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Woodstock, la setlist: Quill

Woodstock è stato il più grande festival del rock. Nella sua seconda giornata ha portato sul palco alcuni dei nomi più importanti di tutti i tempi. La storia oggi ci porta a conoscere i Quill, una band promettente, ma anche un po’ sfigata.

Chi sono i Quill?

Nel 1967, a Boston, i fratelli Jon e Dan Cole iniziarono a suonare le loro canzoni nella band da loro creata, i Quill. Li raggiunsero il polistrumentista Phil Thayer e il batterista Roger North – entrambi musicisti della band Catharsis – e il chitarrista Norm Rogers della Morning Star Blues Band.

Erano cinque musicisti di talento e, durante i concerti, giocavano spesso a scambiarsi gli strumenti

Questo modo di fare li ha portati ad avere un grosso seguito di pubblico, arrivando ad aprire per gruppi come The Jeff Beck Group, The Who, The Kinks, Janis Joplin, Velvet Underground. La fama li ha anche portati ad esibirsi in diversi programmi televisivi locali.

Nella primavera del 1969, i Quill furono scritturati al The Scene di New York, uno dei locali più cool della costa est. Johnny Winter, la stessa sera, si presentava per la prima volta al pubblico e, non troppi giorni dopo, diversi membri dei Quill finirono sul palco per una jam notturna con lui, Stephen Stills e Jimi Hendrix, abituali avventori del locale.

Secondo la leggenda, le loro esibizioni li portarono ad esibirsi a Woodstock. Insieme a Santana e agli Sha-Na-Na, furono gli unici a suonare senza aver mai pubblicato un disco.

Sul palco del Festival

I Quill, che erano di fatto dei perfetti sconosciuti, dovrebbero essere famosi anche solo per l’umiltà. In effetti non era la classica rock band arrogante, tutta “sex, drugs & r’n’r” (non che niente di tutto ciò mancasse, ovviamente), ma sarà per la formazione classica (e quindi borghese), sarà per l’estrazione sociale (ma poi perché?), sarà qualunque cosa, iniziarono la loro esperienza woodstockiana suonando per le strade delle città limitrofe. A cappello. Cioè, in pratica vennero ingaggiati per farsi buoni i vicini. E la cosa piacque, e molto.

Suonarono all’interno delle comunità e dentro le prigioni; persino nelle strutture psichiatriche. E non erano un quartetto d’archi, ma puro rock psichedelico proto progressive (ne parleremo dopo).

Il loro set iniziò la mattina del 16 agosto. La notte precedente fu particolarmente umida: piogge torrenziali hanno letteralmente allagato il prato davanti ai palchi, creando disagi giganteschi a tutta la comunità presente. Non vi lascio immaginare i bagni…

Eppure, nonostante i luoghi comuni, gli hippie seppero rimboccarsi le maniche e si dettero da fare per pulire tutto. TUTTI. Ci fu un vero e proprio movimento sociale che si prestò a fare le pulizie al festival, per rendere la vita di tutti un po’ più vivibile, almeno su quel prato. Vero spirito di comunità.

Dicevo, il set dei Quill iniziò la mattina dopo la pioggia. Le foglie erano ancora bagnate, quando Morris annunciò al pubblico: “Facciamo un po’ di musica. Signore e signori, Quill!”

Ma qui nascono i primi problemi

Il brano di apertura, “They Live the Life”, ha un ritmo per nulla semplice da seguire. Ad aggiungersi ci sono le armonie atonali e la voce eccessivamente drammatica di Cole. Insomma, non sono proprio decollati.

La seconda canzone, “That’s How I Eat“, aveva un ritmo decisamente più accattivante e mostrava il talento musicale dei membri della band che iniziarono a scambiarsi gli strumenti, loro vero marchio di fabbrica. La situazione fu un po’ migliore e finalmente il pubblico iniziò a scaldarsi e a ballare.

Ma lo slancio ebbe una nuova battuta d’arresto. “Driftin‘”, il terzo brano, venne interrotto per un annuncio. Hugh Romney (che fra le altre cose ha fondato Hog Farm, una comune hippie ancora esistente) ha incoraggiando tutti ad essere “gentili tra loro e di abbracciare le persone che causano problemi”. Durante un concerto. Era Woodstock, ragazzi…

Dopo l’interruzione, i Quill hanno chiuso il loro set di 40 minuti con “Waiting for You“, durante la quale Jon e gli altri membri della band hanno iniziato a lanciare maracas, blocchi di legno e qualsiasi altra cosa che potessero trovare, per portare il pubblico vicino al palco e renderlo più partecipe.

La canzone includeva una lunga jam che degenerò in un canto ripetitivo prima di concludere.

Ma i ragazzi lasciarono il palco sentendosi un po’ frustrati dal fatto che non riuscirono a generare il tipo di coinvolgimento che aveva portato loro fortuna nei club di Boston.

Dopo Woodstock

Poco dopo Woodstock, tornati a Boston, i Quill registrarono le tracce per il loro album di debutto. Il disco, intitolato semplicemente “Quill”, includeva una sola canzone dal loro set di Woodstock, “They Live the Life” di nove minuti e sedici secondi.

L’album fu pubblicato dalla Cotillion nel febbraio 1970 e fu largamente ignorato dalla critica e dal pubblico. La loro musica era eclettica, con temi a sfondo sociale; a volte poetici, a volte ironici. Usavano scale musicali parecchio insolite, sfiorando l’atonalità. Etichettati come psichedelici, hanno in realtà un’inclinazione anti edonista che li rende veramente interessanti, se paragonati ad altre band dello stesso periodo. Qualcuno disse che erano una versione moderna de “L’opera da tre soldi” di Brecht.

Ma ora vi spiego perché sono degli sfigati

Come ben saprete, uno dei motivi che ha reso il festival di Woodstock “Il Festival”, è stato il documentario di Michael Wadleigh. Quasi ogni band fu ripresa e documentata su pellicola, portandoli alla gloria imperitura (vedi Santana). Ma non i Quill. O meglio.

Le stesse quattro parole sono venute in mente ai pezzi grossi della Cotillion, perché la casa produttrice non si impegnò per nulla nel pubblicizzare e distribuire il disco.

E non solo! Qualche tempo dopo i ragazzi registrarono un nuovo album, ma la Cotillion si rifiutò di pubblicarlo.

Il set dei Quill venne regolarmente registrato, ma ci furono dei problemi tecnici con la sincronizzazione audio (all’epoca non c’erano certo le telecamere digitali). Inoltre la loro performance fu piuttosto lunga per una band sconosciuta. Insomma, vennero tagliati dal montaggio finale. Nichts. Nada. Nothing. Nulla. Scoraggiati, i Quill si sciolsero, togliendo dalla scena una buona band.

E ora?

L’unico degno di nota è Roger North, che continuò come batterista lavorando con Odetta. Intorno al 1968, creò la North Drums, una particolare linea di tamburi curvi. Gli altri hanno decisamente cambiato vita, allontanandosi dalla musica. Per i Quill, la rivoluzione di Woodstock si era disintegrata nello spazio di un sogno.

— Onda Musicale

Tags: Janis Joplin, The Who, Santana, Velvet Underground, The Kinks
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