È la canzone più “neorealista” della discografia nazionale. Scritta con i tempi di una vera sceneggiatura, la “storiaccia” di Lella continua a turbarci a distanza di cinque decenni
Negli ultimi anni le sono stati attribuiti altri significati, tra i quali quello di aver messo in luce, con mezzo secolo di anticipo, il triste fenomeno del femminicidio. Condividiamo questa chiave di lettura solo parzialmente, per le ragioni che esporremo a breve. Ritorniamo a quegli anni, in una Roma che non c’è più.
Sarà fondamentale conoscere meglio gli autori di questo “neorealismo” musicale. È il 1969: l’Uomo sta per andare sulla Luna, l’Umanità tutta sta per compiere quel gigantesco passo in avanti, ma a Roma i lavori della linea A della metropolitana, iniziati nel dicembre del 1963, sono ancora fermi al palo. Burocrazia, malaffare, imperizia, indolenza, fanno parte del vissuto quotidiano che attanaglia Roma in una morsa ottundente. Roma è sì la capitale del paese ma viaggia con grave ritardo rispetto agli standard delle moderne capitali europee. In un certo senso, Roma non ha mai smesso di essere un “paesone”, un Piccolo mondo antico dove gli abitanti sembrano conoscersi l’uno con l’altro come a Valsolda.
Edoardo De Angelis è un giovanotto di 24 anni, proviene da una famiglia della piccola borghesia, come tante ce ne stanno a Roma.
Abita in centro, non distante dal suo amico Stelio. Lui e Stelio Gicca Palli si conoscono da una vita. Compagni di classe alle medie, condividono la passione per la chitarra.

L’Università, che frequentano da un paio d’anni potrebbe segnarne un allontanamento, dal momento che Edoardo si iscrive a Lettere Moderne mentre Stelio a Giurisprudenza.

La chitarra farà da collante: Stelio e Edoardo fondano un duo. Prima qualche serata nei locali poi finalmente l’approdo al Folkstudio. Se questo nome non vi dice niente, sappiate che sul palchetto di quella cantina puzzolente si sono esibiti i massimi esponenti del cantautorato cittadino, da Antonello Venditti a Francesco De Gregori, incredibilmente battuti sul tempo da un imberbe Robert Allen Zimmermann: proprio lui, il futuro Nobel per la Letteratura Bob Dylan, di passaggio a Roma nel ‘62 in qualità di semplice turista.

Al Folkstudio Lella riscuote particolare successo
Quando Edoardo & Stelio intonano la seconda strofa, percepiscono all’istante che nel teatro sta succedendo qualcosa. Il pubblico, composto prevalentemente da avanguardisti, è rimasto turbato dal tema trattato ma soprattutto dal linguaggio utilizzato. Anche gli amici di sempre restano impressionati dal registro del brano, che lo rende percettibilmente diverso dalle tante canzoni che si possono ascoltare in quei giorni, sia nei club d’essai come il Folkstudio che all’hit parade.
Perché Lella suona diversa?
Per prima cosa non parla di politica in una stagione in cui tutto viene ideologizzato. Sembra la prima bozza di una sceneggiatura per un film neorealista, dove la stornellata romanesca si mescola ad una prosa pasoliniana.

Racconta la storia di un ragazzo che rivela ad un amico di aver ucciso, il 31 dicembre di quattro anni prima, l’amante che voleva lasciarlo. Edoardo compone Lella nel 1969: quindi, volendo dare una datazione più precisa all’omicidio, dovremmo riavvolgere il nastro al 1965 o addirittura all’anno prima. Una Roma nel pieno del boom economico, che non ha tuttavia ridotto le tante disuguaglianze tra le classi. Sussistono le differenze tra gli abitanti dei quartieri “alti” e quelli che campano alla giornata nel fango delle borgate. Certo, anche qui si stanno apportando notevoli migliorie. Quasi tutte le baracche sono state abbattute per far spazio ai palazzoni che stanno caratterizzando il nuovo skyline della periferia urbana del quadrante di Roma sud-est. Solo un’area risulta ancora particolarmente degradata. È laggiù, alla Fiumara, come racconta l’omicida all’amico.
La Fiumara si trova in un tratto di costa tra Ostia Ponente e il Comune di Fiumicino
Strano destino quello della Fiumara. Laggiù, dove Roma muore trafitta da uno squallore invincibile, tra baracche costruite sulla sabbia, baretti e barche abbandonate, il protagonista ha ucciso la sua amante seppellendone il cadavere a mani nude. Ci sembra di vederlo, intento a sgrullarsi la sabbia dalle mani e dal vestito, prima di far ritorno a Roma e alla sua vita “normale”, lontano dalla vergogna di Fiumara Grande. Per una beffarda coincidenza, il delitto si consuma nella stessa lingua di terra dove anni più tardi troverà la morte Pier Paolo Pasolini, i cui libri stanno influenzando profondamente tutti i giovani di quella generazione, inclusi Edoardo e Stelio. Fiumara e Idroscalo formano una terra di nessuno dove non esistono regole, un territorio senza legge e senza controllo. Il sito ideale per fare un lavoro sporco.
Ma torniamo a Lella
La canzone viene pubblicata nel novembre del 1971. È il lato A del primo 45 giri firmato Edoardo & Stelio. Sul lato B c’è Alle 7 del mattino d’un giorno qualunque, una modesta canzone in stile West Coast. Per la scabrosità del tema la distribuzione del disco viene osteggiata. Arriva però alle orecchie di Edoardo Vianello, che ha dismesso l’antica leggerezza; i Vianella stanno proponendo tematiche decisamente più noir. In coppia con la moglie Wilma Goich sta già lavorando su Semo gente de borgata, ma non si lascia certo sfuggire di mano la forza dirompente di Lella. Sarà un grande successo dei Vianella.
È probabilmente per l’autorevolezza di un personaggio come Edoardo Vianello che la canzone diventa “altro”
Siamo nell’Italia del 1972: ingenua e disinformata, la gente comune inizia a credere che la canzone parli di un fatto realmente accaduto.
Con lungimiranza, la casa discografica RCA ha acconsentito alla pubblicazione integrale del testo. Si trova nella retrocopertina del disco, pubblicato sotto l’etichetta Valiant.

Le cose erano assai diverse da come le credeva la gente. Lella nacque così:
Stelio, come tanti altri giovani dell’epoca è un fan di Joan Baez e contesta gli U.S.A per aver scatenato la guerra nel Vietnam. Quando ascolta Saigon Bride (una delle canzoni più suggestive sulle conseguenze prodotte dall’intervento americano nel Sud Est asiatico), ne rimane folgorato. Ispirato dalla musica ne compone una che ricorda nell’arpeggio quella della Baez. La fa ascoltare a Edoardo ricevendone un riscontro nient’affatto entusiastico.

Arrivano le vacanze di Natale. Una mattina Edoardo prende l’autobus per andare a trovare la nonna. Il bus dell’Atac procede lentamente nel traffico di via del Tritone: dal finestrino, nota l’insegna di un negozio: “Proietti cravattificio”.

È la mattina del 31 dicembre 1969
Uscendo di casa, ha sentito alla radio del ritrovamento di un cadavere di una donna alla Fiumara Grande, tra Ostia e Fiumicino. D’un tratto, le idee che gli ronzavano nella testa si materializzano in strofe consequenziali. I versi sgorgano rapidi. Gli si visualizzano in romanesco: sembrano fuoriusciti da un capitolo dei Ragazzi di vita di Pasolini.
La “sceneggiatura” della canzone è preso detta: Lella sarà la moglie di Proietti, di professione produttore di cravatte. Non certo uno strozzino (cravattaro, in romanesco è sinonimo di usuraio). Questo è il gancio con il quale Edoardo costruisce il movente: l’omicida è un ragazzo, probabilmente più giovane della vittima e sicuramente un figlio del popolo, stando almeno al modo di esprimersi. Lella è un’arricchita che aspira a ben altro che a un misero borgataro “belloccio”. Intende liberarsene proprio l’ultimo giorno dell’anno: “me so’ sbajata, nun ne famo gnente.. e tireme su la lampo der vestito”. L’intero testo è una fioritura di espressioni romanesche che descrivono un fatto violento e completamente inventato.

Edoardo De Angelis non conosce nemmeno l’uso del termine “cravattaro”
Proviene da una famiglia piccolo-borghese, a casa sua “certe cose non si dicono”. Tuttavia – sia lui che Stelio leggono Pasolini e Gadda. E se dal primo hanno assorbito le atmosfere di una Roma innominabile, sono intrigati dalla “poetica del pasticcio” che è propria di Emilio Gadda: respirano il caos insopportabile della vita quotidiana che Gadda descrive utilizzando lo stile dello smarrimento del pensiero, che sembra impregnare le pagine di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana. Edoardo e Stelio si sono formati studiando i grandi affreschi popolari, descritti nei romanzi di Pasolini e Gadda e figurati nelle pellicole di Pietro Germi, il loro regista di riferimento. Nei suoi film possono vedere i volti dei personaggi che hanno sempre soltanto immaginato.
È in questo contesto che nasce il “pasticciaccio” di Lella alla Fiumara
L’autore della canzone non intende giustificare l’assassino. Vuole solo provare a comprenderlo. Perché quell’omicidio? Lella è una che ce l’ha fatta: è riuscita a emergere, in un modo o nell’altro, dalla sua condizione di popolana. Il suo giovane amante ha reagito all’abbandono con una brutalità che è figlia dell’ignoranza degli “Ultimi”, che non conoscono altro linguaggio se non quello violento di chi è cresciuto nella violenza di ogni giorno.
Il disco venne pubblicato cinquant’anni fa. Pasolini l’avrà ascoltato con attenzione
Perché il grande umanista, gli Ultimi, ha saputo cantarli come pochi altri. Lella ci trascina in quel mondo fatto di periferie estreme, del quale faceva parte anche l’assassino (o presunto tale) di Pier Paolo Pasolini: Giuseppe Pelosi, Pino la rana per gli amici di Setteville, un ultimo talmente ultimo che nessuno, nella foto che vi proponiamo, sembra seriamente preoccuparsi di lui, guardando altrove, in un’altra direzione, dentro le nebbie, dove si nascondono i veri responsabili protetti dal Potere e dal malaffare.

Con queste motivazioni, riteniamo sia quantomeno riduttivo considerare Lella una canzone sul femminicidio.
Lella è anche una canzone sul femminicidio
Lella è un capolavoro, una storia inventata divenuta un grande classico della canzone italiana. Sembra l’impalcatura su cui costruire un film, o una serie, ambientata in quella Roma che non c’è più e per la quale proviamo, a volte, un senso di ingiustificata nostalgia. Un romanzo, uno Stornello Criminale, per poter vedere anche noi com’era fatta Lella, quella ricca, la moje de Proietti er cravattaro.