Il 18 novembre è uscito il quarto album di Darman, che è sorprendentemente acustico e si fa ascoltare volentieri.
Un disco autoprodotto
Ayawasca Sciamani Musicali lascia a Darman stesso la produzione di “Rifugio”. Nove brani scritti e arrangiati dal cantautore calabrese (ad accezione del testo di “Come la mente sempre più assisa”, di Umberto Alcaro), tutti acustici.
Discostandosi dalle tre precedenti produzioni, Darman dà prova di grande ecletticità e spirito di adattamento. Il filo conduttore che lega trasversalmente tutti i brani dell’album è la ricerca di un percorso di interiorità che possa condurre agli altri, al mondo.
Il vero “Rifugio” è inteso come un senso di apertura e non di chiusura. La copertina ci mostra infatti un guscio d’uovo spaccato.
Dice Caterina Borrelli, l’autrice dell’immagine:
L’irregolarità del guscio spaccato, la tela grezza e rasposa, i suoi colori disuniformi, un individuo che scorre nei suoi interstizi: lì trova il suo rifugio… nella moltitudine, nella vita.”
Le tracce
Delle nove tracce che compongono il disco, due sono strumentali. La prima è “Intro/Verso”, ed è addirittura solo rumore (?) di sottofondo. Darman fa qualche passo, prende la chitarra dalla custodia e inizia il suo personale concerto catartico.
Il suo viaggio verso l’apertura nei confronti del mondo inizia ora. Si susseguono le altre canzoni. Tutte intime. Certo il suono della chitarra acustica (con qualche presenza, qui e là, di una tromba e delle percussioni di Christian Lisi) aiuta, ma non è solo questo.
Mi dà come l’impressione che aprirsi al mondo sia, per Darman, una lotta. Con se stesso, certo, ma anche con qualche altra presenza che si scorge ascoltando il disco. Sono molti i collegamenti con la natura, a partire da “Cicale”, il cui omaggio è palese, ma passando anche da Agay (Je suis la mer, Io sono il mare, dice) o il salice di “Doposcuola”.
Le canzoni sono tutte piuttosto intimiste. Si parla di ricordi e di desideri. Ma non per questo viene a mancare la vena rock di Darman, che, nonostante i suoni atipici per la sua produzione, riesce a trasmettere la tradizione della musica che tanto ci piace e che tanto amiamo ascoltare. Non manca la vena psichedelica, per esempio, che è alquanto rimarcata in “Zabaione”, ma che esce un po’ ovunque.
Tra l’altro – dico per ridere – ci aggiungiamo pure un po’ di Disney, con lo zucchero aggiunto allo zabaione. Un po’ come per la pillola di Mary Poppins.
Ed è anche chiaro il collegamento con il folk e con il blues. L’armonica, per esempio, è uno strumento usato parecchio, in “Rifugio”. Così il bottle-neck, che è il tratto caratteristico della seconda traccia strumentale, “Ellittica”.
Interessante notare che tutte le canzoni sono relativamente corte. Tutte tranne l’ultima, “Come la mente sempre più assisa”. Un po’ come quando i pensieri arrivano uno dopo l’altro, ma poi, alla fine, devi tirare le somme. La canzone è stata scritta con la collaborazione di Umberto Alcaro, che ne ha scritto il testo. Anche qui rimane il filo conduttore: alla fine, dopo tutto questo pensare alla propria vita, è necessario aprirsi e collaborare.
Forse è questo l’insegnamento.
Dico la mia
Il disco è interessante nella sua semplicità ma mi chiedo (sempre: è una condanna, per me) se la musica permetta di aprirsi al mondo con meno sofferenza.
Se sia possibile accantonare il romanticismo, lo sturm und drang, ed essere semplicemente quello che si è tutti i giorni: normali. Non mi si fraintenda: ognuno è libero di esprimersi nel modo che ritiene più adatto e non c’è nulla di più giusto di questo.
Soprattutto in campo artistico. Però pongo la domanda e spero nella risposta. E ne pongo ancora un’altra: Darman, riesce ad aprirsi come vorrebbe o il suo è solo l’inizio di un percorso?
Dice la sua
Rifugio è il mio quarto album in studio, nato in questi ultimi due anni. È un disco sentito e passionale, dolce e viscerale, come d’altronde lo è tutta la mia produzione. Rifugio, però, ha quel tocco di intimismo in più rispetto ai precedenti lavori, essendo spogliato delle distorsioni e delle batterie che tradizionalmente caratterizzano il mio sound. È nato un disco più minimale e, se vogliamo, anche più complicato da arrangiare nella sua semplicità. Paradossalmente, grazie alla pandemia ho avuto modo riscoprire la chitarra acustica e, con lei, la mia parte artistica più riflessiva, più leggiadra, più protrusa verso sensazioni di vita quotidiana, di casa, di mare, di vita semplice condita ‘da fioca eccitazione’. È nato, così, questo focolare al quale potersi scaldare nelle uggiose giornate autunnali o nelle fredde sere d’inverno, questo Sole abbagliante e bruciante che fa evaporare la rugiada in primavera o goduto su una spiaggia in estate. È nato così, Rifugio, quel dolce luogo immaginifico dove potersi trovare e ritrovare, nella ricerca perpetua del nostro essere più intimo e reale.”