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Enya, la strana magia di un debutto atipico

Enya è uno di quegli artisti che sembrano esistere da sempre. Prima della nostalgia, prima di quel movimento new age dal quale era tanto determinata a distanziarsi, assieme agli antichi eroi di cui emulava lo stile musicale e riportava in auge la lingua.

Ma da dove arriva? Prima di Orinoco Flow, prima di Only Time, prima dei castelli e prima del trono – mai ceduto – di artista irlandese di maggior successo di tutti i tempi, c’era un’Enya giovane e di belle speranze. È quella che conosciamo in un album che un tempo si chiamava The Celts, ma che oggi tutti possono trovare come, semplicemente, “Enya”. E non a caso: è stata proprio la ritrovata fama dell’artista a spingere la sua label a riportare in auge il suo debutto, allora poco conosciuto. 

Enya è una leggenda, un modo di vedere il mondo, un marchio di fabbrica, e uno di quei misteri della musica che ancora oggi non si riesce a risolvere. Non che il Regno Unito – dove Bob Aggiustatutto, il personaggio del cartone animato per bambini, è arrivato per tre volte primo nella classifica Billboard, e già molto tempo fa vi era riuscita una cover per la zampogna di Amazing Grace – non fosse abituato alle canzoni inusuali. Eithne Pádraigín Ní Bhraonáin, o Enya O’Brennan, è tutto fuorché una novelty. E non c’è modo migliore per comprenderlo del suo primo lavoro. 

The Celts: cultura celtica, per i celti 

The Celts nasce nel 1985 su richiesta del produttore televisivo BBC Tony McAuley, che contatta Enya – allora presente solo in colonne sonore e altri lavori minori – per realizzare un accompagnamento musicale per un suo lavoro in arrivo. Si tratta di un documentario dedicato alla storia e alla cultura del popolo celtico, intitolato appunto The Celts. Enya, che aveva già realizzato una traccia con tale argomento e che nella cultura celtica è immersa dacché era al mondo, coglie la palla al balzo e mette cuore e anima in un album che, senza sapere il dettaglio della colonna sonora, funziona come e più di prima. 

Perché dovrei ascoltare un album di musica celtica, è la domanda che si potrebbe porre un profano

Cosa distingue Enya da un qualunque altro album con una collezione a tema celtico che si può acquistare in qualunque momento? L’autorità, prima di tutto: nonostante la sua personalità schiva e il suo celebre disinteresse per la fama (non è mai nemmeno partita in tour nei suoi più di trent’anni di successo come musicista), Enya possiede una personalità forte che si fa riconoscere da subito nelle sue canzoni. Non si limita a riciclare la musica celtica per come la conosce: la presenta, la accoglie, la colora di cantautorato e anche solo di personalità. 

Alcune delle tracce presente in Enya non hanno nemmeno un testo, o se ce l’hanno non consiste in nulla più che qualche gorgheggio. Come a dire che non le serve altro, e che spesso è la musica a raccontare una storia. Certe volte le basta canticchiare per catturare immediatamente l’attenzione del pubblico. In certi casi nemmeno quello: e si ritorna a scoprire il valore del silenzio, ascoltando incantati come dinnanzi a un vero cantastorie. Titoli come Fairytale, March Of The Celts e Bard Dance sono di per sé allusivi di quello che aspetta ascoltandoli. 

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Enya ripropone però quei tropi conosciuti con autenticità e spontaneità, senza perdersi in virtuosismi e stravaganze da film fantasy. Meglio ancora quando, nella traccia omonima, Enya parla di Baodicea, la famosa regina guerriera che rappresentò praticamente da sola la resistenza contro l’esercito romano. Il brano che accompagna le sue gesta è mesto, quasi malinconico, come se la cantante volesse rivolgere alla grande condottiera un tributo funerario. Il risultato del senso di controllo mostrato da Enya è dunque, paradossalmente, molto più fedele e rispettoso della Storia che racconta. Come a dire “così andavano le cose: fidatevi di me, perché lo so”.

Un effetto secondario di questa decisione si ripercuote sui pochissimi testi “di fatto” presenti nell’album. A cominciare da I Want Tomorrow, unica canzone in inglese e traccia più riconosciuta prima della fama. La loro presenza li fa spiccare nel mucchio, li rende preziosi e rari, e trasforma la stessa voce di Enya in uno strumento tra i tanti. Vero è però che I Want Tomorrow, separata dal mucchio, risulta solo una traccia vocale come tante. Una traccia profonda, sentita, ma che con la storia dei Celti fuori contesto c’entra poco o niente. 

Il piacere della narrazione 
Video della versione remastered di I Want Tomorrow (2009)

È questo, dunque, l’inizio della Enya-mania: una fama che la cantante non riuscì mai a digerire del tutto, ma che può dirsi meritata guardando il metodo che gliel’ha messa tra le mani. E rende ancora più bello tornare a The Celts, ricordando con esso lo scopo primario della sua carriera. Non diventare famosa, non cambiare la cultura, ma dipingere un quadro della sua storia e dei suoi antenati. Con la loro lingua, le loro musiche, e il loro sangue nel cuore.  

Uno dei crucci di Enya con il mondo della musica è la tendenza a proclamarla artista New Age

Non lo sono, ha proclamato più e più volte. Può piacere agli appassionati del New Age – come a chiunque altro, solo in virtù dell’essere capace – ma si capisce pienamente perché si dissoci da quella definizione. The Celts è una lezione di maniera sulla musica folcloristica e riporta alle radici di ogni cultura: l’autenticità, la voglia di raccontare una storia che si conosce da sempre. 

Tra il 1992 e il 1996, quattro diverse edizioni dell’Eurovision Song Contest vengono vinte dall’Irlanda. La vincitrice del ’96, Eimear Quinn, si presenta con la ballata celtica The Voice. Record tuttora imbattuto: che sia anche quello l’incantesimo di Enya?

— Onda Musicale

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