Musica

Pink Floyd e sperimentazione (seconda parte)

|

Parlare di “band”, sembra, però, quasi una forzatura. Waters aveva definitivamente acquisito i panni del leader, tant’è che quando arrivò col provino del nuovo album, praticamente aveva tra le mani un prodotto quasi terminato per quanto riguarda l’aspetto compositivo.

Gilmour risultava ancora indispensabile e collaborò a scrivere capolavori come Run Like HellComfortably Numb, oltre ad apporre degli assoli di chitarra rimasti epici, anche se non molti sanno che su alcuni brani, la maniacale precisione di Waters, portò a chiamare un secondo chitarrista (Lee Ritenour) per delle parti ritmiche.

Mason, come egli stesso ha sempre voluto precisare, era semplicemente il “batterista”, tant’è che su Mother, dopo una sua assenza in studio, Waters fece chiamare direttamente tale Jeff Porcaro dei Toto a registrare il brano. E poi c’era Rick Wright che restava nel suo silenzio.

La sua condotta ormai non piaceva più al resto del gruppo e il lavoro che fece per l’album non fu ritenuto valido, a causa fu anche di una vita abbastanza sopra le righe, tanto da essere licenziato da Waters che lo riassunse solo come turnista per il relativo tour. Come dichiarato da Mason, questa cosa paradossalmente andò a favore di Wright, in quanto a causa delle enormi spese per mettere in scena lo spettacolo dal vivo (che per gli evidenti limiti tecnologici dell’epoca, riuscì ad essere messo in scena solo a Londra, Dortmund e New York), il tastierista, fu l’unico a guadagnarci qualcosa da quei live.

Ritornando al disco, Wright iniziò le registrazioni, utilizzando un pianoforte SteinwayHammondFender RhodesProphet V, la fisarmonica su Outside the Wall e un synth-bass non meglio specificato su Don’t leave me now. A causa del suo licenziamento, il resto delle parti tastieristiche, furono eseguite dal produttore Bob Ezrin dal turnista Fred Mandel e da Waters stesso. Gli arrangiamenti orchestrali, furono curati dal compositore Michael Kamen.

Per quanto riguarda il tour, vista la mole di tastiere ormai presenti nei dischi della band, fu necessario ingaggiare un secondo tastierista, Peter Wood, che affiancò Wright. Come previsto, la tournée, sebbene mastodontica, fu un fiasco sotto molti punti di vista, dato che per l’epoca era quasi impossibile ricreare dal vivo un sound del genere, nonostante la band fu allargata con l’aggiunta di coristi, un secondo chitarrista, un altro bassista\chitarrista e un secondo batterista. La band ormai allo sfascio diede vita nel 1983 a The Final Cut”, buon album, che compositivamente pagava pegno al disco precedente, tanto da poter essere quasi definito un album solista di Waters, con Gilmour e Mason a fare da comprimari. (leggi l’articolo)

Le tastiere furono quasi interamente registrate da Waters stesso, con l’aiuto anche in questo caso di Michael Kamen per le parti più complesse. Come prevedibile all’album non fece seguito un tour.

Dopo numerose beghe legali legate al marchio Pink Floyd, David Gilmour, dopo aver realizzato un buon album solista spalleggiato da artisti come Pete Towshend e Steve Winwood, invece di dar vita ad un suo secondo album, riuscì a travasare questo materiale per un nuovo album dei Pink Floyd che inizialmente vedevano solo lui e Nick Mason come membri della storica formazione. Ne venne fuori un prodotto certamente diverso, improntato sulle nuove tecnologie, sulla chitarra e sulla voce di Gilmour. Richard Wright, che per motivi legali non poteva essere ancora riassunto nella band, prese parte alla fase finale della realizzazione dell’album A momentary Lapse of Reason”, realizzato nel 1987 con il contributo di molti turnisti. Da un punto di vista commerciale fu un ottimo successo. Gilmour per sostituire la vena creativa di Waters si affidò a diversi parolieri e produttori e per quanto riguarda le registrazioni collaborò parecchio con un giovane tastierista, Jon Carin, che scrisse assieme a lui il singolo Learning to fly, oltre a coinvolgere musicisti di grande livello come Tony Levin o Carmine Appice alla batteria a sostituire un Nick Mason parecchio fuori forma.

Nel disco si fece largo uso di tastiere digitali, che ormai erano diventate un must, oltre ai primi sequencer. Come dichiarato da Nick Mason, in questo disco, la band utilizzò per la prima volta un registratore digitale a nastro: un Mitsubishi 32 canali.

Per il successivo tour, che porterà nell’immaginario collettivo questi nuovi Pink Floyd dal sound decisamente moderno, pieno ed accattivante, con dei concerti che erano delle esperienze audio visive ancora oggi insuperabili, la band fu parecchio allargata. Al basso subentrò il giovane Guy Pratt (che anni dopo diventerà genero di Rick Wright – leggi l’articolo), Nick Mason, decisamente fuori allenamento nel suonare a metronomo fu affiancato da un secondo batterista. Nota di colore, persone che lavorarono all’allestimento del doppio concerto che i PF tennero a Cava dei Tirreni nel 1989 (sic!), narrano che la produzione richiese una sala insonorizzata (in quel caso fu approntato il container di un tir con materiale fonoassorbente all’interno) dove poter montare una seconda batteria per Nick Mason che necessitava di esercitarsi a metronomo nei giorni prima del concerto!

Anche Rick Wright fu accompagnato da un secondo tastierista, l’ormai fido Jon Carin. L’apporto di Carin in questa seconda fase dei Pink Floyd, fu fondamentale. Dovendo recuperare buona parte del repertorio anni ’70, registrato con synth analogici, che con tutte le innovazioni del decennio successivo, sembravano preistoriche (per poi ritornare di nuovo in voga negli ultimi anni, come ben sappiamo), Carin introdusse alla band “il fantastico mondo Kurzweil”.

Come racconta Mason nel suo libro, il povero tastierista, passò nottate intere a programmare le sequenze per i live (dovendo tantissime volte ricominciare tutto da capo) e programmare le varie tastiere utilizzate nel tour. Wright e Carin utilizzarono il K250 come synth e campionatore, un Kurzweil MidiBoard come controller, un Roland VP-330 come Vocoder, un Roland Jx-10, una Korg M1 e per gli organi un Hammond B3, riuscendo a ricreare in maniera molto fedele i suoni dei precedenti dischi.

Anche in questo caso alcune sperimentazioni furono essenzialmente frutto del caso. Mason, (leggi l’articolo) sempre nell’autobiografia Inside Out (davvero imperdibile), ricorda come mentre stavano provando il light show, il computer andò in tilt e nel tentativo di resettare il sistema, i fari iniziarono a roteare tutti contemporaneamente!

L’effetto piacque così tanto da essere mantenuto (chiaramente programmandolo) per tutta la durata del tour!

Non si fecero neanche mancare spese folli e inutili, infatti tentarono di realizzare una sorta di Icaro, che doveva librarsi in volo su Learning To Fly. Questa cosa non funzionò mai e non venne mai portata dal vivo.

Il tour andò avanti per 3 anni, facendo più volte il giro del mondo e transitando anche in luoghi come Venezia (dove suonarono su un palco galleggiante….e fecero sciogliere l’amministrazione comunale che li aveva voluti), riscontrando un successo incredibile e l’invidia di Waters che si rifarà con una riproposizione di Wall a Berlino nel 1990 con numerose star a supportarlo sul palco.

Per il successivo The Division Bell del 1994 la band si ricompose nel trio Gilmour, Wright, Mason. La produzione del disco fu molto più sobria del precedente, la realizzazione avvenne totalmente presso lo studio galleggiante di Gilmour a Londra. dove i tre, affiancati da Guy Pratt e dal produttore Bob Ezrin, suonarono e incisero tantissime ore di nuovo materiale. Wright a parte esecuzioni di organo e alcuni campioni caricati su Akai serie S, registrò praticamente tutto tramite il nuovissimo Kurzweil K-2000 di cui fu anche testimonial.

Il successivo tour mondiale, che offriva la riproposizione integrale dell’album Dark Side of The Moon, vide di nuovo la stessa formazione all’opera, con Wright e Carin che si destreggiarono tra varie K2000, MidiBoard che pilotavano alcuni campionatori come l’Akai S1000 (soprattutto per suoni di pianoforte) e Hammond B3. Anche qui fu notevole la programmazione midi per quanto riguarda la sincronizzazione audio-video durante gli show.

Dalle registrazioni scartate di The Division Bell, che dovevano essere parte integrante di un disco ambient dal titolo The Big Spliff, Gilmour e Mason, realizzarono nel 2014 un album di addio dal titolo The Endless River con all’interno numerose tracce registrate insieme a Wright nel periodo ’93’94.

Nel 1996 Richard Wright compose quello che sarebbe stato il suo ultimo lavoro solista:”Broken China”, album dal forte sapore “new-age”- “trip hop”, assolutamente da ascoltare per chi è amante del genere. Qualche anno prima (1978) aveva pubblicato il disco Wet Dream (leggi l’articolo). 

Nel 2005 ci fu l’ultima esibizione dei Pink Floyd nella formazione classica, con anche Waters al basso, durante il concerto di beneficenza Live 8. Syd Barrett morì l’anno successivo, dopo che la sua instabilità psichica lo costrinse ad un forzato isolamento nei 30 anni precedenti.

Nel frattempo Roger Waters proseguì con la sua carriera solista. Nel 1992 fu pubblicato lo splendido Amused to Death e dal 2000, il bassista ripartì in tour, prima con l’In the flesh tour e poi con il recente The Wall live. Da notare come anche il buon Waters chiamò a rapporto l’infaticabile Jon Carin, che portò tutta la sua esperienza maturata con i Pink Floyd, al servizio della band, che vedeva come secondo tastierista il figlio di Waters, Harry.

Gilmour, dopo parecchi anni di inattività, realizzò nel 2006 l’album On an Island, che lo riportò in tour con quasi la stessa formazione degli ultimi tour dei Pink Floyd. Infatti, eccezion fatta per Mason, Gilmour chiamò l’amico Wright, che in coppia con Carin, tornò a calcare i palchi di tutto il mondo. Wright e Carin sempre fedeli a Kurzweil, portarono sul palco due K2600, una K2661, un Hammond b3 e il vecchio Farfisa compact duo con Binson Echorec che Wright utilizzò su Echoes, suonata integralmente dal vivo. L’ultimo live di Rick Wright è documentato sul disco Live in Gdansk 2006, il tastierista morì di cancro a settembre del 2008.

Nel 2015 David Gilmour realizza un nuovo album solista dal titolo Rattle That Lock, con l’intro del brano realizzato campionando il jingle di una stazione ferroviaria di un paesino francese. Nella prima leg del tour, Gilmour a causa della scomparsa di Wright, richiama Jon Carin come tastierista principale, affiancandogli Kevin Mclea. In questo tour Carin abbandona completamente il marchio Kurzweil, nonostante ne resti endorser, riducendo di molto il suo setup, utilizzando due piano-stage Kawai Mp11 e due master keyboards Arturia.

Per la seconda parte del tour del 2016, anche Carin abbandona, lasciando spazio all’ex tastierista dei Toto Greg Philliganes e all’ex tastierista degli Allman Brothers, Chuck Leavell.

Personalmente, a differenza di molti fan della band inglese che tendono a suddividere il periodo “Waters” (fino all’82) dal periodo Gilmour (dall’87 in avanti) e quindi tessere le lodi dell’uno o dell’altro, credo che la band abbia segnato la storia della musica in tutte le sue incarnazioni.

Lo ha fatto sin dal principio con i dischi e relativi live assolutamente sperimentali: dall’utilizzo delle gelatine per le luci, fino alla quadrifonia dal vivo. Ha chiaramente segnato la storia nel periodo ’73’82, ovvero tra Dark Side of The Moon e The Wall, certamente frutto del genio creativo di Waters e infine Gilmour grazie alle sue doti chitarristiche e vocali ha portato i Pink Floyd nel nuovo millennio, facendo conoscere tramite degli spettacoli che erano un’esperienza fantastica, un repertorio che le nuove generazioni probabilmente avrebbero ignorato.

Per quanto riguarda gli ultimi live del chitarrista, personalmente preferisco il precedente tour promozionale dell’album On an Island, che come album trovo superiore all’ultimo Rattle that Lock. Il tour effettuato nel 2006 era a mio parere leggermente più misurato di quest’ultimo, senza l’ombra dei Pink Floyd a pesare sulla band nonostante la presenza di Richard Wright alle tastiere e di Dick Parry (storico sassofonista della band sia in studio che live).

Elemento di spicco della scaletta del tour 2006, fu l’esecuzione integrale di Echoes, cosa non avvenuta questa volta, nonostante il ritorno a Pompei, luogo in cui questo brano entrò nell’immaginario collettivo. Nel 2006 trovare i biglietti per i concerti fu semplicissimo, non ci fu quest’assalto com’è stato per le otto date italiane 2015\2016.

Anche il suo ritorno a Venezia, dieci anni fa, dopo l’incredibile concerto dei Pink Floyd sull’acqua del 1989, non fece tutto questo clamore. Oggi i social network riescono ad amplificare qualsiasi cosa, ma personalmente la vedo come un’amplificazione piena di steroidi, enorme all’esterno, con pochi contenuti all’interno e abbastanza finta e superficiale. Calza a pennello quindi questo ritorno a Pompei di Gilmour, a cifre astronomiche, il ritorno del solito light show degli ultimi Pink Floyd, ovvero con il “Big eye” al centro e l’esecuzione di molti più brani tratti dal repertorio storico della band.

Da un punto di vista tecnicamente sperimentale, probabilmente i Pink Floyd, se fossero nati trent’anni dopo, sarebbero affossati anche loro tra le sterminate paludi dei plug-in che millantano tanto, ma che molto spesso ci fanno perdere di vista l’obiettivo.

 

LEGGI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO (pubblicato su Onda Musicale)

 

(fonte http://www.ageofaudio.com)

{loadposition testSignature}

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd/David Gilmour/Richard Wright/The Dark Side of the Moon/Nick Mason/Toto/Jeff Porcaro/Steve Winwood/Mother/Pompei/Comfortably Numb/Run Like Hell/Guy Pratt/Jon Carin
Segui la pagina Facebook di Onda Musicale
Leggi anche

Altri articoli