne del Cheshire. Lo spazio strumentale, nei lenti tradizionalmente appannaggio della chitarra, viene monopolizzato dall’ispirata armonica di John.

Deep Blue Sea vede di nuovo protagonista il magico violino di Scarlet Rivera, in un pezzo dove il blues si fonde col country. Inutile dire ancora della voce di Mayall, sempre perfetta. Un pezzo che scorre come un bel bicchiere d’acqua fresca.

Driving Wheel è uno standard di quelli leggendari, scritto dal grande pianista Roosevelt Sykes. Torna la chitarra di Melvin Taylor a punteggiare quasi ogni passaggio del brano. Il guitar hero forse qui si sbrodola un po’ addosso con qualche virtuosismo di troppo, ma la struttura del pezzo ben si presta.

Siamo già al decimo e ultimo brano, la title track The Sun is Shining Down, dove aleggia ancora la presenza di Peter Green; per alcuni il più grande chitarrista scoperto da John Mayall, con buona pace di Eric Clapton. La canzone è forse una delle migliori del lotto e ha il merito di dare finalmente il giusto spazio alla chitarrista di casa, Carolyn Wonderland.

La musicista esce dall’ombra, dove ha diligentemente dettato le ritmiche degli altri brani, e si prende le luci del palco. Il suo assolo è sinuoso, privo di gratuiti virtuosismi, ma di grande suggestione; il suono della chitarra è pulito, ficcante, pare quasi evocare Mark Knopfler. Di sicuro Carolyn non fa rimpiangere i superospiti più blasonati; sperando che John Mayall torni presto a incidere un nuovo disco, sarebbe forse il caso di concedere più spazio a una strumentista di tale talento.

In conclusione, questo nuovo disco di John Mayall farà sicuramente la gioia degli appassionati del buon blues di una volta. Soprattutto di chi ama ancora sentire gli strumenti suonati come Dio comanda; intendiamoci, non c’è una sola nota di The Sun is Shining Down che non sia stata già suonata cinquant’anni fa, ma per una volta la tecnica e il feeling possono bastare. Del resto, stiamo parlando di blues, nessuno vuole fare una rivoluzione con questo disco.

Consigliatissimo, addirittura imprescindibile, per gli amanti del genere e per chi ha nostalgia della Summer of Love; gli altri possono tranquillamente passare oltre.  

— Onda Musicale

Tags: Bob Dylan, John Mayall, Peter Green
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