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Darwin!, il capolavoro concept del Banco del Mutuo Soccorso

Darwin! È il secondo album del Banco del Mutuo Soccorso ed esce nel dicembre del 1972. Sono passati solo sette mesi dall’esordio del complesso ed è chiaro che i ragazzi romani sono riusciti a evolversi ulteriormente.

Evolversi è proprio la parola più adatta. Darwin!, infatti, è un concept album che ruota attorno alla teoria dell’evoluzione enunciata da Charles Darwin. Un tema che si tira dietro una serie di fattori; può sembrare assurdo ma, all’epoca e purtroppo ancora oggi, la teoria scientifica non è ancora universalmente accettata. Anzi, il creazionismo vive tempi di recrudescenza.

E così, se l’evoluzione è ormai pacificamente data per acclarata dalla comunità scientifica, altri poteri, senza competenze di base, non solo la confutano, ma arrivano a deriderla. La scelta del Banco di uscire con Darwin! è in questo senso programmatica; la scelta di una band che fin dall’inizio alterna all’incredibile virtuosismo musicale altrettanta sostanza a livello di contenuto.

La storia del Banco del Mutuo Soccorso inizia nel 1968, con l’avventura musicale dei giovanissimi fratelli Nocenzi. Ve l’abbiamo raccontata in questo articolo.
Gianni e Vittorio Nocenzi sono entrambi tastieristi; il primo ha una vocazione più incline al classico, il secondo al jazz. Sarà forse proprio questo loro dualismo interno ad arricchire il sound del Banco, dandogli sfumature uniche nel panorama del prog italiano.

L’ingresso decisivo è però quello di Francesco Di Giacomo.
Cantante dalla vocalità inimitabile, a volte aggressiva e impostata, altre delicata, Francesco è una presenza ingombrante non solo metaforicamente. I suoi testi sono degni di essere considerati ottime opere anche presi così, senza musica. I temi sono lontani dal disimpegno di altri complessi prog, pur altrettanto abili a livello strumentale.

Il primo lavoro, noto come Salvadanaio per la celebre copertina, ma in realtà eponimo, li mette subito in grande luce. Per loro si scomodano paragoni illustri con King Crimson e altre grandi band internazionali; la verità, però, è che il Banco ha una sua personalità capace di andare oltre. Il gruppo prende sì ad esempio i grandi della scena prog mondiale, ma riesce a fondere le varie ispirazioni creando un suono fortemente personale, con influssi mediterranei, classici e jazzistici.

Darwin! è per molti versi il loro capolavoro; quello in cui musica, parole e intenti si fondono come forse può capitare una sola volta in carriera.

La copertina è curata da Cesare Monti e Vanda Spinello ed è ritenuta una delle più iconiche del rock progressivo italiano. La grafica ritrae un grande orologio a cipolla, al cui interno una sorta di direttore d’orchestra pare accordare le varie tappe dell’evoluzione.

A livello strumentale la formazione è inalterata, la vera novità è costituita dall’arrivo del sintetizzatore Moog. Utilizzato con misura, ma con grande forza espressiva, da Vittorio Nocenzi, lo strumento permette un ulteriore salto in avanti al complesso. L’album è registrato negli studi Ricordi di Milano; si tratta di una sala di registrazione non certo all’avanguardia, che non permette artifici paragonabili a quelli delle band britanniche.

Eppure, utilizzati con sapienza dal Banco e dal produttore Sandro Colombini, permettono al gruppo di dare vita a un lavoro coi fiocchi anche a livello tecnico.

Ma vediamo dunque come suona a cinquant’anni dall’uscita questo Darwin!
L’Evoluzione, posta in apertura, traccia bene le coordinate fin dalle prime note e dalle prime parole. Su un tappeto di tastiere la chitarra di Marcello Todaro ricama delicati intarsi; le parole di Francesco Di Giacomo mettono subito in chiaro che non c’è più spazio per visioni favolistiche.

“Prova, prova a pensare un po’ diverso, niente da grandi dèi fu fabbricato, ma il creato s’è creato da sé”

La musica si anima, entrano batteria e basso con fragore, mentre nelle parole rivive il big bang e la nascita della vita.

“Strati grigi di lava e di corallo, cieli umidi e senza colori, ecco il mondo sta respirando, muschi e licheni verdi spugne di terra, fanno da serra al germoglio che verrà.”

I continui cambi di ritmo tentano con successo di evocare i grandi e violenti cambiamenti dei primordi. La velocità aumenta, con la chitarra sempre in primo piano che si fa più sfacciata e piano e organo che inseguono. La frase “Adamo è morto ormai”, che scatena tante polemiche, indica proprio il superamento delle tesi religiose a favore della scienza.

A metà del brano la lunga composizione si trasforma in un trionfo di sintetizzatori e tastiere; un suono variegato e strutturato che richiama Emerson, Lake & Palmer, ma con una sensibilità assolutamente unica. Gli ultimi minuti vedono tornare la calma, annunciata da un piano malinconico e classicheggiante.

“Alto, arabescando un alcione stride sulle ginestre e sul mare, ora il sole sa chi riscaldare” sono le parole che chiudono quattordici minuti irripetibili. Poesia sonora, certo, ma anche da leggere.

Un breve stacco e si passa alla seconda e ultima traccia del primo lato. La conquista della posizione eretta, superfluo specificarlo, narra una delle tappe fondamentali dell’evoluzione. Lo fa con una prima parte strumentale al fulmicotone, che di nuovo evoca paragoni con band di prima grandezza internazionale, ma sempre in pieno stile Banco.

Il Moog è usato con misura, ma senza fare prigionieri. La chitarra si avventura in voli pindarici con un suono ficcante. Solo dopo sei minuti torna la calma e Di Giacomo può declamare i suoi versi toccanti, che raccontano la sofferenza del cambiamento.

“Steli di giunco e rughe d’antica pietra, odore di bestia, orma di preda. Nient’altro vede il mio sguardo prono se curva è la mia schiena. Potessi rizzare il collo oltre le fronde e tener ritto il corpo opposto al vento, io provo e cado e provo e ritto sto per un momento.”

“L’urlo rintrona per la volta tutta fino ai vulcani sale e poi resto a guardare e bevono i miei occhi i voli i salti le mie foreste e gli altri. E dove l’aria in fondo tocca il mare, lo sguardo dritto può guardare.”

Tra il frastuono di venti primordiali, la prima facciata è conclusa. La seconda si apre con uno strumentale dal sapore jazz, Danza dei Grandi Rettili. Si parla ovviamente dei dinosauri, con uno spericolato salto all’indietro. Le atmosfere jazzate mettono in luce il tocco delicato di Todaro alla chitarra, ma anche il drumming puntuale di Pierluigi Calderoni e il basso di Renato D’Angelo.

Il tempo, dunque, di prendere fiato, e il viaggio evolutivo riprende. Cento mani, cento occhi si apre con un tripudio di sintetizzatori, per poi lasciare spazio a una gazzarra inusitata di suoni. Stavolta le liriche narrano dei primi tentativi dell’uomo di dare vita a una comunità.

Di Giacomo riflette sui vantaggi dello stare insieme, ma anche sul prezzo da pagare, ovvero la perdita dell’individualità.

Darwin! prosegue la sua corsa indiavolata con uno dei brani insuperati del rock progressivo italiano, 750000 anni fa, l’amore? Una delicata introduzione pianistica apre la via al canto di Big Francesco; un testo commovente e dall’alto valore poetico narra i primi pensieri d’amore di un uomo non ancora pienamente evoluto. Il pensiero è compiuto, ma mancano le parole per dargli vita.

“La mente vuole, ma il labbro inerte non sa dire niente”.

Un breve intermezzo coi sintetizzatori e l’interpretazione del cantante, qui davvero insuperabile, riprende fino alla coda finale.
Il brano successivo è Miserere alla storia. Siamo già nella piena evoluzione dell’uomo, che da Babele allo spazio sembra sfidare la natura e le sue leggi immutabili. Alla fine, ovviamente, ne esce sconfitto dall’ineluttabilità del tempo.

La voce stavolta recita, mentre la musica è cupa e malinconica. Un crescendo segue le parole e la coda finale è una cavalcata in puro stile prog, con le tastiere a farla da padrona e un po’ di spazio per la chitarra.

Siamo alla conclusione con Ed ora io domando tempo al tempo ed egli mi risponde… non ne ho. In una metafora circolare degna di Asimov e Kubrick, l’uomo, al massimo della sua evoluzione, capisce che il suo percorso potrà concludersi in un solo modo. Con la stessa estinzione che tocca prima o poi a tutte le specie.

È la legge del perfetto meccanismo della Natura, lo stesso che ha permesso all’uomo di prevalere su tutte le altre specie. Ed è proprio l’uomo che sembra chiedere alla Natura, e non a un dio qualsiasi, di essere graziato dalla ruota del tempo. Ma quella ruota, come recita il testo, non perde mai colpi e non fa sconti a nessuno.

Musicalmente la chiusura strizza l’occhio alla forma canzone, con un pezzo di breve durata e dalla melodia accattivante.

Il viaggio dell’evoluzione è dunque destinato a continuare, con o senza uomo. Quello di Darwin! invece si chiude così, e con esso si conclude uno dei massimi capolavori del rock italiano. Fa specie pensare che il disco arrivi appena sette mesi dopo l’eccezionale debutto e che sarà seguito dopo un anno da un nuovo pezzo da novanta.

Io sono nato libero, con l’ingresso di Rodolfo Maltese alla chitarra, chiude un trittico di debutto irripetibile. Da lì in poi, la strada per il Banco sembra in discesa verso un futuro di trionfi; le case discografiche internazionali se li contendono e loro firmano per la Warner Bros. Per una serie di eventi sfortunati, la collaborazione non ha seguito, ma il disco in inglese esce comunque per la Manticore, la prestigiosa etichetta di Emerson, Lake & Palmer.

Tuttavia, il tramonto del prog, qualche tensione interna e la normalizzazione della formula verso la forma canzone, decretano il tramonto della band. Ma di questo parleremo un’altra volta.

— Onda Musicale

Tags: Banco del Mutuo Soccorso
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