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Frank Zappa e la canzone degli Stones da lui definita “una delle cose più belle del rock britannico”

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163 album totali di cui 52 registrati live, 39 in studio, 33 raccolte di grandi successi e persino 3 colonne sonore, fu polistrumentista, chitarrista, cantante ma anche satirista e cabarettista: parliamo del genio indiscusso di Frank Vincent Zappa.

Amante della musica classica ma contestatore di Beethoven Mozart, sostenitore della necessità di montare dei video per permettere alla musica “colta” di avere lo stesso successo massmediatico del rock e del popFrank Zappa pretendeva di esser impeccabili quando si registrava, senza alcun uso né abuso di alcol e droghe.

Nel 1980 Frank Zappa arriva alla Broadcasting House per registrare un’edizione speciale dell’amata slot musicale Star Special di BBC Radio 1

Si tratta di un programma in cui i musicisti sono invitati a suonare alcuni dei loro dischi preferiti. Lo slot di Zappa lo ha visto girare dischi di artisti del calibro di Black Sabbath, Captain Beefheart e il compositore Edgard Varèse, che un tempo era stato l’insegnante del venerato avanguardista John Cage. Il rocker di Baltimora aveva qualcosa di perspicace da dire su ogni singola canzone, ma ce n’era una che lui ha definito straordinaria: “Paint It Black” dei Rolling Stones.

Il 7 maggio del 1966 i Rolling Stones pubblicano “Paint It Black” contenuta nel disco Aftermath

La traccia, apparentemente scritta dal punto di vista di un cinico profondamente depresso, ha introdotto i fan degli Stones al lato oscuro della scrittura di canzoni di Mick Jagger. Con le sue varie allusioni a carri funebri e core di fiori, “Paint It Black” è stato (forse) il brano con cui gli Stones siano mai riusciti a evocare la malinconia gotica dello scrittore americano Edgar Allan Poe (1809-1849).

Gli arrangiamenti dalle sfumature orientali degli Stones conferiscono un tocco decisamente psichedelico alla registrazione

Per Zappa è stato un capolavoro assoluto. Presentando “Paint It Black” agli ascoltatori della BBC, il chitarrista italo-americano ha detto: “Sai cosa c’è di veramente buono in quel disco? È il modo in cui la parte di basso è lì e poi dove sta andando ‘wooom, wooom’ in quel modo, è davvero esaltante; è probabilmente una delle cose più belle che siano mai state create nel rock britannico.

Un giudizio davvero importante

Il brano è certamente molto in anticipo sui tempi, introducendo i fan degli Stones a nuovi aspetti sonori attraverso l’impiego di strumentazione indiana. Paradossalmente, fu proprio alle isole Fiji che gli Stones iniziarono a scoprire il sitar. Brian Jones, il carismatico chitarrista del gruppo, è stato il primo a considerare seriamente l’utilizzo del sitar. Infatti, in studio lui e Keith Richards hanno scoperto che la malleabilità delle sue corde produceva esattamente il tipo di atmosfera che (evidentemente) stavano cercando. Successivamente sono state registrate un paio di sovraincisioni e il resto è storia.

L’importante ruolo di Brian Jones (secondo Zappa)

Zappa ha continuato sottolineando il ruolo di Jones nella realizzazione del disco durante la sua trasmissione, aggiungendo che Brian Jones ha utilizzato il sitar come se fosse nato per suonare esattamente quello strumento. Ascoltando “Paint It Black” si può apprezzare lo splendore dei Rolling Stones durante uno dei loro periodi più creativi e pionieristici. E anche sperimentali. Naturalmente il tutto potrebbe essere stato “favorito” dall’uso di droghe o acidi. Infatti, la storia della musica è piena di dischi che, senza l’uso pesante di droghe, (forse) non sarebbero mai nati. Basti pensare a Revolver dei Beatles.

— Onda Musicale

Tags: The Rolling Stones/The Beatles/Black Sabbath/Mick Jagger
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