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“Pistol”: la nostra recensione della serie TV sui Sex Pistols

“Il nostro manager sta cercando di abbattere il governo, il nostro cantante è completamente pazzo, il nostro bassista fa risse per divertimento e Steve è un maniaco sessuale”

(Sex Pistols)

Immaginate la frase gridata a pieni polmoni come fosse un inno, una dichiarazione d’intenti. Ed ecco Pistol, il progetto di Craig Pearce (Romeo+Juliet, Moulin Rouge, Il Grande Gatsby) e Danny Boyle (Trainspotting). Questi due grandi artisti si sono uniti per raccontare in una serie tv di sei puntate la storia della più incasinata e rivoluzionaria band degli anni Settanta: i Sex Pistols. Il risultato è la color del Grande Gatbsy che incontra lo stile di Romeo+Juliet  e l’atmosfera di Trainspotting. Tra flashback e immagini psichedeliche inizia a delinearsi la storia di Steve Jones (Toby Wallace), il chitarrista dei Sex Pistols, dal libro del quale, Lonely Boy: Tales from a Sex Pistol, è tratta la serie.

Con questi presupposti, dovremmo essere certi dell’attendibilità dei fatti, eppure ascoltando e leggendo interviste dei personaggi reali gli eventi sembrano non coincidere mai (com’era prevedibile). La serie tv, in ogni caso, non ha la pretesa di essere un documentario, tutt’altro. È la panoramica di un periodo storico stravagante e scandaloso, un momento fugace che ha sconvolto una nazione ispirando giovani da ogni parte del mondo. Quei giovani che non avevano un futuro o valori in cui identificarsi e hanno trovato il punk.

Tutto inizia quando Steve Jones entra nel negozio di Malcolm McLaren (Thomas Brodie-Sangster), impresario e produttore musicale

Jonesy è rappresentato come un ragazzo timido, vulnerabile, con un senso dell’umorismo scandaloso e autoironico. Malcolm è l’epicentro del movimento punk prima ancora che esistesse, pazzo ma appassionato, affascinante e privo del timore di commettere errori. Il focus è principalmente su di loro, che troviamo subito accomunati dalla ricerca disperata di un’identità provocata dalla mancanza di una figura paterna, o comunque di un’infanzia serena, in contrasto con il batterista Paul Cook, mostrato in ottimi rapporti con i genitori.

Malcolm inizia la sua missione dopo aver unito i ragazzi: Steve Jones, Paul Cook (Jacob Slater), Johnny “Rotten” Lydon (Anson Boon), Glen Matlock prima (Christian Lees) e per finire Sid Vicious (Louis Partridge). Ecco pronto il suo esercito: «Quattro tipi al verde della classe operaia che non sanno suonare». Non servono più band da quindici minuti di assolo, si dicono, «dobbiamo essere noi stessi e noi siamo incazzati, invisibili, perciò se agli altri non frega niente di noi, a noi non frega niente degli altri».

Tutti fingono che sia tutto normale, ma in realtà il mondo sta cadendo in pezzi e noi poveracci dobbiamo starcene zitti e cantare God Save The Queen [l’inno nazionale britannico]. Roba da matti.”

I Pistols vengono raffigurati come ribelli, rivoluzionari (vogliono distinguersi, parlare al popolo, cambiare le cose), ma è indubbio che il manager li abbia plagiati fin da subito. Malcolm comunque non nasconde il suo scopo: vuole che lo aiutino nella rivoluzione contro le istituzioni, contro l’oppressione dello stato. Vuole «sabotatori, assassini, truppe d’assalto» e Steve è il ragazzo giusto perché non ha altro per cui vivere, a parte la musica. Il rock’n’roll è un mezzo per controllare le masse, dice Malcolm, quindi devono inventare qualcosa di diverso. Qualcosa che esprima «the fury of the forgotten generation», la furia della generazione dimenticata.

Il resto è storia

Il Jubilee Boat Party nel 1977, Sid e Nancy, la manipolazione di Malcolm McLaren fino all’uscita dal gruppo di Johnny Rotten e la morte di Sid Vicious. Accanto ai Pistols ci sono anche Chrissie Hynde (Sydney Chandler), leader dei Pretenders, Jordan Mooney (interpretata da una pazzesca Maisie Williams), famosa modella e icona punk, Vivienne Westwood (Talulah Riley), stilista e moglie di Malcolm McLaren, e naturalmente Nancy Spungen (Emma Appleton).

Ciò che colpisce della serie è la lente scelta per raccontare gli eventi

C’è questa animosità di fondo che ingloba ogni cosa – la rabbia cieca, l’incapacità di accettare le ingiustizie –, il tutto rappresentato tramite l’interpretazione esagerata dal cast, quasi interamente emergente. Spesso le scene sono intervallate da immagini che si susseguono come un videoclip prodotto sotto effetto di acidi (immagini reali dello Ziggy Stardust Tour, della moda del glam rock, di Londra). Da questo emerge un’espressività che impressiona, a partire dai flashback dell’orribile infanzia di Steve (con gli abusi che subiva dal padre) fino alla dipendenza di Nancy e Sid e le rispettive morti.

Ad oggi stupisce che una band senza alcuna competenza musicale faccia tutto questo rumore e quasi rovesci un governo. La musica è ancora un mezzo così potente? Pearce e Boyle volevano far riflettere i giovani di questa generazione? Johnny sostiene che la loro musica è onesta, che se i giornali parlano del loro aspetto fisico non gli interessa, continueranno comunque a suonare e a fare quello che gli pare.

Però, nel corso delle ultime puntate, si rende conto della verità:

Avete mai provato la sensazione di essere stati fregati?”

Di nuovo, Malcolm ci mette lo zampino. Quando Sid muore, è preoccupato per le magliette appena realizzate con il volto di Sid e la scritta “She’s Dead, I’m Alive, I’m Yours”. Prima di questo, caccia Johnny dalla band perché è diventato scomodo e troppo ribelle. E alla fine di tutto, quando il gruppo si sta sfaldando e la sua filosofia distruttiva finisce per annientare i suoi sogni, ci tiene a precisare che è stato lui a rendere importante Steve Jones, il ragazzino senza futuro e senza famiglia. Conclude con la terribile affermazione: «I’m only 30, I’m not your father», ho solo 30 anni, non sono tuo padre.

Di certo c’è che in quel periodo era più facile essere onesti e spontanei

I Sex Pistols, a modo loro e nonostante la supervisione manageriale, lo erano. Hanno ispirato e continuano a ispirare ragazzini e giovani che non credono di appartenere al mondo che li circonda, che si sentono abbandonati, ininfluenti, dimenticati. E lo hanno fatto tramite la musica, protagonista delle loro vite forse più di loro stessi. È una sensazione che è stata rappresentata egregiamente: la musica come mezzo di espressione ma soprattutto di salvezza, il bisogno di suonare a ogni costo, perfino rubando attrezzature di altri.

La colonna sonora è perfettamente studiata e azzeccata: T-REX, The Who, David Bowie, Pink Floyd, Elvis Presley, New York Dolls, Roxy Music, Eagles. Sono solo alcuni degli artisti che compaiono in queste sei puntate.

In conclusione

Pistol è una serie importante per chi ricorda nostalgicamente il punk e i suoi adepti più acclamati, ma lo è soprattutto per gli attuali giovani persi, abbandonati, dimenticati. È la testimonianza di una rivoluzione, la dimostrazione che anche chi crede di non avere nulla in realtà ha qualcosa per cui combattere. Per quanto la figura di Malcolm sia discutibile e spesso faccia arrabbiare, non ha commesso solo errori. Dal caos è effettivamente emerso qualcosa di nuovo e di più potente: i Sex Pistols.

— Onda Musicale

Tags: Sex Pistols, Johnny Rotten, Sid Vicious, Steve Jones
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