Il 2016 è stato un anno tremendo per la musica. Se ne sono andati alcuni dei più importanti protagonisti della scena internazionale, da Bowie a Prince, passando per Leonard Cohen e Glen Frey, sempre che serva fare qualche nome.
Del resto in Italia l’anno è iniziato col pop acqua e poco sapone di Alessandra Amoroso e si è chiuso con Tiziano Ferro, pop non molto più consistente e adulto di quello dell’ex vincitrice di Amici: cosa potevamo mai aspettarci? Quel che segue è una veloce carrellata del peggio che il nostro mondo musicale ci ha tirato addosso, come pietre in una lapidazione.
Abbiamo conosciuto Elisa come una versione asessuata di Alanis Morrisette, e ci piaceva. Col tempo l’abbiamo vista cercarsi una sua strada, trovando una fortunata formula tra rock e melodia che ci faceva apprezzare il suo talento compositivo, la sua voce e anche il suo essere così poco italiana.
Poi Elisa ha deciso che voleva godersi la gioventù passata a suonare e cantare, e da adulta si è ritrovata a fare il giudice di Amici e a flirtare con Emma e col mondo che Emma rappresenta. Ecco On, il disco pop di Elisa. Cioè un coacervo di leggerezza senza sostanza, come bolle di sapone fatte con un fucile di precisione. Nessuna canzone degna di nota, nessun suono degno di nota. Elisa si diverte parecchio, dice, noi molto meno.
Loredana Bertè, Amici non ne ho… amiche sì. Sempre nel giro di Amici è ormai in pianta stabile Loredana Bertè, che non contenta della china non esattamente esaltante che ha preso la sua carriera ha deciso di affidarsi alle cure di Fiorella Mannoia, una che sta alla produzione come Cruciani sta alla diplomazia. Il triste risultato è Amici non ne ho… amiche sì, una delle operazioni di duetti più imbarazzanti che memoria umana ricordi. Nomi improbabili uno di fianco all’altro, a dimostrazione che avere un passato importante non comporta necessariamente avere un presente dignitoso.
Alessio Bernabei, Noi siamo infinito. Ma siccome piove sempre sul bagnato, neanche il tempo di aver archiviato i Dear Jack che non ti salta fuori il cantante col ciuffo in veste solista. Sì, Alessio Bernabei, ex Amici, anche lui, ha presentato a Sanremo Noi siamo infinito, un brano EDM che reitera per tre minuti e venti il titolo della canzone. Un brano che si è meritato un zero in pagella, al Festival, cui ha fatto seguito un album che ce l’ha fatto rivalutare. Tremendo.
Francesca Michielin, Di20are. Ogni anno è Sanremo a anticipare i giochi, in musica, e quest’anno molti davano per favorita colei che in effetti è finita al secondo posto, Francesca Michielin. Questo passaggio ci ha procurato il repack di Di20, divenuto Di20are, il nulla impacchettato da nulla. Perché la Michielin è una interprete che si diverte a emulare di volta in volta Lorde, Mengoni, Malika Ayane, come fossimo a Tale e Quale Show. Ecco, lì magari potrebbe anche fare bene.
Francesco Renga, Scriverò il tuo nome. Con Scriverò il tuo nome Francesco Renga tenta la via del giovanilismo. E non gli riesce molto bene. Perché le canzoni non mettono in risalto la sua dote principale, la voce, e perché a interpretare testi piuttosto banalotti, in tutti i casi, non è impresa così edificante. Per uno che ha vinto Sanremo con un brano dedicato a sua figlia, magari, un po’ più di maturità non guasterebbe.
Elodie, Sergio Sylvestre, Gio Sada…Un unico agglomerato che vede coinvolta gente come le varie Elodie, i vari Sergio Sylvestre, i vari Gio Sada, i vari Urban Strangers si muove nel mercato. Il che equivale a dire che si muove in un limbo privo di vita. Sono tutti nomi che, grazie a Dio, ci dimenticheremo nel giro di pochi mesi, per ora stanno qui, occupano militarmente la televisione e ci ammorbano con canzoni tremende.
Raige, Alex. Parliamo di Raige, da Torino senza furore, che con il suo Alex mette in atto un tentativo poco riuscito di ripercorrere le orme di Nesli, dal rap al pop. Mancano però le canzoni forti, e chi arriva secondo, in genere non può neanche contare sull’effetto sorpresa.
Il Volo, Terme di Caracalla. E se Il Volo quest’anno ha disertato Sanremo, grazie a Dio, ci è però toccati sorbirceli alle Terme di Caracalla, a fare al verso ai tre Tenori. Si tratta, a memoria d’uomo, del primo caso di seppuku canoro, perché il confronto è davvero agghiacciante. Loro, però, continuano imperterriti, come se si fossero prefissi di rovinare quel poco di reputazione che abbiamo all’estero. Archiviato il bel canto possiamo contare solo sulla pasta e la pizza, sia messo agli atti.
Briga, Talento. Ecco il capitolo Briga. Il suo nuovo album, Talento, un titolo per il quale è stata sporta denuncia per crimini contro l’umanità, riesce nella difficile impresa di far apparire simpatico il rapper romano, tanto è goffo nel tentativo di apparire bravo. Mettiamola così, se dalle sue parti per chiamare uno che si crede chissà chi si dice “si crede stocazzo”, per lui andrebbe coniato il più idoneo “stocazzetto”.
Nek, Unici. Di Nek e Unici ho scritto che si tratta del più brutto album di tutti i tempi. Usavo chiaramente la figura retorica del paradosso. Non è il più brutto album di tutti i tempi, ma ci va sicuramente vicino. E dimostra come l’electropop può ammazzare un uomo morto.
Benji e Fede, 0+. Unici non è l’album più brutto di tutti i tempi anche perché, altrimenti, Benji e Fede e il loro 0+ cosa dovrebbero essere? Chiaro, non fanno musica, i due ragazzini col ciuffo, ma quella robetta lì. Vendono tanto, dirà qualcuno, ma sprecarsi in paragoni con McDonald’s, Fabio Volo o affini sembra troppo.
Laura Pausini, Laura Xmas. Anche perché questi paragoni potremmo spenderli per l’album natalizio di Laura Pausini, non fosse che, e qui c’è la prova che anche a Dio questo utilizzo orribile del Natale non è piaciuto, questa operazione non ha incontrato il placet del pubblico. Succede sempre più spesso, del resto, e questo ci ridona fiducia nel genere umano. Meno in Laura Pausini, che prosegue imperterrita a strillare come fossimo fossimo alla fiera della piadina di Cattolica. Laura ha avuto a disposizione il fior fiore delle firme italiane, da Ruggeri a Fossati, passando per De Gregori, e via via, Fabi e Silvestri. Ora invece si affida ai giovani, si fa arrangiare da un ragazzo e il suo album suona come lei fosse una ragazza, ma una ragazza che ha fatto un disco davvero brutto. Nostalgia canaglia.
Marco Mengoni, Live. Il live di Mengoni, o meglio, il nuovo live di Mengoni, è il nuovo live inutile di Mengoni. Un cantante senza repertorio decide di metterlo tutto in un doppio cd, come per accanimento terapeutico nei nostri confronti. In più ci mette dei singoli banalotti e francamente a loro volta non in grado di costruire un repertorio. Come dire, tutto da rifare.
Tiziano Ferro, Il mestiere della vita. Chiudiamo con Tiziano Ferro, che arriva a fine anno e ci regala il primo album di inediti dopo cinque anni. Regala… è vero che a caval donato non si guarda in bocca, ma magari poteva anche regalarci qualcosa di più interessante. Perché anche sul nuovo ci sarebbe parecchio di ridire. Prendete i primi tre album del nostro, miscelateli, togliete le belle canzoni, togliete i bei testi, ed ecco Il mestiere della vita. Stavolta, invece che copiare dagli altri, copia da sé, e lo fa male. Copia anche il titolo, da Pavese, e pure lì lo fa male. Insomma, speriamo nel 2017.
(tratto da www.il fattoquotidiano.it – di Michele Monina – link)
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