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Ian Gillan e i Deep Purple, uno dei frontman più carismatici del rock

Ian Gillan negli anni 70

Nel settembre del 1969 alla Royal Albert Hall di Londra, i Deep Purple si esibiscono assieme alla Royal Philarmonic Orchestra. Si tratta di un progetto molto innovativo, ma quel giorno c’è anche un’altra novità: Ian Gillan.

Ian Gillan, assieme a Roger Glover, è entrato nei Deep Purple già da giugno, ma il concerto è nei fatti la prima occasione in cui la sua incredibile voce finisce su nastro. Eppure, Ian non è certo entusiasta della commistione tra rock e musica sinfonica; vuole la leggenda che il cantante scriva le sue parti vocali il pomeriggio stesso dell’esibizione, su un tovagliolo del ristorante.

Il concerto con la Filarmonica di Londra è voluto essenzialmente da Jon Lord, da sempre diviso tra amore per la musica classica e per il rock. Ian, invece, è l’ultimo arrivato negli equilibri interni del gruppo, ma già si è fatto apprezzare per la voce potente e duttile e per una presenza scenica non indifferente.

Proprio quello che Blackmore e Lord cercavano, insoddisfatti del pur bravo Rod Evans, voce dei primi tre lavori a nome Deep Purple. Ma da dove arriva quel cantante dalla lunga chioma e dall’atteggiamento selvaggio almeno quanto quello di Robert Plant?

Ian Gillan, quando entra nella band, ha quasi ventiquattro anni; è infatti nato il 19 agosto del 1945 sulla Chiswick Mall, una strada di Londra che costeggia il Tamigi ed è piena di case vittoriane. Il padre è uno scozzese che lavora in fabbrica, ma è dalla madre che Ian eredita la passione per la musica. Audrey, così si chiama la donna, è figlia di un pianista e cantante dilettante.

I primi vagiti di Ian nel mondo dello spettacolo, però, sono come attore. Il ragazzo frequenta brevemente la Acton County Grammar School, poi vede un film di Elvis al cinema e capisce che recitazione e musica possono tranquillamente convivere. Il giovane Gillan, mentre si mantiene con una serie di lavoretti, inizia a vagabondare tra diverse band minori.

La gavetta, come da copione, è piuttosto severa. Il buon Ian racconterà addirittura di aver dovuto integrare la sua dieta, nei momenti peggiori, con biscotti per i cani. Verità o leggenda, Ian ricorderà così quei tempi: “Le avversità fanno parte del divertimento. Non pensi che lo siano in quel momento. Ma lo sono.”

Suona la batteria con Garth Rockett and the Moonshiners, poi ha un’epifania: può pestare sui tamburi e cantare contemporaneamente. Da allora si impadronisce del microfono e non lo abbandona più. Suona coi Javelins, poi con i Wainwright’s Gentlemen; nel 1965 si accasa con gli Episode Six.

Con quest’ultima band, Ian inizia a fare sul serio. Il gruppo suona regolarmente per i locali di Londra, ma va anche in tour in Germania e addirittura a Beirut, allora baluardo occidentale in Medio Oriente. Il complesso fa uscire ben nove singoli, ma rimane sempre distante dal grande successo. Ian è insoddisfatto del sound e dello spettro musicale degli Episode Six, che medita di abbandonare.

In quel momento, però, si apre la sua sliding door: Blackmore e Lord cercano un’alternativa a Rod Evans. I due vogliono una voce più potente e adatta all’idea di hard rock quasi progressivo che hanno in mente; inoltre, l’obiettivo è quello di un cantante con un’immagine da frontman più accattivante. Quando assistono a un live degli Episode Six, Lord e Blackmore non hanno dubbi: Gillan è il loro uomo.

Ai Purple serve anche un bassista e Gillan lo porta in dote dalla stessa band, si tratta di Roger Glover. Dopo il quasi incidente di percorso del disco sinfonico, importante a livello storico e filologico, ma non riuscitissimo, i Deep Purple MKII, quelli col marchio di Gillan, registrano In Rock, pietra miliare dell’hard rock.

Il successo è immediato e straordinario.
Da band di buone speranze ma che tarda a decollare, i Deep Purple diventano una leggenda vivente; i loro rivali più immediati, quelli per cui la stampa può imbastire un bel dualismo stile Beatles-Rolling Stones, sono i Led Zeppelin. Le due band, a dirla tutta, non è che abbiano poi molto in comune.

Tutt’e due hanno grande successo, un cantante carismatico e un chitarrista sopraffino. Ma se i Led propongono una versione irrobustita dell’hard blues inventato dai Cream, lo spettro sonoro dei Deep Purple è molto più ampio. Il complesso di Gillan mescola rock duro, poche reminiscenze blues, pop, jazz, musica classica e suggestioni psichedeliche. I ragazzi avrebbero le carte in regola per sconfinare nel prog, ma non lo fanno e sarà la loro fortuna.

Gillan ha una voce estremamente potente ma duttile. Spesso le sue grida selvagge sfociano in un falsetto inimitabile. Ian ha però dalla sua anche grandi doti interpretative, tanto è vero che Tim Rice gli mette gli occhi – e le orecchie – addosso e lo vuole per Jesus Christ Superstar. Gillan diventa così la voce originale del musical, quella che finisce sul disco.

Quando gli propongono di recitare nel film, i Deep Purple sono diventati delle grandi star e Ian Gillan evidenzia forse per la prima volta il suo lato megalomane. Chiede un compenso faraonico e pretende che vengano pagati anche i membri dei Deep Purple, giusto per l’incomodo di dover stare fermi durante le riprese. I produttori americani hanno dollari da buttare, ma non fino a quel punto: scritturano Ted Neeley e ci tolgono il capriccio di vedere Gillan nei panni di Gesù Cristo.

Ian non è però l’unico ad avere un carattere spigoloso, all’interno della sua band. Ritchie Blackmore pensava forse di assicurarsi un frontman carismatico senza pagare lo scotto di avere a che fare con una forte personalità. Capirà presto di essersi sbagliato. La magica alchimia della MKII dura a malapena quattro anni e una manciata di capolavori.

Gillan fa in tempo a registrare In Rock e Machine Head, dischi di importanza capitale all’epoca e per tutto lo sviluppo del metal. Non solo, con Made in Japan i Deep Purple registrano forse il miglior live rock della storia e riescono a battere senza repliche i Led Zeppelin, che non potranno mai sfoggiare un live altrettanto iconico.

I primi tempi sono stati favolosi. – ricorda Gillan – Tutto era nuovo, meraviglioso, scioccante. Avevamo più soldi di quanto potessimo immaginare, ci sentivamo potenti e io credevo di sapere tutto. Quanto mi sbagliavo.”

Gli attriti con Blackmore, ma soprattutto lo stress di una vita on the road forse troppo prolungata e i discografici che vogliono spremere dai Deep Purple tutto e subito. Queste, riassumendo, sono le cause che portano alla prematura fine di quella leggendaria formazione. Gillan, durante il tour di Who do we think we are, annuncia che lascerà a fine tournée, ma nessuno lo prende sul serio.

Alla fine, una delle collaborazioni più importanti del rock, termina così: una lettera di dimissioni e nessuna celebrazione. A testimonianza di come ormai nella band manchi qualsiasi dialogo.

Stanco dell’ambiente musicale, Ian tenta per un po’ la carta dell’imprenditore. Prima un hotel, poi le moto, ma sempre senza grande successo. Dopo un paio d’anni, l’amore per il rock e – forse – la necessità di fare cassa, lo portano di nuovo sul palco. Nasce la Ian Gillan Band. Per dieci anni il cantante fa e disfà vari progetti; fonda i Gillan, rifiuta il ritorno di fiamma di Blackmore che lo vuole nei Rainbow.

Nel 1983 accetta l’improbabile ruolo di frontman nei Black Sabbath, rivali di sempre assieme ai Led Zeppelin e terzo vertice del triangolo hard rock britannico.

Finalmente, nel 1984, tra grande hype e compensi milionari, la MKII dei Deep Purple torna insieme. Il ritorno, benché segnato da una qualità altalenante e certo lontana dagli anni d’oro, è un successo; Perfect Strangers vende bene e frutta proficui tour. Purtroppo, però, neanche la versione più matura dei caratteri di Ian e Blackmore ne vede gli angoli smussati.

Al culmine di liti e tensioni, spesso per futili motivi, nel 1989 Gillan viene licenziato dai Deep Purple. Al di là della causa occasionale, sono i dissapori col chitarrista a segnare la vicenda. “Ci siamo comportati come due stronzi, – ammetterà Ian – ma Ritchie per più tempo di me”.

Dopo aver dato vita a un progetto piuttosto velleitario che riuniva i Garth Rockett and the Moonshiners, nel 1992 Ian Gillan torna per l’ennesima volta all’ovile, cui seguirà un nuovo abbandono di Blackmore. Da allora, pur con qualche digressione e progetto parallelo, inizia il periodo più tranquillo della vita del vocalist. Da trent’anni Ian è il vessillo dei Deep Purple, una band certo diversa dall’originale, ma che continua a produrre album onesti e a incantare dal vivo legioni di fan vecchi e nuovi.

Ian Gillan è un elegante signore che ha passato la settantina, realizzato e tranquillo. Ha duettato con Pavarotti e si è battuto per cause importanti, sempre senza dimenticare le origini e il verbo del rock duro. La voce non gli permette più quei virtuosismi che hanno segnato il sound della MKII, ma gli stadi sono sempre pieni di gente che accorre ad acclamarlo.

Blackmore non è più tornato e Jon Lord, nel frattempo, è scomparso; in compenso, Steve Morse è diventato di gran lunga il più longevo tra i chitarristi della band inglese. E Ian, coi suoi completi eleganti in stile Miami Vice e la chioma brizzolata da attore hollywoodiano, quando vuole sa ancora accelerare sul pedale del rock.

Dice Ian Paice, storico batterista della band: “I fan non riescono a concepire la band senza Gillan, ma hanno accettato l’allontanamento di Blackmore.”
I privilegi dovuti al fatto di essere uno dei frontman più carismatici di sempre.

— Onda Musicale

Tags: Deep Purple, Ritchie Blackmore, Led Zeppelin, Black Sabbath, Cream, Steve Morse
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