Buddy Holly è stato cantante, chitarrista, autore, produttore e pioniere della classica formazione del gruppo rock: due chitarre, basso e batteria. Ripercorriamo insieme la sua meravigliosa carriera, terminata tragicamente.
Primi vagiti musicali
Buddy Holly è probabilmente la più grande perdita che il rock’n’roll, e tutta la musica leggera in generale, abbia patito. Nato in Texas nel 1936, si interessa quasi subito alla musica, grazie soprattutto alle cure della madre Ella e dei fratelli, più grandi di lui di una decina di anni. I primi ascolti sono il country di Hank Williams e di Jimmie Rodgers, ma ha la fortuna di vivere in un luogo in cui la radio prende le frequenze della musica nera di John Lee Hooker e Lightnin’ Hopkins, tra gli altri.
Così decide di imparare a suonare la chitarra
Nel 1953, a 17 anni, forma il duo Buddy and Bob, con il compagno di scuola Bob Montgomery, con il quale si esibisce nelle feste scolastiche. Poi, all’arrivo di Larry Welborn al basso, si esibiscono in una trasmissione radiofonica locale: il successo è tale che gli viene dato uno spazio dedicato alla loro musica.
L’arrivo del rockabilly
Tra il 1954 e il 1955 il trio ha la possibilità di conoscere Elvis, che passava dalla loro città per un concerto. I quattro fanno amicizia e al ritorno del Re per un altro concerto – qualche tempo dopo – Buddy, Bob e Larry si esibiscono come band di supporto.
Ha dichiarato Buddy:
Senza Elvis nessuno di noi ce l’avrebbe fatta.”
Nel 1955 arriva in città anche Bill Haley, e il trio è di nuovo band di supporto al concerto. Vanno così bene che Eddie Crandall, talent scout di Nashville, decide di fargli registrare delle demo per la Decca americana, in vista di un contratto discografico.
Così Buddy, con un quartetto semi improvvisato, registra quattro brani (tra cui That’ll Be The Day).
Le cose vanno bene ma al momento di andare a registrare in sede Decca, tutto prende una piega diversa. Con il tecnico Owen Bradley non c’è chimica e le registrazioni non sono eccellenti. Inoltre Buddy, che normalmente suonava una Stratocaster, era obbligato a suonare una chitarra che non era “nella sue corde”, perché più adatta al country che stava registrando.
Insomma, tutto lo porta a far uscire un paio di 45 giri che avranno pochissimo successo. Ma c’è la svolta.
Nor-Va-Jack
In New Mexico, a Clovis, c’era uno studio che faceva pagare solo per le canzoni incise, e non per il tempo passato dentro: si chiamava Nor-Va-Jack. Una politica perfetta per chi, come Buddy, amava sperimentare.
Per carità, Norman Petty (proprietario dello studio) co-firmerà la maggior parte dei brani, ma è un prezzo che si può anche pagare. In effetti Buddy la vede lunga, e finalmente riesce nel suo intento di registrare come vuole lui, quello che vuole lui.
La cosa buffa è che il nuovo contratto, firmato dalla nuova band The Crickets, è di un’etichetta figlia della Decca, quindi Buddy si ritrova ad avere un contratto da solista con la Decca e uno con i Cricket per la Brunswick. Quindi That’ll Be The Day (e gli altri futuri successi) esce per due etichette diverse con gli stessi artisti. Norman Petty era un genio.
Il successo
Pian piano le acque si muovono e iniziano ad esserci diversi brani nella classifica di Billboard.
Il già citato That’ll Be The Day (che non ho ancora detto, ma è quella che hanno registrato anche dei giovani Paul e John, prima di diventare veri e propri Beatles – la si può ascoltare in Anthology 1), e la meravigliosa Peggy Sue, che forse esemplifica più tutte le altre canzoni le doti di Buddy Holly, compresa una peculiare caratteristica del suo canto, ovvero quella di passare da una sillaba all’altra con una specie di drammatico singulto.
Si esibiranno anche all’”Ed Sullivan Show” e nel “Rock & Roll Shows” di Alan Freed (quello che ha fatto conoscere il termine “rock’n’roll” ai bianchi, per capirci), ma di nuovo le acque iniziano ad incresparsi.
Gli ultimi anni
Alla fine il rapporto con i Crickets si deteriora, complici l’imminente fine di un’era e un matrimonio che fa deteriorare il rapporto con Norman Petty, il produttore. Insomma, Buddy decide di produrre il primo disco di Waylon Jennings, una promessa della musica country, e incide con l’orchestra di Dick Jacobs, per dare una svolta alla sua carriera. Ma il contenzioso con Petty si inasprisce, e i due si trovano in tribunale per questioni di diritti sui brani. Quindi Buddy è costretto a ritornare sulle scene.
Si inventa uno show insieme a Ritchie Valens (“La Bamba”) e altri e inizia a girare gli Stati Uniti. Prima in bus, poi, per un ultimo tragicissimo viaggio, in aereo.
Il giorno in cui il rock’n’roll morì
“The day the music died”, cantò Don McLean. Questa frase, inserita in “American Pie”, brano del 1972, racchiude profondamente ciò che quel tragico giorno accadde dopo pochi minuti di volo del Beechcraft Bonanza che trasportava Buddy Holly, Ritchie Valens e Big Bopper. Era il 3 febbraio del 1959.
Non solo morirono questi tre musicisti, ma si arriva ad un vero e proprio spartiacque epocale: il rock si sposta dagli Stati Uniti all’Inghilterra. Il rock’n’roll lascerà il posto al rock così come lo conosciamo noi. E non è un caso, infatti, che l’incredibile saga di Holly non termini con la sua scomparsa, ma la si ritrovi attraverso l’influenza che la sua figura musicale ha avuto su alcuni dei più grandi artisti successivi: Eddie Cochran, Elvis Costello, Paul McCartney e i Beatles, John Denver, solo per citarne (a caso) alcuni.
Forse morì il rock’n’roll, ma l’eredità che lasciò ai suoi figli fu gestita in modo da non farci dimenticare chi il rock’n’roll lo ha inventato.