Le cover, nel mondo rock’n’roll, sono state parecchie, ma non tutte servivano solo a far avere più fortuna ad un brano. Spesso i motivi erano a sfondo razzista.
Quando, negli anni ’50, il rock’n’roll iniziava ad essere LA musica, il mondo non era ancora così preparato. Intendiamoci, la Seconda Guerra Mondiale era finita da poco, la guerra di Corea era in corso e sarebbe finita di lì a breve e il problema del razzismo (parlo specificatamente degli Stati Uniti, ovviamente) era ben lontano dall’essere anche solo minimamente risolto.
Ecco, parliamo, per esempio, della questione razziale. Data la fortissima necessità di forza lavoro e di carne da cannone da mandare al fronte, la WWII ha forzatamente messo in contatto i soldati bianchi con i soldati neri. Gli afroamericani, che sono stati circa un decimo del contingente armato statunitense, hanno dato un contributo enorme alla risoluzione del conflitto. E, cosa più importante, i commilitoni bianchi hanno imparato a conoscerli. Si sono salvati la vita a vicenda. E cosa può unire di più, tra loro, due persone?
Eppure, a guerre finite, al ritorno le cose non cambiarono affatto
È solo nel 1954 che la Corte Suprema degli Stati Uniti sancisce l’illegittimità della segregazione razziale nelle scuole. Cioè, da quella data in poi, bianchi e neri devono condividere gli stessi spazi, all’interno delle istituzioni scolastiche. Cioè, fino al 1954, non era possibile che bianchi e neri sedessero l’uno accanto all’altro, a scuola.
La sentenza è talmente scioccante che alcuni Stati del sud decidono di abolire la scuola pubblica, mentre altre famiglie decidono di mandare i propri figli nelle scuole private, dove i neri non potevano iscriversi. Il primo dicembre del 1955, Rosa Parks rifiuta di cedere il posto su un autobus. Il posto era, ovviamente, riservato ai bianchi. Lei viene arrestata, ma il resto è storia: Martin Luther King Jr. riuscirà a cancellare la segregazione anche dai mezzi pubblici.
Non solo lotte sociali
Ma in tutto questo, dove sta la musica? Dove sono le cover? Lo so che ve lo state chiedendo, e so che tutto questo preambolo sembra lungo. Ma abbiate pazienza e svelerò tutto.
Intorno alla metà degli anni ’50, escono tre film fondamentali: Gioventù Bruciata, con James Dean; Il Selvaggio, con Marlon Brando; Il Seme Della Violenza, con Glenn Ford. Tutti e tre i film trattano lo stesso argomento: il disagio di una generazione aggressiva e tormentata, alla ricerca di una propria dimensione. Gli adolescenti degli anni ’50 sono i figli di coloro che hanno fatto la guerra. Probabilmente orfani di padre. Il film Il Seme Della Violenza, di Richard Brooks, vuole parlare proprio di questo, ma il regista commette un piccolo errore che sarà una delle più grandi lacerazioni generazionali della storia moderna: inserisce, nella scena iniziale, il brano Rock Around the Clock, di Bill Haley & His Comets. E da questo punto in avanti le cose non saranno più le stesse.
Il Rock’N’Roll è la musica del diavolo
Quindi, facciamo il punto. Sono appena finite due guerre, con la sostanziale vittoria degli USA, e nessuno voleva più saperne di disagi, di qualunque natura fossero. La vita doveva essere bella e, sul fronte musicale, c’erano le belle voci di Bing Crosby e di Frank Sinatra a fare da sfondo, svettando sulla musica delle orchestre allegre e spensierate di Glenn Miller o Benny Goodman. Bianchi. I neri erano più jungle, come si diceva all’epoca, e quindi potenziali portatori di disagio.
Ma Rock Around the Clock e Il Seme Della Violenza, danno voce al disagio che le nuove generazioni stanno covando da tempo. Come fare? Come contenere ciò che è stato definito (giuro) “cannibalistico e tribalistico” (Francis J. Braceland). Il Rock’N’Roll è stato accostato al nazismo e i concerti/raduni a rituali orgiastici ed erotici. Ora, sebbene tutto questo possa sembrare divertente (e lo è, porca miseria se lo è!), all’epoca non lo era affatto, ma ormai il sasso era stato lanciato e si poteva solo correre ai ripari. E il riparo più grosso è stato il perbenismo.
Il fenomeno delle cover
È noto che i primi brani rock’n’roll siano stati realizzati da neri. La gara tra chi sia stato il primo ad incidere un pezzo rock’n’roll è ben lontana dall’essere finita e i due più avanti di tutti sono Fats Domino, con The Fat Man, e Ike Turner, con Rocket 88. In realtà, poco importa.
Il rhythm and blues, insieme al gospel, al blues e al country e ai suoi sottogeneri (sì, c’è anche la musica bianca, che è figlia della musica nera, che è figlia della musica bianca, che è figlia della musica nera… insomma, un bel potpourri), hanno fatto risplendere le luci di alcuni dei più importanti musicisti del rock delle origini, o, se vogliamo, del “protorock”. Chuck Berry, Little Richard, Fats Domino, Ruth Brown e altri (tipo anche Ray Charles e Aretha Franklin…), sono stati i precursori, e poi i protagonisti, del nuovo genere musicale che si stava facendo strada a gomitate nei negozi di dischi. La Chess records di Chicago aveva creato un sound che è ancora oggi indimenticabile, ma aveva (per l’epoca) un unico difetto. Erano tutti neri. E nero voleva dire jungle, selvaggio.
Ed è lì che arriva il “genio” dell’uomo bianco
Facciamo cantare le stesse canzoni ad altri! Diamo un volto pulito e gentile a questi brani! Ed è così che di questi pezzi vengono suonate le cover. Vengono coverizzati. I primi a subire questo trattamento sono stati i The Chords, gruppo del Bronx nato nel 1951, che scrivono la superhit Sh-Boom, che sarà resa famosa da The Crew-Cuts, quartetto canadese che poteva godere di una distribuzione maggiore.
Sempre il quartetto canadese porta al successo un altro brano, un’altra cover, Earth Angel, scritta originariamente dai The Penguins, un altro gruppo doo-woop, questa volta con base Los Angeles. Ma probabilmente colui che maggiormente ha saputo sfruttare questa situazione è stato Pat Boone, che tra le sue hit annovera Tutti Frutti e Long Tall Sally (di Little Richard) e Ain’t That a Shame (di Fats Domino). Tutte canzoni che sono diventate famose grazie a lui. Ed Elvis non era ancora arrivato…
È indubbio che la questione delle cover abbia aiutato gli autori neri ad uscire dalla nicchia dei race records (che poi è come dire ryhthm & blues), ma è anche fuori discussione che ci siano volute vere lotte sociali e grossi cambiamenti culturali per fare in modo che “l’uomo comune” accettasse la vera paternità di alcune delle più famose canzoni della storia della musica americana (e quindi mondiale). Musica, storia, società, politica: niente di tutto ciò può essere scollegato dal resto.