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Uomo di pezza, Le Orme e un successo che diventa croce e delizia

Uomo di pezza

È passato meno di un anno da Collage, il disco con cui Le Orme hanno abbracciato il verbo del rock progressivo e il 1972 è l’anno di Uomo di pezza.

Uomo di pezza, registrato tra marzo e aprile del 1972, si propone come obiettivo quello di superare le influenze britanniche, per approdare a un suono più personale. Nonostante l’innesto dei sintetizzatori, infatti, l’album paga pegno al suono internazionale, gli ELP su tutti, in maniera più leggera rispetto a Collage. I suoni e le atmosfere risultano più leggeri, a tratti onirici e fiabeschi; i temi delle canzoni, invece, sono spesso piuttosto duri, creando un contrasto sorprendente con la musica.

Le Orme sono tra i primi complessi italiani a capire che è il momento di superare in senso progressivo la stagione del beat; l’illuminazione arriva con un paio d’anni di ritardo rispetto a quanto fatto oltremanica da band come i King Crimson, ma porterà comunque l’Italia nel suo periodo più fulgido a livello rock.

Il complesso nasce dall’incontro di Nino Smeraldi e Aldo Tagliapietra. Il primo è un chitarrista elettrico di Venezia, il secondo suona coi Corals, tipica band di cover dell’epoca. Tagliapietra ambisce a qualcosa di più impegnato e, con l’ingresso del bassista Claudio Galieti e del batterista Marino Rebeschini, nasce la prima formazione.

Gli esordi sono all’insegna di un beat blandamente spolverato di psichedelia. Nel 1968, per la CAR, il gruppo incide Ad Gloriam, album ancora pienamente calato nel beat, pur con qualche originalità.

Il nuovo tastierista Antonio Pagliuca, reduce da un viaggio a Londra, vorrebbe virare il sound verso lidi sperimentali. Il contrasto con Smeraldi, che preme per dare più spazio alla chitarra, finiscono con l’abbandono di quest’ultimo.

Il gruppo si assesta così a terzetto, sulla scia di formazioni come Emerson, Lake & Palmer e – soprattutto – i Quatermass. Collage, del 1971, è un album che ottiene grande successo e riesce a traghettare il suono de Le Orme in modo efficace dal beat al prog. Sono però anni in cui la musica alternativa è legata a doppio filo con i movimenti politici. E a questi, inutile girarci attorno, Le Orme non vanno giù.

Quello che viene rimproverato alla band – non senza fondamento – è un atteggiamento ambiguo. Pezzi come Cemento Armato dimostrano che la band può competere con chiunque a livello strumentale; i problemi arrivano soprattutto coi testi, a volte ritenuti troppo conservatori e reazionari, se non moralisti.

Bisogna calarsi nell’epoca dei primi anni Settanta per capire che, quella che oggi pare una sciocchezza, allora poteva decretare il successo o il disastro di un complesso. Purtroppo, questa conflittualità tra due aspetti non conciliabili, accompagnerà tutta la carriera de Le Orme. Anzi, Uomo di pezza, forse il loro successo più limpido, non farà che acuire il problema.

Uomo di pezza può definirsi un concept album spurio. Infatti, anche se manca una vera storia che unisca le sette tracce del disco, il filo conduttore è quello della donna. Tutte le canzoni, o quasi, raccontano la storia di una donna, a volte con tinte drammatiche. I testi si servono di metafore, raffinate ma spesso oscure, tanto che alcune liriche forse non vengono comprese appieno. Gioco di bimba, poi, è destinato a diventare il pezzo iconico del gruppo, vera croce e delizia.

La copertina, a sua volta entrata nella leggenda, è realizzata da Walter Mac Mazzieri, pittore sospeso tra il surreale e il naif, all’epoca piuttosto in voga. Il dipinto scelto, intitolato Garbo di Neve, raffigura un uomo visto in chiave onirica, che si tiene il capo tra le mani. La band lo giudica attinente a Uomo di pezza, specialmente al protagonista di Gioco di bimba.

Il disco viene registrato a Milano, in uno studio dalla storia particolare.
La sala, appartenente alla Phonogram, è infatti ricavata da un ex teatro, proprietà personale di Benito Mussolini, scellerato dittatore del tragico Ventennio. Tagliapietra ricorda che il posto aveva una buona acustica e che la band registrò suonando come dal vivo.

L’album è prodotto da Gian Piero Reverberi, vero quarto uomo de Le Orme; co-autore dei testi, Reverberi viene ricordato dai musicisti come quello che era stato George Martin per i Beatles.

Uomo di pezza si apre con Una dolcezza nuova; il brano vanta un attacco di stampo prettamente prog, con l’organo in primo piano e una partitura classicheggiante irrobustita però dalla sezione ritmica che crea un tappeto roccioso di sottofondo. Il ritmo rallenta e si impone un delicato pianoforte che accompagna la parte cantata.

I testi di Tony Pagliuca, dedicati in gran parte a figure femminili, sono intimisti e a tratti criptici. La vena melodica si impone a dispetto del mood più grintoso della band, forse quello più apprezzato all’epoca dai cultori del prog.

La stessa atmosfera pervade dall’inizio Gioco di bimba. La dolce e bellissima melodia è sostenuta inizialmente solo dalla chitarra acustica e narra una storia ben più dura di quanto suggerirebbe la parte musicale. Per anni la band stessa ha un po’ giocato sull’ambiguità, ma la storia è quella di una bimba stuprata da un pedofilo.

Secondo Tagliapietra, Pagliuca fu ispirato da un fatto di cronaca. L’arrangiamento è delicato, fin troppo, con intarsi di moog e una parte cantata addirittura a cappella. Il pezzo, al di là di qualche dettaglio, è sostanzialmente pop, tanto che il brano sfonda in classifica. Potrebbe sembrare un successo per il complesso e, invece, le dinamiche complicate dell’epoca, fanno sì che Gioco di bimba sia quasi la tipica zappa sui piedi.

L’ambiente alternativo non perdona ai tre ragazzi, già ritenuti troppo reazionari, il successo da hit parade. Ai concerti la canzone è puntualmente sommersa dai fischi, tanto che la band è costretta per un periodo a toglierla dalla scaletta. Celebre la polemica di Paolo Giaccio dai microfoni di Per voi giovani, programma radiofonico molto seguito, a cui Le Orme rispondono attraverso la rivista Ciao 2001.

Purtroppo, però, la frattura tra il gruppo e il movimento non si risanerà mai del tutto. Sembra assurdo, ma basta guardare quello che succede oggi, per motivi diversi, a una band come quella dei Maneskin. Il successo viene ancora oggi difficilmente perdonato.

La prima facciata si chiude con la lunga La Porta chiusa.
Il pezzo si apre con una cavalcata di sintetizzatore, dal ritmo abbastanza sostenuto, per poi lasciare il campo alla parte cantata. Di nuovo, la voce di Aldo Tagliapietra è dolce ed evocativa e snocciola un testo dai significati misteriosi.

Grande spazio è dato però agli strumenti, con le tastiere – organi e sintetizzatori – sugli scudi. Rispetto a Collage la matrice emersoniana, pur presente, si fa meno evidente; Le Orme, in Uomo di pezza, mettono a punto uno stile molto più personale, che trova nelle lunghe peripezie strumentali de La Porta chiusa, pieno compimento. Nel finale, una lunga parte d’organo, placida e quasi mistica, precede una breve coda di fuochi d’artificio in pieno stile prog.

Il secondo lato si apre con Breve Immagine, una ballata romantica dal respiro quasi epico. Nonostante qualche leziosità e barocchismo di troppo, il brano è memorabile; la melodia è cristallina, le improvvise fiammate prog offrono dinamiche brillanti. Un pezzo ricordato troppo poco, ma tra i migliori della band.

Figure di cartone affronta ancora un tema sociale piuttosto duro, narrando la storia di una ragazza incinta internata come pazza. La struttura della canzone ricalca abbastanza quella semplice del periodo beat, spruzzata di prog giusto negli arrangiamenti, col sintetizzatore che puntella qua e là il tutto. L’assolo al moog ricorda l’ambito progressivo del lavoro.

Si prosegue con Aspettando l’alba, brano che si dipana su un riff di chitarra acustica. Il testo evoca degli amici che si riuniscono in spiaggia, attorno a un falò; un’immagine non proprio originalissima da cui prende il via una vicenda di nuovo onirica e di ambigua interpretazione.

Musicalmente, il pezzo vola alto, tra suggestioni psichedeliche quasi da west-coast. Quasi un ritorno alle atmosfere lisergiche di Ad Gloriam, per uno dei pezzi più riusciti di Uomo di pezza.

L’album si chiude con Alienazione, sorta di lunga improvvisazione che snocciola con sapienza tutti i cliché del rock progressivo. Cambi di ritmo, tempi dispari, groove tipicamente anni Settanta: qui Le Orme non si fanno mancare nulla. Secondo le parole di Tagliapietra, Alienazione è l’unico brano a essere composto direttamente in studio di registrazione, con un furore artistico che sicuramente giova al complesso.

Insomma, Uomo di pezza è – come detto – la vera croce e delizia della band veneta. Da una parte è il loro successo più cristallino, quello che tanti ricordano con piacere e che contiene i pezzi più famosi. Dall’altra, Uomo di pezza è il lavoro che sancisce la rottura con le frange più estreme dell’avanguardia, fatto allora piuttosto grave.

E oggi? Visto in prospettiva e senza urgenze politiche e idealistiche, Uomo di pezza è un signor album. Il lavoro dove Le Orme riescono a dare un’impronta più personale allo stile già compiuto ma un po’ derivativo di Collage. Il rovescio della medaglia, al tempo, sta nella scomparsa dell’effetto sorpresa di Collage. Nel breve periodo che intercorre tar le due opere, il prog italiano può già fregiarsi dei lavori del Banco e della PFM, la cui qualità è quasi inarrivabile.

Dopo Uomo di pezza, Le Orme daranno vita al loro progetto più ambizioso e con velleità internazionali, Felona e Sorona. Un progetto di cui parleremo presto.

— Onda Musicale

Tags: PFM, Banco del Mutuo Soccorso, King Crimson, Keith Emerson, Le Orme
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