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I 10 migliori album di rock strumentale (secondo noi)

Il periodo d’oro dei dischi di rock strumentale sembrerebbe essere finito, almeno in termini di numero di pubblicazioni.

Tuttavia, ci sono ancora alcune interressanti rock band che creano musica senza testi (detta, appunto, musica strumentale) che continua a ispirare e intrattenere piacevolmente moltissime persone. Gli album strumentali offrono una duplice possibilità: sono una sfida ma anche un’opportunità per mostrare il loro valore.

Qualità e intensità: due elementi imprescindibili

Per catturare l’orecchio dell’ascoltatore senza una voce cantata, un album rock strumentale deve essere (necessariamente) di straordinaria qualità e intensità e i musicisti devono essere di altissima caratura. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che i musicisti virtuosi siano così numerosi nell’elenco che vi proponiamo in cui, tuttavia, non compaiono solo virtuosi della chitarra (o, peggio, shredder) o che si producono in infinite jamm session (spesso) prive di senso. Al contrario la nostra proposta è intrisa di dischi coerenti, ricchi di fantasia e di arrangiamenti, che danno vita ad alcune delle musiche più affascinanti e avvolgenti mai realizzate che spaziano dagli innovatori chitarristici dei primi anni ’60 fino al massimo splendore dell’era jazz-rock senza trascurando il panorama post-rock.

10. What We All Come To Need – Pelican 

Negli anni ’70 gli album strumentali di gruppi rock erano una caratteristica comune nel panorama musicale, in particolare nel genere rock progressivo. Al giorno d’oggi, invece, è una settore più “di nicchia”. Certamente in circolazione esistono molti dischi strumentali bellissmi, è solo difficile trovarli. I Pelican sono una band post metal rock americana formatasi a Chicago nel 2000. Loro sono un ottimo esempio di chi fa musica strumentale molto interessante anche se sono – praticamente- sconosciuti al grande pubblico. Tuttavia, chi li conosce li apprezza moltissimo. Il loro disco What We All Come To Need (del 2009) rappresenta il culmine della loro discografia. L’album (il loro quarto disco) è arrivato in un momento difficile per il gruppo all’interno del quale c’era molto stress per ragioni dovute a fattori esterni. Tuttavia, il risultato è un bel disco davvero. Registrato in sole tre settimane, What We All Come To Need è stato realizzato con il contributo di ospiti come Greg Anderson (di Sunn O)))) e Allen Apley (di The Life And Times e Shiner).

9. Zooma – John Paul Jones

Il bassista e tastierista dei Led Zeppelin John Paul Jones è stato in qualche modo oscurato dai suoi compagni di band durante il suo periodo di permanenza nella band. Tuttavia, il suo modo di suonare il basso e le tastiere hanno certamente contribuito a creare il sound carattristico degli Zeppelin e ha aggiunto sfumature e bellezza a molte delle loro migliori composizioni. Come dimostra la sua carriera da solista, John Paul Jones è un musicista di grande talento, ricco di idee e molto creativo. Può suonare praticamente qualsiasi strumento a corda ed è anche un bravo scrittore di testi. La riprova è il disco Zooma (pubblicato nel 1999). Coadiuvato da Pete Thomas (batteria), Paul Leary (chitarra), Trey Gunn (chitarra), Jones contribuisce con una varietà di bassi, lap steel, mandolini, chitarre, organi e arrangiamenti di archi (diretti da lui stesso) in dieci tracce che vanno dal rock monolitico e confuso (la title track) a momenti di scintillante meraviglia sfumata di bluegrass (The Smile Of Your Shadow). L’assoluta potenza e il peso dell’immacolata ingegneria e produzione di questo album lasciano sicuramente impressionati.

8. Headhunters – Herbie Hancock

Non esattamente una svolta epocale, ma sicuramente un passo in un nuovo territorio e un gigantesco balzo in avanti commerciale per il pianista Herbie Hancock; Headhunters (del 1973) portarono il jazz-rock-funk nel mainstream. Hancock, ovviamente, era ormai un nome importante nel mondo del jazz, grazie alla sua posizione al fianco di Wayne Shorter, Ron Carter e Tony Williams come parte del secondo grande quintetto di Miles Davis. Dal 1964 al 1968, Hancock suonò in alcuni dei migliori dischi di Davis, comprese le prime esplorazioni nel jazz-rock del trombettista americano. Al tempo di Headhunters, Hancock aveva già pubblicato molti ottimi album da solista, dal jazz diretto alle fusioni jazz-rock. È stato in questo album del 1973, tuttavia, che tutto si è riunito, fondendo senza soluzione di continuità irresistibili groove funk con melodie accattivanti e l’eccellente modo di suonare di Hancock, Bennie Maupin, Paul Jackson, Harvey Mason e Bill Summers. Con solo quattro tracce estese, tra cui l’ormai famoso Watermelon Man, Headhunters offre un viaggio selvaggio e pazzo pieno di ritmi ipnotizzanti e melodie vorticose. Un esame dell’incredibile carriera di Hancock che ti può portare a molte altre meravigliose scoperte.

7. Blow By Blow – Jeff Beck

Jeff Beck (classe 1944) è salito alla ribalta come parte dei rivoluzionari Yardbirds prima di formare il proprio gruppo. Dal 1975 in poi, Beck è passato a uno stile prevalentemente strumentale, ottenendo il plauso della critica per le sue esplorazioni innovative, tra cui non meno di sei Grammy Awards per la migliore performance strumentale rock, e l’ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame. Blow By Blow (del 1975), che presenta un mix di cover e originali di Beck, rimane un pezzo straordinario nella lunga carriera del grande e schivo chitarrista inglese. Supportato da Max Middleton alle tastiere (i cui crediti includono il lavoro con Kate Bush, Chris Rea e John Martyn), Phil Chen al basso (Ray Manzarek, Rod Stewart) e Richard Bailey alla batteria (Steve Winwood, The Who), oltre a un non accreditato apparizione come ospite di Stevie Wonder, Jeff Beck, al secolo Geoffrey Arnold Beck, scivola attraverso questa musica con invidiabile facilità e bravura. Che spazia dal jazz-funk e blues-rock alla meravigliosamente sinfonica Diamond Dust, qui ce n’è per tutti i gusti. In quasi ogni momento, la chitarra di Beck brilla come una vena d’argento.

6. The Inner Mounting Flame – The Mahavishnu Orchestra

Formatosi a New York City nel 1971, il gruppo fusion jazz-rock The Mahavishnu Orchestra conteneva tra i suoi ranghi una quantità piuttosco scarsa di talento. I supergruppi, come sappiamo, non sempre sono all’altezza del loro potenziale, sicuramente i TMO lo hanno fatto, pubblicando una serie di album strumentali estremamente divertenti e altamente influenti. Fondamentalmente, la band non ha mai ceduto all’autoindulgenza. Hanno subito diversi cambi di formazione, ma probabilmente il loro debutto, Inner Mounting Flame (1971) mostra il più stradinario fra i tanti cambi. Abbiamo John McLaughlin, l’uomo che ha dato lezioni di chitarra a Jimmy Page. McLaughlin è stato una parte fondamentale della migliore musica inglese negli anni ’60, ha suonato con Jimi Hendrix e ha suonato in alcuni degli album storici di Miles Davis. L’eccezionale Rick Laird, che ha lavorato con molti dei migliori jazz, fornisce il basso. Il grande batterista fusion Billy Cobham, che ha lavorato anche con Davis, prende le bacchette, il virtuoso Jerry Goodman suona il violino e nientemeno che Jan Hammer (che sarà sempre ricordato per avere composto la sigla di Miami Vice) suona le tastiere. I risultati incendiari sono semplicemente straordinari.

5. Millions Now Living Will Never Die – Tortoise

Per quanto riguarda i titoli degli album, questa uscita del 1996 dei post-rock americani Tortoise (su Thrill Jockey), deve sicuramente essere certamente inserita nella nostra top ten, con i migliori. La frase è un riferimento ai primi giorni della fede dei Testimoni di Geova, e in un modo strano fa un grande lavoro nel definire la musica misteriosa e alla ricerca che si trova in questo album. In effetti, i Tortoise sono stati costantemente (e giustamente) individuati come una delle prime e più influenti band del genere post-rock, termine tanto limitante quanto illuminante, ma solo pochi secondi di ascolto ti convinceranno che Millions Now Living Will Never Die è un disco eccezionale. Questa è musica che sembra provenire da qualunque pare e dal nulla. Atmosferico? Certamente, ma c’è molto di più da fare. I Tortoise raggiungono luoghi, bassi e alti, che altri artisti non notano nemmeno. Il rock glaciale si scontra con nuovi suoni, esplorazioni chitarristiche introspettive (ma mai auto-indulgenti), trip-hop scintillante, linee di basso minacciose e colonne sonore jazz da corsa. La band rappresenta un meraviglioso promemoria del tipo di musica ambiziosa e di vasta portata fiorita nella seconda metà degli anni ’90.

4. Surfing With The Alien – Joe Satriani

Non ci possono essere molti chitarristi più celebrati di Joe Satriani (classe 1956). Satriani è stato insegnante di chitarra di Steve Vai prima di intraprendere una carriera da solista di incredibile successo, che gli è valsa quindici nomination ai Grammy e milioni di vendite. Surfing With The Alien (1987) è il secondo album in studio del chitarrista italo americano (i nonni erano di Piacenza) e uno di quelli che lui ricorda con maggiore affetto. Registrato con un budget di soli 13.000 dollari, l’album sfoggiava una copertina accattivante, che consisteva in un pannello del fumetto Silver Surfer della Marvel. Le suddette restrizioni di bilancio, infatti, hanno contribuito al suono distintivo del disco, un mix di esecuzione dal vivo e ritmi programmati. Per risparmiare denaro, la maggior parte dei ritmi è stata generata utilizzando delle drum machine, con l’aggiunta di sovraincisioni di percussioni dal vivo. Solo uno degli straordinari assoli di chitarra di Satriani è stato elaborato in anticipo, il resto è stato improvvisato sul momento. Sfacciato, audace, pesante e inesorabilmente giocoso, Surfing With The Alien è saldamente fissato al suo tempo. Non puoi confonderlo con nessun altro decennio oltre agli anni ’80, ma è proprio questo che fa funzionare così bene questo disco. È un vero portento dall’inizio alla fine.

3. Passion And Warfare – Steve Vai

Il tre volte vincitore del Grammy Award Steven Siro Vai, meglio conosciuto nel mondo come Steve Vai, può annoverarsi tra i chitarristi più ammirati di tutti i tempi. Ha iniziato nell’ambiente intimidatorio e stimolante della band di Frank Zappa, e ha continuato a godere di una carriera di grande successo, sia da solista che in collaborazione con una miriade di grandi. Passion And Warfare (1990) è stata la seconda uscita in studio di Vai e un progetto piuttosto intrigante. Basato su una serie di sogni che Vai ha vissuto durante la sua giovinezza, Vai stesso ha descritto in modo memorabile l’album come “Jimi Hendrix incontra Gesù Cristo a una festa che Ben Hur ha organizzato per Mel Blanc” (in un’introduzione al libro di musica di accompagnamento del disco). Vai non è altro che dedito alla sua arte, arrivando al punto di digiunare per diversi giorni per mettersi nel giusto stato mentale per uno dei brani più celebrati del disco, For The Love Of God. Passion And Warfare, grandioso a volte, esilarante e incendiario a volte, è un viaggio onnicomprensivo. È un album che richiede un buon paio di cuffie e un’immersione totale. Certamente non deluderà.

2. Machine Is Not Broken – Paul Newman

Si può essere perdonati per non aver sentito parlare dei Paul Newman, un gruppo con sede ad Austin che, tra il 1997 e il 2005, ha pubblicato quattro album straordinari. È giusto dire che, al di fuori del loro stato natale, il Texas, potrebbero essere in molti a non averli mai sentiti nominare. La band ha scelto il proprio nome non solo come tributo al grande attore omonimo, ma dal vero nome del loro bassista. Accanto al già citato Newman, troviamo Craig McCaffrey (chitarra, voce), Anthony Nozero (batteria, tuba) ed Edward Robert (basso, elettronica). la band era, soprattutto, interamente deditia alla ricerca proprio suono. Avremmo potuto scegliere uno qualsiasi dei loro album per questa lista, ma Machine Is Not Broken (del 2000) è un buon punto di partenza. In ogni traccia di questo disco è possibile sentire l’attenzione e la guida dei musicisti. Meritano certamente di essere più conosciuti.

1. Surfers’ Choice – Dick Dale & His Del-Tones

Non si può parlare di album rock strumentali senza menzionare Richard Anthony Monsour, alias Dick Dale. Nato nel 1937, Dale è stato indiscutibilmente il pioniere della musica surf, strettamente associata alla cultura del surf, combinando scale mediorientali con la sperimentazione del riverbero e il tremolo ad alta velocità (e sorprendentemente fluido). Rimane uno dei chitarristi più influenti nella storia della musica popolare, cui tutti, da Hendrix e Townshend a Brian May, che gli riconoscono il merito di avere fatto da apripista. Dick Dale ha anche contribuito a portare avanti la tecnologia alla base del suono, lavorando insieme a Leo Fender per sviluppare sistemi di amplificazione rivoluzionari. Al momento della realizzazione di questo disco il re del surf aveva compiuto 50 anni, senza avere (o dovere) più nulla da dimostrare. In molti sono rimasti (piacevolmente) sorpresi per l’assoluta maestosità di questo disco, che contiene dodici brani (di cui dieci originali) di incredibile potenza. Questo disco si presenta come il lavoro di un giovane anticonformista, pieno di idee e ardente di energia. Dick Dale suona in modo innovativo e volubile come mai prima. Il risultato è straordinario. Ad essere sinceri questo disco contiene piccoli frammenti di voci, in uno o due punti, ma, spiritualmente e concettualmente, ci sentiamo di inserirlo fra il rock strumentale.

— Onda Musicale

Tags: Led Zeppelin, Jeff Beck, Miles Davis, Yardbirds, John Paul Jones
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