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Vegetable Man: il grido disperato di Syd Barrett

Syd Barrett è una delle più grandi vittime dello show business e, allo stesso tempo, uno dei più illustri rimpianti della storia della musica.

Molti, tra i fan dei Pink Floyd o meno, si chiedono come sarebbe stata la musica della band con Syd Barrett come leader se la malattia mentale non l’avesse divorato dall’interno. Di lui ci restano una manciata di brani, ma già da qualcuno di essi è possibile leggere la sofferenza di chi si sente sopraffatto da un mondo non suo, il dolore di chi sta per essere schiacciato da quel presente che ha sempre sognato, il patimento di chi si sente solo, estraneo, abbandonato.

Uno di questi brani è Vegetable Man, scritta da Syd Barrett nel 1967, proprio prima del suo definito allontanamento dalla band

La canzone, mai pubblicata ufficialmente fino al novembre del 2016 con l’uscita del cofanetto The Early Years 1965-1972, è una disperata richiesta di aiuto lanciata dal diamante pazzo verso il mondo intero, è un tentativo di far emergere la propria voce e di cercare quel calore umano, quella comprensione, quella salvezza che tanto avrebbe voluto.

La traccia, definita da molti critici come la testimonianza del progressivo distaccamento dalla realtà dell’autore e del deterioramento della sua psiche è, a mio avviso, tutto l’opposto: è un brano estremamente terreno, è un brano che parla di solitudine, di abbandono, di dolore e di frustrazione. Vegetable Man è un inno a ritrovare l’empatia tra gli uomini, la stessa empatia che ricercherà Pink in The Wall prima di isolarsi dal mondo, è un tentativo di farsi ascoltare in mezzo a un assordante mondo predatorio, è un’ultima e lapidaria richiesta di aiuto.

In yellow shoes I get the blues
Though I walk the streets with my plastic feet
With my blue velvet trousers, make me feel pink
There’s a kind of stink about blue velvet trousers
In my paisley shirt I look a jerk
And my turquoise waistcoat is quite out of sight
But oh oh my haircut looks so bad
Vegetable man how are you?

Il testo si apre con la descrizione di un uomo, lo stesso Barrett, che si guarda allo specchio e si descrive nella sua essenzialità, nel suo essere, semplicemente, un essere umano sofferente. Privo di difese e privo di sovrastrutture, Syd Barrett si presenta davanti all’ascoltatore in tutta la sua fragile nudità. Nessun filtro, nessuna esagerazione, nessuna messianica luce da rockstar, c’è il solo Barrett davanti a noi.

So I’ve changed my dear, and I find my knees,
And I covered them up with the latest cut,
And my pants and socks all point in a box,
They don’t make long of my nylon socks,
The watch, black watch
My watch with a black face
And a big pin, a little hole,
And all the lot is what I got,
It’s what I wear, it’s what you see,
It must be me, it’s what I am,
Vegetable man

Nella seconda strofa Syd si rivolge a un oscuro ascoltatore che lo guarda in silenzio, non ci è dato sapere se l’ascoltatore sia una proiezione di sé stesso o un reale affetto, ciò che si intuisce dal testo è che il musicista tenta di offrirsi completamente al suo ascoltatore nella disperata ricerca di un aiuto, di una forma di comprensione, di un ultimo e vitale ascolto.

I’ve been looking all over the place for a place for me,
But it ain’t anywhere, it just ain’t anywhere
Vegetable man, vegetable man,
He’s the kind of person, you just gonna see him if you can,
Vegetable man.

Tuttavia, la richiesta rimane senza ascolto

Syd Barrett confessa di non trovare più sé stesso e di non aver più un posto da chiamare ‘casa’. Un posto per lui, in questo mondo, non c’è più, e da questa amara confessione emerge la necessità di fuggire in un altro mondo, in un altro universo. La follia è pronta a inghiottirlo e lui è pronto a farsi divorare; le difese sono abbassate, la battaglia è persa.

Samuele Iacopini

— Onda Musicale

Tags: Pink Floyd, The Wall, Sindrome di Asperger
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