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Talking Heads: ecco il brano con cui hanno criticato il sogno americano

Avete mai avuto la sensazione che la vostra vita fosse fuori controllo? David Byrne dei Talking Heads si.

Intorno a lui vedeva persone che sembravano non comprendere il vero significato del mondo che li circondava, che non capivano del perché erano motivate a perseguire determinati desideri, vestirsi con determinati abiti o sognare determinati ideali. Per il frontman dei Talking Heads, l’America sembrava essere piena di persone che vivevano le loro vite “semi svegli o con il pilota automatico“.

Questa osservazione sorprendente, e decisamente distopica, alla fine ha trovato la sua strada in una delle canzoni di maggior successo dei Talking Heads, una traccia che critica sottilmente (ma non più di tanto) l’apatia del cittadino medio americano e i suoi comportamenti confusi.

Il suono dei Talking Heads è un mix di molte influenze

Quattro studenti d’arte che scrivono canzoni punk secondo le strutture e i ritmi del funk e dell’afrobeat non suona esattamente come una formula vincente. Eppure, ha preso d’assalto il mondo. Negli anni ’70 pochi gruppi avevano la capacità di fondere aspetti dell’avanguardia con il commento sociale con lo stesso successo dei Talking Heads. Ci aveva provato quel genio di Frank Zappa, ma le sue canzoni erano intellettualizzate in un modo diverso rispetto ai Talking Heads. Laddove Zappa ha visto un’opportunità per mostrare la sua intelligenza e le sue capacità di derisione, i Talking Heads hanno visto un’opportunità per lanciare strane forme sulla pista da ballo e scrivere riff accattivanti. E (forse) l’esempio più memorabile di questo in azione è il brano “Once In A Lifetime” del 1981, primo singolo estratto dal disco “Remain The Light“.

Nel 1981 i Talking Heads pubblicano tre album in studio

Ognuno dei tre dischi ha un carattere unico. Per la loro sucecssiva avventura in studio, David Bryne, Chris Frantz, Tina Weymouth e Jerry Harrison volevano creare qualcosa di diverso e così hanno tentato qualcosa che non avevano mai provato prima. Piuttosto che aspettare l’arrivo di David Bryne con una serie di canzoni pre-scritte, hanno deciso di seguire un esempio dato da Fela Kuti (l’inventore dell’afro-beat) e di registrare una serie di jam session estese, con ciascuno dei membri ancorato ad un motivo musicale ripetuto o a uno schema ritmico, fino a quando tutte le parti separate avrebbero formato una traccia coesa. Queste jam session hanno prodotto una serie di brani che alla fine avrebbero trovato la loro strada nel disco “Remain In Light” (quarto disco, del 1980). Uno di questi era “Right Start“, che, dopo una serie di rielaborazioni ed errori fortuiti in studio, alla fine è diventato “Once In A Lifetime“.

I dubbi di Brian Eno

Il grande produttore e compositore britannico Brian Eno, che ha lavorato con i Talking Heads per produrre il brano, “Once In A Lifetime” ha sollevato un problema: i suoi ritmi fortemente sincopati e le linee di basso cariche di ritmo avrebbero potuto trasformarlo in un brano ballabile. E a lui non piaceva l’idea. Byrne ha cercato di rassicurarlo garantendo che sarebbe stato in grado di inventare qualcosa, e alla fine è tornato in studio con quel famoso ritornello di chiamata e risposta. Il resto del gruppo disse a Byrne che ricordava loro uno di quei predicatori cristiani, quindi Byrne si sedette e ascoltò le trasmissioni radiofoniche sulle stazioni religiose, usando la fraseologia e le intonazioni vocali dei predicatori per trarre la sua ispirazione.

La critica all’American Dream

Che fosse già nella sua mente o semplicemente frutto dei sermoni antimaterialisti del predicatore, si può capire che i testi finali di Byrne criticano il sogno americano. Come Bryne noterà in seguito, “Once In A Lifetime” tocca l’idea che perseguire un ideale capitalista è fondamentalmente inutile. Il predicatore che Bryne ritrae sembra offrire un monito ai suoi ascoltatori, nominando tutti i tratti distintivi del sogno americano – la “grande automobile”, la “bella moglie”, la “bella casa” – solo per dipingere un quadro di un uomo che, nonostante abbia tutte queste cose, si sente ancora vuoto e alienato.

Questa non è la mia bella casa.

Questa non è la mia bella moglie.

Mio Dio, cosa ho fatto?

Le parole di ques’uomo, secondo Byrne, sono un esempio di malessere radicato nella cultura. Gli individui, si intuisce dal testo, sono spinti a perseguire uno stile di vita che è stato loro venduto (e imposto) fin dalla nascita. L’uomo immaginario di cui canta Byrne non sta operando sotto la sua volontà ma sta guidando lungo l’unica strada a sua disposizione. Ed è solo quando raggiunge la fine di quella strada. E solo allora capirà cosa ha perso lungo il tragitto.

(fonte: faroutmagazine.co)

— Onda Musicale

Tags: Talking Heads, Brian Eno
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