Musica

George Harrison: “Quando guidi una macchina da corsa si tratta di un’esperienza e di un’emozione uniche”

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La passione di George Harrison per i veicoli veloci divorava quasi quella per la musica. «Avevo dodici anni quando vidi il primo British Grand Prix di Liverpool, ad Aintree», diceva

«Ho seguito la Formula Uno fino a quando non abbiamo iniziato a essere dei musicisti professionisti. Ma anche negli anni Sessanta, nonostante fossimo impegnatissimi, riuscii a vedere delle corse, soprattutto a Montecarlo».

Quando i ricavi dei Beatles iniziarono a diventare consistenti, acquistò diverse macchine potenti, compresa una Jaguar XKE, una Ferrari 365 GTC e una Aston Martin DB4. Il 28 febbraio del 1972 gli venne confiscata la patente per la seconda volta nel giro di dodici mesi dopo essersi scontrato con la sua Mercedes contro un lampione a novanta miglia all’ora, facendo sbattere la moglie Patti Boyd contro il cruscotto; la donna avrebbe trascorso le settimane successive a riprendersi dalla concussione.

L’incidente non servì ad allontanare Harrison dalla guida veloce. Verso la fine degli anni Settanta era diventato amico di Jackie Stewart, tre volte campione mondiale di Formula Uno e ormai ritiratosi. «Fu davvero grazie a lui che entrai nei box, e là dietro è tutto molto più interessante» raccontava Harrison. «Jackie era un campione mondiale assoluto, e ha vissuto per raccontarlo».

Anche se la Formula Uno poteva sembrare una scelta inusuale per un uomo che spesso liquidava la dimensione terrena dell’esistenza, Stewart sostiene che la Formula Uno poteva generare uno stadio meditativo ai confini dello spirituale. «Quando guidi una macchina da corsa fino al limite delle sue capacità, si tratta di un’esperienza e di un’emozione uniche» ha detto nel documentario Living in the material world di Martin Scorsese del 2011.

«Quando succede, i tuoi sensi sono al massimo. Penso che fosse questo ad attirare George verso le corse. Ne parlavamo spesso: dei sensi acuti, della sensazione che si prova, del tatto e dei piedi… se ascolti davvero un chitarrista fuoriclasse, o un qualsiasi musicista bravissimo, e ti rendi conto di come può far parlare la chitarra o una tastiera, o la pelle, quella è un’altra forma di acutizzazione dei sensi che va oltre la comprensione ordinaria, la conoscenza di una donna o di un uomo normale».

Harrison successivamente scrisse un omaggio per Stewart e l’intera squadra della Formula Uno, la canzone Faster del 1970. I ricavi vennero devoluti all’associazione benefica per la lotta contro il cancro del defunto pilota svedese Gunnar Nilsson, morto nel corso dell’anno. Il video vede Harrison scortato in giro da Stewart stesso.

«È facile scrivere di motori V-8 o fare vroom vroom in una canzone – ma sarebbe stata una cazzata» ha detto Harrison a Mick Brown nel 1979. «Ma sono contento dei testi perché si capisce che si tratta di un pilota specifico, ma può riguardare anche un qualsiasi pilota, e se non ci fossero quei rumori da macchina da corsa, potrebbe essere addirittura una canzone sui Fab Four, sulle gelosie e cose del genere».

Nel 1994, Harrison divenne una delle cento persone a ordinare una macchina da strada della McLaren. Tarata per fare 231 miglia all’ora, il veicolo venne messo in commercio per 640 mila sterline, l’equivalente 984 mila dollari.

«Dopo aver ordinato la F1, George rimase in attesa per settimane» racconta il designer della McLaren Gordon Murray nel documentario Living in the material world. «Ci volevano tre mesi per costruire una macchina. Erano fatte davvero a mano. Ci fece quasi impazzire mentre la costruivamo. “Ci potete mettere un altro elefante dentro?”, scherzava. Ma era divertente. Quando si avvicinò la data della consegna, non stava quasi nella pelle. Amava quella macchina, non solo perché era qualcosa di cui aveva seguito la costruzione dall’inizio fino alla sua personalizzazione, ma la amava proprio come macchina da corsa. È quasi spaventoso guidarne una: 630 cavalli senza airbag, niente freni regolari, niente sterzo regolare, nessuna trazione. George adorava quelle cose. E anche il suono che faceva».

(fonte Rolling Stone)

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— Onda Musicale

Tags: The Beatles/George Harrison
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