Il nucleo iniziale dei Quella vecchia Locanda vede quattro ragazzi giovanissimi ma con una grande preparazione musicale; Patrick Traina, il batterista è il più esperto, pur avendo solo 21 anni.
Gli altri ne hanno solo 18 e sono: Giorgio Giorgi, alla voce e al flauto, Raimondo Cocco alla chitarra e Romualdo Coletta al basso. I ragazzi vengono da Monteverde, un quartiere di Roma, e alcuni hanno già suonato in complessi estemporanei. Nel 1971 un loro pezzo viene selezionato per la compilation di rock progressivo intitolata Progressive Voyage. Alla fine dell’anno il gruppo registra un concerto al Voom Voom di Roma, con un suono già promettente. Il live verrà però pubblicato solo nel 1993.
L’incontro decisivo per la nascita del vero e proprio sound dei Quella Vecchia Locanda, avviene nel 1972, dopo che il tastierista Massimo Roselli si è già aggiunto alla formazione. Dopo un concerto fuori Roma, i quattro giovani vengono avvicinati da Donald Lax, un violinista americano. Il giovane è figlio di un diplomatico e segue la famiglia negli spostamenti causati dal lavoro.
Prima di arrivare a Roma, Donald ha già vissuto in Francia e studiato il violino al Conservatorio di Versailles, sotto la guida del grande Alphonse Ghedin. Donald si propone come violinista, proprio nel momento in cui i componenti di Quella Vecchia Locanda ne stanno cercando uno. Poche prove in una casa abbandonata nelle campagne romane convincono tutti che si tratti della scelta giusta.
L’inserimento in formazione di Lax ispessisce il suono e lo rende più originale per la peculiarità dello strumento. Inoltre, Donald viene da studi classici e con facilità riesce a inserire nel tessuto sonoro passaggi tratti da Bach, Brahms e Corelli. Il sound di Quella Vecchia Locanda diventa così molto più originale, tra i primi in Italia a mescolare il rock con suggestioni classiche.
Nel maggio del 1972 il gruppo si conquista una certa notorietà suonando al Festival Pop di Villa Pamphili, davanti a oltre centomila persone; poco dopo è il momento dell’uscita del primo album, per la piccola etichetta Help! distribuita – in modo non sempre efficace – dalla RCA italiana.

Alle registrazioni del disco partecipa anche il pianista Massimo Giorgi, che dà un ulteriore apporto in senso classicheggiante. In un brano, Dialogo, è presente anche Peter Z. Lax, fratello di Donald dalla storia tragica, con un assolo di clarinetto.
La copertina del disco di debutto, intitolato semplicemente col moniker della band, non è forse tra le più memorabile del prog italiano, ma comunque aiuta fin da subito l’ascoltatore a immergersi in un’atmosfera fiabesca. I suoni, considerando che siamo agli albori del genere – almeno in Italia – si possono definire quasi pionieristici.
La produzione è di Giacomo Dell’Orso, che firma anche tutti i brani, probabilmente più per una questione di diritti Siae, considerata la giovanissima età dei musicisti.
L’attacco chiarisce subito le coordinate dell’album, coi cinque minuti di Prologo. Il violino di Lax mena le danze, proponendo una piacevole melodia che viene doppiata a turno dagli altri strumenti. Questo fino all’ingresso della batteria, che sposta il tutto verso un sound che ci riporta diritti in quegli anni Settanta di cui il disco è emblematico.
Lax svaria per un po’ col suo magico violino, poi entra in azione Giorgio Giorgi con un testo abbastanza cupo ed esistenzialista, sostenuto da una bella melodia. La voce non è quanto di meglio proposto dal genere, pecca dovuta in parte alla giovane età e in parte a una produzione non proprio al top. A metà del pezzo il ritmo rallenta di colpo, offrendo una sezione melodica quasi struggente, prima di una parte di piano che prelude a una nuova accelerazione.
Il suono è puro prog, con cambi di ritmo, riff rocciosi e tutti gli strumenti a ritagliarsi la propria parte. Il flauto, suonato da Giorgi e che appare a tratti, mostra più di un debito verso quello mitico di Ian Anderson.
Si prosegue con Un villaggio, un illusione, ancora annunciato dal violino classicheggiante di Lax; il pezzo decolla poi in un hard-prog che naviga dalle parti dei Jethro Tull e del prog britannico, quello più duro. Il ritmo rallenta e il flauto che sussurra piano anticipa certe atmosfere degli Osanna di Milano Calibro Nove. La forza sta proprio nei continui cambi di ritmo e atmosfere, negli strumenti che si inseguono e doppiano, suonati sempre con incredibile competenza.
Realtà inizia con atmosfere acustiche e soffuse e con un tipico giro armonico in stile Bach. La voce è spesso doppiata dai cori, poi – al momento del ritornello – entra anche la sezione ritmica, conferendo robustezza al suono di questa ballata. La successiva Immagini Sfuocate si apre con una serie di suoni ambientali piuttosto misteriosi, poi dal magma di suoni si staglia la chitarra elettrica.
Prima un riff granitico, poi una bella cavalcata con un suono saturo che annuncia la parte cantata. Il pezzo, non troppo lungo, costituisce una vera e propria parentesi psichedelica che ricorda molto le prime cose de Il Balletto di Bronzo.
Si volta il vinile e parte Il Cieco, cambiando di nuovo atmosfere. Il suono è questa volta sospeso tra fusion e un andamento quasi funk, poi, la solita frenata, apre una sezione retta da un bordone d’organo e con flauto e violino che si rincorrono. Il flauto, pesantemente ispirato ai Jethro Tull, conduce le danze per un po’, prima di tornare ai ritmi iniziali.
Tocca poi alla bella Dialogo. Un’introduzione dall’andamento marziale e col sintetizzatore stavolta in grande evidenza, che svaria libero. Una sezione frenetica, col clarinetto del fratello di Lax, anticipa la parte cantata, un dialogo dai contenuti e ritmi riflessivi.
Si passa quasi senza soluzione di continuità a Verso la Locanda, penultimo pezzo dell’album; tra il violino che snocciola una struggente melodia e una batteria che non perde un colpo, il brano pare quasi riassumere gli ingredienti finora mescolati nei vari brani. Cambi di ritmo, break infuocati e gli strumenti che si inseguono portano il brano alla parte cantata, di nuovo più lenta, come in una ricetta che si ripete. Ancora una volta i Quella Vecchia Locanda mettono in mostra una grande capacità di creare atmosfere suggestive e di azzeccare melodie senza tempo.
Siamo in chiusura, con Sogno, Risveglio e…, un brano che inizia con una bella melodia suonata al piano, pienamente nei territori della canzone d’autore. Quasi due minuti e si aggiunge il violino, di nuovo con una melodia da brivido, a cui si somma poi il flauto. Sembra quasi di essere al cospetto di una musica da film, di qualche scena drammatica e struggente, magari con un tocco alla Morricone.
La parte vocale è molto breve e in piena sintonia col resto del brano; una chiusura delicata e azzeccatissima, forse il brano più toccante di un album che fa della suggestione il suo punto di forza.
Si chiude così il debutto eponimo dei Quella Vecchia Locanda, un lavoro che sta più che degnamente nel novero dei capolavori del prog italiano. Il suono, come detto, è per il 1972 all’avanguardia; le ispirazioni, tra band d’oltremanica e nostrane PFM e New Trolls, ci sono, ma non vanno a inficiare la personalità dei ragazzi di Monteverde. Anzi, tanta coesione e consapevolezza sembrano quasi incredibili in un gruppo così giovane.
Purtroppo, nonostante il discreto successo di questo primo lavoro, il complesso è destinato a subire notevoli scossoni. Lax, forse la vera anima della band, deve rientrare negli Stati Uniti e cede di malavoglia il posto a Claudio Filice. Lax continuerà la carriera di musicista, tanto che tuttora è attivo alle Hawaii, mentre il fratello morirà dopo pochi anni.
Il tracollo della Help!, che passa definitivamente sotto l’ala della RCA, causa una serie di ritardi ai lavori del secondo album. Il Tempo della Gioia esce solo nel 1974. Il disco è di nuovo valido, con un netto miglioramento della produzione e delle parti vocali, ma paga rispetto all’esordio in freschezza ed entusiasmo. Le vendite sono di nuovo discrete, ma la defezioni di Filice lascia di nuovo nei guai la band.
Al posto del violino, i Quella Vecchia Locanda provano ad andare avanti inserendo una viola, ma nel 1975 decidono per lo scioglimento. I musicisti proseguono le carriere musicali, ma quasi sempre lontano dalla scena rock; un vero peccato per un complesso che aveva dimostrato ampiamente di avere i numeri giusti per regalare altre grandi pagine di musica al rock progressivo italiano.
Ma forse è meglio così, aver lasciato col ricordo di due album a loro modo iconici, senza i cambi di genere avventurosi e discutibili che avrebbero caratterizzato larga parte della scena del prog italiano.