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E se non fosse Sgt. Pepper’s, ma Pet Sound il primo concept della storia della musica?

Secondo molti, il primo concept album della storia è “Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band” dei Beatles.

In realtà pare che il primato se lo passino di mano in mano in molti: “Freak Out!” dei Mothers of Invention, “Blonde on Blonde” di Dylan, e persino lo sconosciuto disco “I Hear a New World” di Joe Meek, registrato nel 1959 ma pubblicato solo nel 1991. Il disco venne presentato come “fantasia musicale da un altro spazio”.

È chiaro, comunque, che chiunque abbia avuto l’onore di aprire le danze, lo ha fatto perché sentiva l’esigenza di un lavoro musicale unitario e dal respiro più ampio. Tutti questi dischi (anche quello di Joe Meek, che è interessante) partono dal presupposto di voler raccontare qualcosa. Magari non per forza usando le parole dei testi, ma anche solo attraverso l’uso sapiente della musica.

È il momento di elevare la musica pop a qualcosa di più che a mero intrattenimento da festa

I Beach Boys, che grazie alla musica da festa si sono costruiti una carriera, ad un certo punto se ne escono con qualcosa di tanto folle quanto incredibilmente sperimentale. Intendiamoci, negli anni precedenti la musica aveva già proposto suoni e composizioni che sono andate decisamente oltre il lavoro “Pet Sound” (basti citare Stockhausen, per dirne uno), ma per la prima volta si iniziano ad ascoltare, su un supporto LP dedicato al mercato mainstream e pubblicato da una delle band più influenti sul mercato, suoni che fino a quel momento non erano mai stati registrati su disco: campanelli di biciclette, cani che abbaiano e altri “strumenti-non-strumenti” che non stanno semplicemente lì perché sono divertenti o perché ci si è fumati una sigaretta truccata di troppo, ma perché SERVONO. Servono all’armonia totale, servono a contribuire all’unitarietà del lavoro musicale.

Brian Wilson, fondatore dei Beach Boys, nonché principale autore delle loro canzoni, ad un certo punto della sua carriera decise di non voler più andare in tour con la band che lui stesso ha contribuito a creare. Semplicemente non ne volle più sapere. Così nel 1965, quando i suoi colleghi erano impegnati a suonare tra il Giappone e le Hawai’i, iniziò a dedicarsi al suo nuovo progetto.

L’idea gli venne perché aveva ascoltato “Rubber Soul” dei rivali Beatles

Un disco favoloso, d’altronde. Brian, che conosceva bene il suo mestiere, notò che il lavoro dei Fab Four dava un senso di omogeneità all’ascolto; le tracce erano in qualche modo collegate tra di loro. E questo fece brillare una lampadina gigantesca nella sua testa.

Iniziò a lavorare su “Pet Sound” già prima di farlo ufficialmente: Sloop John B., il brano che chiude il lato A, fu registrata qualche mese prima dell’inizio vero e proprio dei lavori. Al Jardin, chitarrista dei Beach Boys, la propose a Brian, cercando di convincerlo ad inserirla da qualche parte. La canzone è uno standard folk caraibico e furono necessarie alcune modifiche per far sì che potesse diventare adatta ai Beach Boys. Quindi, partiti i ragazzi per il Giappone, inizia a lavorare con Tony Asher, paroliere abilissimo nel tradurre su carta il complesso mondo interiore di Brian Wilson.

Ed è proprio ai testi che volevo arrivare

Innanzitutto specifico che la mia è un’interpretazione arbitraria, per cui vale meno di zero. Detto questo, però, è divertente farlo, quindi mi ci butto. A mio parere il disco parla della storia di una coppia. Il nostro protagonista (lo chiamerò Jimmi, solo per dargli un nome) è felice della sua relazione. “Wouldn’t be Nice” lo dice chiaramente: “Non sarebbe meraviglioso se potessimo vivere insieme/in questo mondo che ci appartiene?”. La speranza di una vita futura insieme, l’amore che sembra dia l’impressione di non poter finire mai.

Addirittura, in “You Still Believe in Me”, Jimmi confessa di sforzarsi di essere perfetto per la sua amata: “Cerco veramente di essere ciò che vuoi che sia”, dice all’inizio della seconda strofa. E, alla fine della canzone, piange. Tra l’altro l’arrangiamento delle voci di questo finale è tra le più alte vette che mai la musica pop abbia raggiunto durante il corso della sua vicenda. Pura polifonia vocale che, con l’inserimento di strumentazione anomala (il famoso campanello della bicicletta è qui), rendono questi ultimi secondi il rock molto più vicino all’arte pura che al semplice costrutto commerciale.

In “That’s Not Me”, Jimmi inizia a sentire che c’è qualcosa che non va

Lui sta cambiando e questo lo spaventa un po’. Un po’ come quando ci si ritrova ad aver capito qualcosa in più ma non ce n’è ancora la certezza: qualcosa che sta per finire, uno scatto di crescita. Potrebbe essere qualunque cosa ma sappiamo cosa sia. Sappiamo solo che sta facendo deviare la nostra solita vita. Ma alla fine Jimmi ritorna indietro. La sua è stata un’esperienza costruttiva e, anche se ancora non lo sa, gli rimarrà un segno profondo. Soprattutto inizia ad accorgersene lei. In “Don’t Talk (Put Your Head on my Shoulder)” i due, fondamentalmente, si guardano. “Ti ride negli occhi/l’arte di amar./Accendi misteri/senza parlar”, ha scritto Vinicio Capossela. E mai più che ora queste parole sono vere. Ma è un silenzio che chiede lui, non lei. È un silenzio che lui vorrebbe perché ha paura dei suoi stessi cambiamenti.

I’m Waiting for the Day” è la canzone della resa. La colpa è di Jimmi che non è più sicuro della sua relazione. Crede che lei pensi ancora alla vecchia fiamma e si augura che le cose possano cambiare di nuovo, che tutto possa tornare al punto di partenza. Al momento, cioè, dell’inizio della loro relazione e a quando pensavano al matrimonio. E quindi parte la colonna sonora di questo primo momento della loro storia. “Let’s Go Away for a While” sembra essere la giusta musica per accompagnare i due al loro destino, affinché possano stare insieme mano nella mano.

E con “Sloop John B” come la mettiamo? Continuando a seguire il mio ragionamento, questa è la coscienza di Jimmi che gli sta dicendo che è un cretino perché deve accettare i suoi cambiamenti. “Portami a casa”, gli dice. Portami, cioè, al posto a cui apparteniamo. Quello nuovo, quello che hai raggiunto.

E poi il capolavoro, sia musicale, sia di significato

Solo Dio sa cosa sarei senza di te”, canta Jimmi in “God Only Knows”. Che non è solo e semplicemente una canzone d’amore, ma una vera e propria presa di coscienza. Jimmi è ora consapevole e ha accettato il nuovo se stesso. E glielo dice proprio: “Se mai dovessi lasciarmi/be’, la mia vita andrebbe avanti lo stesso”. Ormai Jimmi si sta rendendo conto che il problema non è lui, ma lei. Perché lui, in qualche modo, è cresciuto e prosegue su una nuova strada. Ma lei no. Lei è rimasta la ragazzetta che aveva conosciuto tempo prima e la loro relazione si è semplicemente inserita su un binario diverso che lei non ha voluto seguire. È come se si fosse fermata alla stazione precedente.

Ok, ora provate a continuare a seguirmi e ditemi se non ho ragione

I Know There’s an Answer” è Jimmi che si chiede come mai gli altri non riescano a stare al suo passo. “Come posso andare avanti/E dire loro che il modo in cui vivono potrebbe essere migliore?/So che esiste una risposta/ma la devo cercare da solo”. Nessuno può aiutarlo. Solo lui è diventato più “grande”. Non solo lei, quindi, rimane ferma allo status quo, ma anche tutta la gente che gli sta intorno. Sembra che Jimmi stia entrando in una specie di nirvana.

Love Is Here” non parla di romanticismo ma di amore in senso lato. Ed è un amore che esiste nel “qui e ora”. È l’amore per il mondo, l’amore per ogni cosa che ci circonda. E Jimmi avvisa anche gli altri, quelli che si sono fermati: “Non sto dicendo che con lei [il vecchio modo di fare, ndt] non si stia bene/Ma continuo a ricordare le cose come erano”. Attenzione!, dice Jimmi, non fate la cretinata di stare fermi lì. Ma nessuno lo ascolta ed è subito “I Just Wasn’t Made for These Time”, non sono nato per vivere in questo periodo storico, con questa gente.

E infine “Caroline No”

Dove sono i tuoi lunghi capelli/Dov’è la ragazza che credevo di conoscere”. Jimmi ha iniziato la relazione credendo che avrebbe portato lui e lei verso un viaggio lungo e bellissimo, ma certe scelte vanno prese di coppia e non singolarmente. La delusione è palpabile e il treno, alla fine del brano, ci dice che si sono allontanati definitivamente.

Lo so, forse mi sono lasciato trasportare troppo. Tra l’altro i brani, prima della loro versione definitiva, trattavano tutt’altri argomenti. Però è stato un trip divertente! Alla prossima.

(articolo scritto da Fabio Saba)

— Onda Musicale

Tags: The Beatles, Bob Dylan
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