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Come le Hawaii hanno conquistato il pianeta. Israel Kamakawiwo’ole e Facing Future.

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Nel 1988 le Hawaii erano un arcipelago noto soprattutto per le vacanze al mare. È chiaro che con quel sole, le palme e i cocktail sulla spiaggia, il relax è la prima cosa cui si deve pensare.

Ma per le persone che nelle Hawaii ci vivono non è così: a Torino, dove vivo io, c’è uno dei più importanti musei egizi del mondo, ma non è che ci vada continuamente! E gli hawaiani che hanno a disposizione tutta quella pace, non se la godono di continuo. Hanno i loro problemi.

Una delle persone con un po’ di problemi è stata Israel Kamakawiwo’ole, per gli amici Iz

Obeso e cardiopatico, Iz non si preoccupava troppo della sua condizione. Beveva e mangiava e, come molti discendenti dal sangue quasi puro, aveva un certo tipo di depressione atavica dovuta alla situazione che le generazioni successive al crollo della monarchia hawaiana hanno vissuto, e tutt’ora vivono, dalla fine del ’800.

Una sera, accompagnato da un amico di bevute, il ventinovenne Israel decide di voler registrare qualche canzone, così fa chiamare un taxi e si fa accompagnare nello studio di Milan Bertosa, tra gli ingegneri più in voga delle Hawaii. Barcollando per la stazza, si avvicina alla sedia, imbraccia un ukulele e inizia a cantare una canzone che entrerà nella leggenda, il medley “Somewhere Over The Rainbow/What A Wonderful World”.

Il brano, registrato “buona la prima”, entrerà solo in un secondo momento in un disco, facendo decollare (almeno per un breve e intenso periodo) la discografia hawaiana nel mondo. Quel disco è Facing Future, pubblicato nel 1993 da Jon De Mello (preceduto in realtà da una versione upbeat in jawaiian nel disco di debutto Ka ʻAnoʻi).

Facing Future non è solo un disco di musica hawaiana

E’ il simbolo della necessità al ritorno delle antiche culture. Un disco politico, figlio di quella grande rivoluzione culturale che è stata l’Hawaiian Renaissance degli anni ’70. Un disco che vuole prendere in giro, in modo abbastanza palese, a volte, gli Stati Uniti e il danno che i coloni e i loro discendenti hanno fatto, rodendo pian piano le fondamenta stesse della cultura hawaiana.

Innanzitutto da notare il numero di brani in lingua natìa: nove su quindici. E poi le cover. Fra tutte (a parte “Over The Rainbow”) spicca “Take Me Home Country Road”, dell’americanissimo John Denver. La versione originale racconta di una donna che aspetta il suo amato di ritorno dal faticoso lavoro in miniera, dipingendo di colori bellissimi le strade di una magica West Virginia. Iz, invece, toglie ogni singolo riferimento agli Stati Uniti e lo sposta alla sua Terra: West Virginia diventa West Makaha; il verso “Life is old there/older than the trees” diventa “All my friends they’re hanging on the beach/Young and old among theme/Feel the ocean breeze”. Ma soprattutto il middle eight: la voce di lei che entra nella testa del minatore, e che gli ricorda di quanto sia bella la sua casa, diventa la voce degli antichi dèi che chiedono al popolo hawaiano di non dimenticarli.

La “chicca” contenuta nel disco

E poi l’altro piccolo gioiello del disco, “Maui Hawaiian Sup’pa Man”, scritta da Del Beazley, uno dei cantautori più importanti delle Isole. Il brano dice: “voi americani avrete i vostri eroi, che si nascondono dietro ad un paio di occhiali e ad un completo (Superman, ovviamente, n.d.r.) ma noi abbiamo Maui, il supereroe delle Hawaii!”. Maui è un semidio della mitologia hawaiana, diventato molto famoso grazie al film Disney “Oceania”. Cioè, la canzone dice che non serve inventarci gli eroi, se questi ci sono già.

I due brani più evocativi sono sicuramente “Hawai’i ’78” (resa un vero capolavoro da Israel) e “Somewhere Over The Rainbow/What A Wonderful World”.

La prima è una canzone del periodo della già citata Hawaiian Renaissance. Registrata per la prima volta dai Makaha Sons Of Ni’ihua, parla della paura di perdere la cultura e l’indipendenza che le Hawaii hanno sempre avuto. Gli antichi dèi entrano in città e al posto di vedere i prati e i monti pieni di vita rigogliosa, hanno davanti agli occhi il cemento dei palazzi e l’odore dei tubi di scappamento delle auto. La canzone è chiaramente una denuncia sugli effetti della colonizzazione nelle Isole.

Per ultima ho volutamente lasciato “Somewhere Over The Rainbow/What A Wonderful World”

Non tanto per i motivi musicologici (per esempio, è la prima volta in assoluto che il caratteristico salto di ottava all’inizio del chorus viene volutamente non cantato) o per ciò che riguarda il valore intrinseco della canzone, ma perché questa canzone è stata conosciuta postuma. Era il 1998, quando al cinema uscì “Vi presento Joe Black”, di Martin Breast, con Brad Pitt. La colonna sonora del film comprende la cover di Iz, e questo lo lancia nel mondo main stream della musica mondiale. Gli usi che si fanno del brano sono letteralmente interminabili: pubblicità, serie tv, altro cinema; e le richieste alla casa di produzione di Jon De Mello si sprecano. Qualcuno ha persino richiesto la presenza di Israel nei talk show degli Stati Uniti. Ma c’era un unico problema: Iz era morto già da qualche anno, senza che nessuno (al di la delle Hawaii) se ne fosse accorto.

In patria, Iz è ricordato ancora adesso come colui che ha saputo portare in alto la voce dei nativi hawaiani. La sua voce dolce ed evocativa lo hanno reso un simbolo, e diverse statue sono state erette in suo onore. Il giorno del suo funerale l’intera Nazione si è fermata per salutare per l’ultima volta l’”Hawaiian Sup’pa Man”.

(articolo scritto da Fabio Saba)

— Onda Musicale

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