In primo pianoMusica

Brothers in Arms, il più grande successo dei Dire Straits

La cover di "Brothers in Arms"

Brothers in Arms esce nel Regno Unito il 13 maggio del 1985. Il quinto album dei Dire Straits è uno dei più importanti della storia del rock, il più venduto in Gran Bretagna degli anni Ottanta.

Quando esce Brothers in Arms i Dire Straits sono un gruppo che dal 1977 ha conosciuto una crescita continua. Come spesso capita, i fan più duri e puri rimangono affezionati ai suoni degli esordi, tanto da ritenere i primi lavori quelli migliori; la realtà dei numeri, però, dice che le vendite vanno in crescendo.

Brothers in Arms, in questo senso, segnerà l’apice della carriera della band di Mark Knopfler. Il disco vende infatti ben 35 milioni di copie, ottiene una serie di riconoscimenti pressoché infinita e consegna alla storia un pugno di singoli killer. Non solo, il lavoro entra nella storia anche per essere uno dei primi a imporre il formato del compact-disc.

I Dire Straits nascono nel 1977 a Deptford, cittadina della provincia inglese. Il complesso si forma attorno a due fratelli chitarristi, Mark e David Knopfler, affiancati da John Illsley al basso e Pick Withers alla batteria. Si fanno chiamare Cafè Racers e suonano in piccoli locali dei dintorni, senza troppo riscontro.

La loro storia non pare destinata al successo, tanto più che Mark – leader naturale – ha già quasi trent’anni e lavora proficuamente come insegnante e giornalista. Il suo approccio alla carriera musicale è piuttosto timido e – nonostante la sua incredibile tecnica – il musicista non ha grande autostima.

Il suo stile è peculiare; mancino di natura, Mark impara a suonare da destrorso. L’ispirazione è dovuta in parte al blues, quello rilassato di J.J. Cale più che quello ad alti ottani di Jimmy Page, e al country di Chet Atkins. Il suo fingerpicking da autodidatta gli permette di dare sonorità nuove agli assoli.

La voce sussurrata e solo a volte più roca e forzata lo fanno paragonare da alcuni a un Bob Dylan intonato; i testi sono crepuscolari e cinematografici, diversi sia dal disimpegno della musica commerciale che dalle provocazioni del punk. Grazie a una serie di coincidenze fortunate, il successo arriva già dal debutto eponimo. Seguono Communiqué, Making Movies e Love Over Gold, tutti di crescente successo.

Successo che però arriva non senza fare danni. Già nel 1980, durante le session di Making Movies, David abbandona, ufficialmente perché in disaccordo su alcune parti di chitarra. David è ansioso di darsi alla carriera solista, che però sarà priva di grandi acuti. Due anni dopo è Pick Withers a lasciare: vuole suonare jazz e stare più tempo con la famiglia.

Alla vigilia di Brothers in Arms sono ancora presenti della formazione originale solo Mark Knopfler e John Illsley; in compenso, si sono aggiunti Terry Williams alla batteria, Alan Clark alle tastiere e Guy Fletcher, valente polistrumentista. Proprio Guy, che nel disco si occupa dei sintetizzatori, da allora sarà fidato collaboratore di Mark.

Alla formazione si unisce un cospicuo gruppo di ospiti e turnisti. Il suono non risente troppo dei cambi di formazione, anche perché – diciamolo – i Dire Straits sono essenzialmente Mark Knopfler, nel bene e nel male.

Il disco viene registrato tra Montserrat – piccolo paradiso caraibico – New York e Londra. Alla produzione Knopfler è affiancato dal capace Neil Dorfsman. L’obiettivo è quello di sfondare definitivamente in America, missione che richiede qualche compromesso commerciale. I suoni si fanno così più prossimi al pop, pur senza tradire quel sound che è ormai un marchio di fabbrica della band.

Le ispirazioni sono sempre le stesse, poliedriche, dei precedenti lavori; rock’n’roll, country, una spruzzata di blues rilassato. Si aggiunge il pop, con i riff che a volte risultano appannaggio dei sintetizzatori, per un’atmosfera molto più consona agli anni Ottanta.

La copertina, che entra diritta nella storia, è semplice. L’immagine ritrae la chitarra resofonica National Style-O del 1937 di Mark Knopfler che si staglia nel cielo.

All’epoca, mettendo il vinile sul piatto o il futuribile compact disc nel riproduttore, il primo suono udibile è quello della chitarra di Mark Knopfler in So Far Away. Il brano è il primo singolo europeo e riscuote subito grande successo. Il suono è quello di una rilassata ballata, con le discrete tastiere di Fletcher a fare da tappeto. La vocalità di Mark è leggermente più ruffiana del solito, quasi ricalcata sullo Springsteen dell’epoca.

La chitarra dipinge pochi passaggi che rimangono iconici; chi si aspetta il solito assolo alla Mark Knopfler rimane però deluso: la sei corde del bandleader rimane sempre sullo sfondo.

Passa qualche secondo e arriva la storia della musica. La voce inconfondibile di Sting introduce un crescendo quasi rumoristico, poi è il momento di uno dei riff più iconici degli anni Ottanta, quello di Money for Nothing. L’idea della canzone venne a Knopfler ascoltando dei corrieri di un grande magazzino di New York; i lavoratori si lamentavano – guardando MTV, della differenza di stile di vita delle rockstar.

Pur essendo il tutto in chiave ironica, la sorte ci mette del suo: è proprio il brano che prende in giro rockstar e MTV a proiettare la band sugli schermi della rete televisiva; tutto grazie anche a un accattivante videoclip che all’inizio non convince Knopfler.

Musicalmente il brano è basato sull’iconico riff ma di nuovo non lascia spazio ai proverbiali assoli del chitarrista. Anzi, il sintetizzatore punteggia l’arrangiamento in modo abbastanza patinato. Il suono della chitarra è ottenuto collegando la Gibson Les Paul a un amplificatore Laney. Il tentativo, secondo Dorfsman, è quello di ottenere un suono duro e patinato al tempo stesso, ispirato agli ZZTop.

Gli interventi di Sting, specie quello nel finale, danno il tocco di classe a un brano che definire storico pare poco.

A completare un tris d’attacco irripetibile ecco arrivare Walk of Life, altra leggenda del canzoniere Dire Straits. Il tema, questa volta, è dettato dalla tastiera, con una sorta di riff che entra sparato nell’iconografia pop. La chitarra si prende solo la parte ritmica, con dei power chord tipici del rock’n’roll di Chuck Berry e qualche isolato fill.

Il testo è un vero omaggio ai cantastorie rock’n’roll che passavano la vita sulla strada, tra un locale l’altro. Forse proprio la vecchia Johnny B. Goode è la vera, sincera ispirazione del pezzo.

Here comes Johnny singing oldies, goldies/ Be-Bop-A-Lula, Baby What I Say/ Here comes Johnny singing I Gotta Woman/ Down in the tunnels, trying to make it pay

Ancora una volta manca l’assolo di Mark Knopfler: immaginiamo l’ascoltatore dell’epoca, indeciso se lasciarsi andare a un trittico d’esordio leggendario o arrabbiarsi per la mancata verve chitarristica. Avrà di che ricredersi.

Il brano è molto allegro, tanto che Dorfsman avrebbe voluto lasciarlo fuori da Brothers in Arms, album che a dispetto dell’attacco ritiene profondo e impegnato. Il ritmo infatti comincia a rallentare con la soffusa Your Latest Trick.

Il brano inizia con un botta e risposta tra sassofono e chitarra. Il sax è quello – ispiratissimo – di Michael Brecker, che presto prende la scena dettando un tema che rimane tra i più riusciti della storia del rock. La voce di Knopfler recita più che cantare, con grande sicurezza e suggestione.

Come altre volte nel canzoniere di Mark, il testo rievoca due sue grandi influenze: Bob Dylan e la letteratura inglese. La canzone ha infatti la forma di una classica ballata, in rima alternata e con uso di figure retoriche frequenti, come l’allitterazione e le assonanze, oltre alla rima alternata.

Le parole raccontano di un incontro d’amore andato male; la chitarra si fa sentire un po’ di più, punteggiando il canto qua e là, ma il vero protagonista rimane l’affascinante sassofono di Brecker.

Si passa a Why Worry? lunghissima ballata in stile Everly Brothers, introdotta da una bella parte di chitarra. Il brano si dipana soffuso tra pop e country, con una batteria appena presente sullo sfondo e pigri duetti tra chitarra, basso e tastiere. Una lunga coda introduce la scarna Ride Across the Water, prima di un trittico di canzoni spiccatamente contro la guerra.

L’andamento ritmico è irregolare, con la batteria presente in modo discontinuo e interventi di flauto e sax. La chitarra cristallina di Mark si prende finalmente la scena, con fraseggi crudi e lancinanti quanto le parole dell’autore. Il lavoro alla chitarra è rimarchevole, anche se il brano è forse appesantito da un’eccessiva lunghezza.

Decisamente antimilitarista è anche la seguente The Man’s Too Strong:

I’m just and ageing drummer boy/ And in the wars I used to play/ And I’ve called the tune/ To many a torture session/ Now they say I am a war criminal

Non bisogna dimenticare che all’epoca la Gran Bretagna e tutto il mondo erano scossi dall’insensato conflitto tra Regno Unito e Argentina per il controllo delle Isole Falkland.
L’andamento del pezzo è prevalentemente acustico, un vero e proprio assaggio del suono futuro del Knopfler solista, devoto al folk.

Qualche squarcio elettrico che evoca scenari di guerra e timide parti soliste all’acustica rendono il brano particolarmente suggestivo.

One World è un rock più sostenuto, dal testo a tratti criptico e intimista. Il basso risulta più in primo piano del solito e la voce di Knopfler, molto filtrata, pare arrivare dal fondo di un pozzo. La chitarra, pur non lanciandosi in lunghe parti soliste, è onnipresente e sfoggia il tipico suono cristallino alla Knopfler.

La chiusura è per Brothers in Arms, title track e instant classic della band, tanto da divenire uno dei brani più celebrati. Il pezzo parla ancora del conflitto alle Falkland, narrando la morte di un soldato e puntando il dito contro l’inutilità di qualsiasi conflitto. Il tappeto di sintetizzatori, la voce calda e affranta di Knopfler, le evoluzioni di una chitarra mai così ispirata ne fanno un capolavoro senza tempo.

Finalmente Mark si lascia andare senza pensieri da classifica e sfoggia alcune delle sue parti chitarristiche migliori. La sei corde è dolente, con un suono pulito, rotondo che si va via via irrobustendo. Le atmosfere sono molto affini ai Pink Floyd di metà anni Settanta. Shine on you, Crazy Diamond è il titolo che in particolare viene in mente.

Se qualcuno fosse rimasto deluso dal basso profilo chitarristico tenuto dalla band per otto pezzi, Brothers in Arms riequilibra in un colpo solo il discorso.

L’album finisce qui, almeno a livello di scaletta, visto che la sua storia non è tuttora esaurita e parla di un lavoro non senza difetti ma leggendario. I suoni, per alcuni troppo compromessi col pop, sono sicuramente diversi dai lavori precedenti; tuttavia, se l’obiettivo era quello di realizzare un bestseller, i numeri parlano chiaro e smontano qualsiasi denigratore.

Diverso il discorso sul peso di un tale successo.
I Dire Straits, dalle terribili ristrettezze che avevano dato nome al gruppo, si trovano a confrontarsi con lo status di più grandi rockstar del loro periodo. Il contraccolpo, tra tour e progetti esterni, tensioni interne e appagamento, è duro. La band non esce con nulla di nuovo fino al 1991, quando On Every Streets esce mentre nel mondo esplode il grunge.

La band, che aveva trionfato all’esordio nonostante punk e discomusic imperanti, non regge al peso del suo stesso successo. L’album rimane l’ultimo a nome Dire Straits, anche se si parla di un imminente ritorno di cui non sappiamo se essere entusiasti o preoccupati.

Nel dubbio, vi consigliamo l’ennesima riscoperta di Brothers in Arms.

— Onda Musicale

Tags: Dire Straits, Mark Knopfler
Leggi anche
“Finì prima”, è online dall’11 febbraio il funerale d’amore dell’artista alieno Red Sky
Dario Cavaliere, pubblicato “Non riesco a liberarmi”