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Ian Paice: lo storico batterista dei Deep Purple si racconta al nostro giornale. Ecco l’intervista

Ian Paice, al secolo Ian Anderson Paice, nasce a Nottingham il 29 giugno 1948 ed è un grande batterista britannico.

Ian Paice è uno dei batteristi più conosciuti nella scena musicale rock, divenuto famoso come membro dei Deep Purple. Molto creativo e brillante interprete di lunghi assoli, è considerato uno dei migliori batteristi rock di sempre, con un suono e uno stile unico evidentemente influenzato dalla musica jazz.

Come turnista Ian Paice vanta moltissime collaborazioni. Su tutte, spiccano quella con Doug Yule in occasione dell’ultimo lavoro in studio attribuito ai Velvet UndergroundSqueeze (1973), e quella con Paul McCartney in occasione dell’album Run Devil Run pubblicato nel 1999, e del successivo DVD Live at the Cavern Club. Fra i momenti più rappresentativi del suo stile non va dimenticata la prestazione resa nel live Made in Japan dei Deep Purple dove, rifacendosi ad una prassi già introdotta al grande pubblico rock da batteristi come Ginger Baker o Keith Moon, si è esibito in un assolo di diversi minuti all’interno del brano The Mule.

Lo abbiamo contattato per un’intervista e lui, con grande disponibilità. ha risposto alle nostre domande.

Sei considerato (a ragione) uno dei migliori batteristi di tutti i tempi. Quanto lavoro e quanto studio c’è dietro questo grande risultato?

Non sono certo uno dei migliori batteristi di sempre, ci sono musicisti incredibili che suonano tutt’ora e musicisti incredibili che non sono più con noi. Sono il migliore Ian Paice al mondo, questo è il massimo che posso dire. Tutto il mio lavoro, tutto ciò che ho imparato l’ho imparato sul palco e nello studio di registrazione. Sono fortunato perché ho potuto fare molto di entrambe le cose e credo fermamente che più si fa una cosa e più si può migliorare.

Nella tua immensa carriera hai suonato con Whitesnake, Gary Moore, Paul McCartney, Velvet Underground e, naturalmente, Deep Purple. C’è qualcuno (anche del passato) con cui avresti voluto suonare ma che (per un motivo o per l’altro) non hai potuto?

Credo che quello che spicca di più sia Jimi Hendrix. Ero in New York e Jimmy e la Experience erano li, siamo capitati nello stesso club una sera. Anche il mio buon amico Carmine Áppice (altro grande batterista – NDR) era li, grande batterista dei Vanilla Fudge, ed è partita una jam. Con Carmine ci siamo detti “ne suoniamo una io e una tu” ma lui si divertiva così tanto che non è più sceso dal palco e quindi alla fine non ho mai suonato con Jimi. Questo è probabilmente il più grande artista con il quale non sono riuscito a suonare.

Quali sono le band o i musicisti che ti hanno maggiormente influenzato nel tuo percorso di crescita?

“Come ogni artista, che tu sia un batterista, un pittore, un ballerino, queste influenze accadono in gioventù quando per la prima volta ci si interessa di quello che vorremmo diventare. Nel mio caso, ho ascoltato molti batteristi di grandi band prima di conoscere veramente la musica, era la musica che ascoltava mio padre, e quando sono diventato parte della mia prima band ascoltavo molto Ringo Starr perché amavo come ti faceva sentire tutte le cose (made things feel), Bobby Elliot dei Hollies perché aveva un sound strepitoso e grande inventiva, e da quelle influenze ho ricavato il mio stile misto di rock & roll e jazz.”

Impossibile non associare il tuo nome ai Deep Purple, di cui sei l’unico sempre presente in tutte le formazioni. Qual è il segreto per mantenere il successo così a lungo?

“(ride) Penso che se si conoscesse la risposta a questa domanda tutti avrebbero una carriera di 50 anni! Credo che tra sé e sé bisogna sempre ricordarsi che, non importa che tu stia suonando per 200 persone o 20.000 persone, devi dare sempre dare il tuo meglio, e le persone devono vedere che stai dando il massimo. Non deve essere perfetto, ma se il pubblico crede che stai dando il massimo e diffondi gioia, allora credo si possa andare avanti fin che si vuole in questa carriera.”

Nei giorni scorsi sei stato impegnato in un concerto in Italia con il chitarrista Tolo Marton. Cosa rappresenta per te l’Italia, che ti ama davvero molto?

Io e Tolo abbiamo lavorato insieme diverse volte ormai. È molto semplice suonare con lui. Ma non si può provare niente con Tolo, ogni sera sarà diversa. Lui cambia in continuazione perché è uno spirito completamente libero quando si tratta della sua musica, quindi so cosa succederà solo fino ad un certo punto ma può sempre cambiare (ride). Sono stato fortunato perché sono stato in Italia davvero tante volte, ho molti grandi amici lì e ogni volta che vado sto bene. Buon cibo, buon vino, tante risate e tanti bei momenti.

Personalmente, sono molto legato alla grande figura di Jon Lord, purtroppo scomparso nel 2012. Puoi raccontarci qualcosa di lui “dietro le quinte”?

Quello che avete visto di Jon è esattamente la realtà. Un grande gentleman, incredibilmente talentuoso musicista e una bella persona in generale. Io chiaramente ero molto legato a lui, perché abbiamo sposato due sorelle, e probabilmente l’ho conosciuto meglio e più a fondo di chiunque altro abbia collaborato con lui. È un peccato che non ci sia più, se ne è andato troppo presto e sono certo che ci avrebbe regalato altra musica meravigliosa.

Steve Morse ha recentemente lasciato la band per motivi familiari. Non è certo un momento facile per lui, così come non fu facile sostituire Blackmore nel 1994. Cosa pensi del suo modo di suonare, così diverso da quello di Blackmore?

Non è facile sostituire qualcuno di così brillante. Quando uno come Richie decide di andare via lo devi sostituire con qualcuno di grande qualità ma non un clone, una copia esatta. Sarebbe stato più semplice, sappiamo che ci sono 2-3 famosi chitarristi al mondo devoti a Richie, che amano il suo modo di suonare e cercano di emularlo, ma sarebbe insensato perché c’è un solo Richie e che senso avrebbe prendere un Richie Nr.2 o un Richie Nr.10?  Quando abbiamo deciso di continuare ci siano nessi a cercare il miglior chitarrista che ci piacesse ascoltare e quello era proprio Steve Morse. Fortunatamente ha accettato e l’abbiamo tenuto con noi per molto molto tempo. È davvero terribile che la realtà della vita cambi improvvisamente tutti i tuoi piani e Steve ha fatto quello che tutti i bravi padri di famiglia e mariti farebbero, e ha deciso che il suo posto è a casa per prendersi cura di sua moglie. Si, è difficile, ma alcune cose sono più grandi della musica e su quelle cose non abbiamo nessun controllo.

Cosa pensi dello stato di salute della musica italiana?

“Penso che in Italia siate molto fortunati. Ci sono molte occasioni per artisti giovani per suonare. Molte piccole città hanno bar e locali che cercano musica dal vivo, ci sono locali nelle grandi città che ancora scelgono la musica dal vivo, e questa è una bella situazione. Non è così facile nel Regno Unito, ci sono pochi posti dove artisti emergenti e giovani possono andare a lavorare. Quindi penso che in Italia stiate andando bene.

Che progetti hai per il futuro?

(ride) voglio continuare a fare quello che faccio fin che posso e fin che sento di riuscire ancora bene e mi diverto. Chi lo sa cosa succederà domani, bisogna concentrarsi sull’oggi.

— Onda Musicale

Tags: Deep Purple, Ritchie Blackmore, Jimi Hendrix, Gary Moore, Paul McCartney, Jimi Hendrix Experience
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