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Faust’O e “Suicidio”, il debutto del diamante pazzo della New Wave italiana

Faust'O

Nel 1978 arriva nei negozi di dischi Suicidio, esordio del misterioso Faust’O. L’album è il proverbiale fulmine a ciel sereno e il primo della lunga e non sempre proficua carriera di Fausto Rossi.

Quando Faust’O piomba nel mondo della canzone del nostro paese trova una situazione piuttosto fluida. Il 1977 è l’anno per antonomasia del punk; quello archetipico dei Sex Pistols, condannato a una breve stagione, ma anche quello più sperimentale di altre band. I Talking Heads escono con 77, i Suicide debuttano col disco eponimo e David Bowie aderisce alle nuove avanguardie da Berlino.

L’Italia, come sempre in ambito rock, si fa trovare impreparata.
Da una parte il movimento del rock progressivo, unico di una certa importanza in ambito rock da noi, è al tramonto. Rimangono alcuni gruppi che insistono a proporre lavori mastodontici che non trovano più mercato; altri, come PFM, Le Orme e New Trolls, tentano di riciclarsi in versioni più o meno commerciali.

Se nei primi anni il progressive aveva raggiunto notevoli punte non solo artistiche, ma anche conflittuali, con dischi di rilevanza politica, ora gli ultimi sussulti sono piuttosto scarni di contenuti sociali. Il cantautorato, spesso osteggiato dalla controcultura, si adagia sui modelli classici, pur proponendo lavori di alto profilo.

Alcuni artisti aderiscono alle nuove tendenze. La definizione New Wave inizia a serpeggiare coi Krisma, mentre personaggi come Rettore, Alberto Fortis, Ivan Cattaneo e Alberto Camerini giocano la carta della provocazione ma senza stupire più di tanto. Solo a fine anno, con MONOtono degli Skiantos, l’Italia potrà sfoggiare un bel prodotto autenticamente punk.

In questo panorama si mette in luce Fausto Rossi, ventiquattrenne cane sciolto che si ispira al Glam di Bowie e Roxy Music, ma anche a Sparks e alla New Wave appena nata. Fausto è un personaggio perennemente sopra le righe, dotato di grande carisma, di una voce duttile e di un solido background pianistico.

Il disco si fa subito notare anche per una serie di contraddizioni.
Pur risultando sinceramente rivoluzionario e contro il sistema, la società, il mondo discografico e qualsiasi altra cosa possa venire in mente, è pubblicato dalla CGD, una major. Inoltre, il lavoro è registrato negli studi della Ricordi e si avvale di un ottimo produttore, Oscar Avogadro, e degli arrangiamenti del grande Alberto Radius.

Se Faust’O vuole distruggere il sistema, è chiaro che lo vuole fare agendo dall’interno.

La copertina di Suicidio rimanda immediatamente a David Bowie, quello di Heroes in particolare. La foto in bianco e nero e il primo piano del volto di Faust’O, con gli occhi bistrati e l’espressione indecifrabile, tutto rimanda all’immaginario berlinese di David.

La musica di Suicidio è priva di barriere di genere.
Gli arrangiamenti di Radius si muovono nell’ambito dell’art-rock, svariando tra passaggi New Wave al limite del punk, tastiere sintetizzate, piani quasi classici, pop e vaghi accenni progressive. Negli anni Fausto Rossi rinnegherà in parte certi passaggi ritenendoli troppo pomposi e attribuendoli a ingerenze della produzione; tuttavia, Suicidio suona ancora oggi fresco e attuale.

La voce di Rossi è poi eccezionale e duttile.
Ora rabbiosa, ora in falsetto, sempre estremamente espressiva e con una varietà di timbri invidiabile. Specie per un esordiente di ventiquattro anni.

Il disco si apre coi tre minuti di Intro, annunciati dallo squillo di un telefono e dai vagiti insistenti di un bambino. Un’inquietante risata introduce un pezzo strumentale che rimanda a certe colonne sonore di genere degli anni Settanta.

Esaurita l’intro si passa subito a fare sul serio, con Suicidio.
La title track è una sferzata di New Wave espressionista, con la voce di Faust’O che pare quasi recitare. I cambi di registro vocale sono perfettamente in tema con un testo che non inneggia – come potrebbe sembrare – al suicidio; le parole sono piuttosto una disincantata accusa alla noia e al conformismo dilaganti.

A livello strumentale troviamo il basso di Stefano Cerri in particolare evidenza, così come la sublime chitarra di Radius; le parti soliste sono brevi ma di grande impatto. Non è da tutti lasciare come prima impronta nel mondo discografico un vero e proprio instant classic.

Si prosegue con una veloce ballata quasi cabarettistica, Godi.
Il testo – di Oscar Avogadro – è un j’accuse verso il perbenismo, la censura sessuale e la chiesa, senza freni e peli sulla lingua.
“Godi, però di nascosto/ nel cesso, nel bosco/ nell’ultimo posto in cui Dio ti vedrà”

Si prosegue con Bastardi, pezzo che spariglia ancora le carte a livello musicale.
L’incedere è cupo e quasi minaccioso, e ricorda un po’ la rocciosa Io sono uno Skianto degli Skiantos di qualche mese dopo. La voce è qui profonda e sussurrata, con il basso – stavolta di Louis Viviers – in grande spolvero.

Il testo è di nuovo d’accusa, con Faust’O che sfoggia nel ritornello un timbro che ricorda quasi Renato Zero.

Si passa a Piccolo Lord, brano autobiografico che parte con una lunga intro di piano e chitarra quasi progressive. Entra poi la voce di Faust’O e siamo in piena canzone d’autore. Il testo rievoca l’infanzia di piccolo pianista, con Fausto che si esibisce per volere della madre davanti alle amiche. Le donne sembrano però non aspettare altro che il Piccolo Lord sbagli per coglierlo in fallo.

In un crescendo quasi da teatro canzone, Faust’O si prende la scena narrando la ribellione – solo immaginaria – del piccolo pianista. Una seduta psicanalitica in chiave musicale, un pezzo che da solo vale l’acquisto dell’album, con continui cambi di ritmo e atmosfera. E un monito a quei genitori che pretendono la perfezione dai propri figli, costruendo spesso infelicità senza ritorno.

Da non perdere lo stupendo assolo finale di Alberto Radius, musicista impareggiabile e mai troppo ricordato.

La seconda facciata si apre con Eccolo Qua, pezzo tra Rino Gaetano e certe cose del primo Enrico Ruggeri. Ancora sugli scudi la chitarra di Radius e l’istrionica prestazione di Faust’O, ancora di stampo quasi teatrale. Straniante la lunga coda di sintetizzatori.

La seguente Il Mio Sesso cita in modo quasi letterale la My Sex degli Ultravox, ma in pura versione faustiana. Il testo propone una sorta di surreale dialogo col proprio sesso, mentre musicalmente abbiamo i consueti e inusitati cambi di atmosfera di cui il disco è pieno.

C’è un Posto Caldo attacca con un sorprendente falsetto che racconta dal punto di vista di un bambino i fatti piuttosto sconvenienti a cui assiste. La chitarra – stavolta di Mauro Lettini – ricama belle parti soliste, mentre il testo – all’epoca scandaloso – prosegue ambiguo. Uno squarcio melodico di piano si contrappone all’andamento sostenuto del brano.

Si torna dalle parti della pura canzone d’autore con l’attacco di Innocenza; un brano che si regge tutto su una strumentazione classica, col piano a dominare, e che deve aver ispirato molto Francesco Bianconi e i Baustelle. Nonostante l’andamento delicato e melodico, il testo è la tagliente descrizione di un rapporto malato di una coppia.

Una canzone che ancora oggi è di una bellezza e amarezza disarmanti.

Suicidio si chiude con Benvenuti tra i Rifiuti.
Il pezzo empatizza per l’ennesima volta con tutte le figure ai margini, identificate appunto coi rifiuti. Il testo non è altro però che una nuova accusa alla società, a ricchi, poveri e politicanti figli della merda, contrapposti a un mondo povero e sommerso che non rifiuta però la solidarietà a nessuno.

Radius ricama a modo suo degli intarsi di chitarra quasi dissonanti; la lunga coda propone invece oltre tre minuti di tastiere analogiche, quasi a richiamare i Roxy Music.

Suicidio è insomma un piccolo capolavoro, spesso sconosciuto al grande pubblico. Un lavoro che unisce la New Wave alla canzone d’autore, l’attitudine punk al teatro canzone. Inevitabile che a volte il tutto risulti disorganico, se non disarticolato; tuttavia, il carisma e la personalità di Faust’O sono tali che all’epoca è impossibile non pensare al primo capitolo di una carriera leggendaria.

E invece, Fausto Rossi finisce per essere un po’ la prima vittima di se stesso, mettendo insieme un percorso che dura tuttora pieno di saliscendi. I successivi Poco Zucchero e J’accuse… amore mio segnano altri due colpi e gli danno qualche successo commerciale. L’aderenza maniacale a un’avanguardia senza compromessi e l’atteggiamento verso il mondo discografico finiscono però per mettere Faust’O ai margini del grande giro.

Fino a oggi, quando Rossi continua imperterrito per la sua strada, rilasciando dichiarazioni spesso discutibili che prendono di mira i grandi nomi della storia della musica.

Certi eccessi non sminuiscono però per nulla l’importanza di Faust’O nel periodo tra fine anni Settanta e inizio Ottanta. Anni in cui l’ascolto di Suicidio ci proietta immediatamente.

— Onda Musicale

Tags: Enrico Ruggeri, Talking Heads, David Bowie, Baustelle, Rino Gaetano, Skiantos
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