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Le dieci hit degli anni settanta che non ci mancano affatto

La Starland Vocal Band, autori di una delle più grandi (e peggiori) hit degli anni settanta

Pensate alle grandi hit degli anni settanta e agli artisti che hanno dato loro vita. Vi verranno in mente nomi non solo importanti, ma anche forti, influenti, sperimentali, provocatori di mestiere. I grandi artisti del rock, gli sfacciati signori del funk e della disco, e grandi voci del pop vocale che si raccontavano con profondità e maturità.

Bene: prendete questi nomi e dimenticateli

Le hit degli anni settanta erano ben lontane dall’immagine trasgressiva della rockstar e dal carisma dei funkmeister. Immaginate piuttosto una bella famiglia di periferia, pulita e ordinata, con il classico recinto bianco e la torta di mele in forno. I genitori di quella famigliola sono molto più simili all’ideale popstar in stile 70s di Steven Tyler, Gloria Gaynor o Stevie Wonder – e la musica che cantavano era stucchevole, imbambolata e forzosamente felice come appare quello stile di vita al giorno d’oggi. 

Ecco alcune chicche delle classifiche anni settanta, successi alla radio e in vinile, che non abbiamo alcun interesse a rivedere quest’oggi. 

They Long To Be (Close To You) – The Carpenters (1970)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 1
Posizione sulla Billboard Year-End List: 2]

Con la traccia giusta alle spalle, la compianta Karen Carpenter aveva la capacità di strapparti il cuore dalla commozione. They Long To Be (Close To You), cover di una vecchia traccia di Burt Bacharach e Hal David, non fa uso di quel suo talento. Anche se probabilmente nemmeno la possente ugola di Barbra Streisand avrebbe potuto trarre qualcosa di significativo da una delle canzoni d’amore più stucchevoli mai scritte. 

Close To You usa immagini infantili, come il cielo stellato e gli animali del bosco, per comunicare una storia d’amore priva di fronzoli e tensione. Non la combinazione giusta per la dolcezza incomparabile della Carpenter, perché impilando dolcezza su altra dolcezza non si ottiene nient’altro che una carie. E Close To You è innanzitutto questo: un’ondata dirompente di zucchero in cui si annega impotenti, nonché un araldo del tipo di easy-listening che sarebbe arrivato negli anni a venire. 

Doesn’t Somebody Want To Be Wanted – The Partridge Family (1971)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 6
Posizione sulla Billboard Year-End List: 53]

La famiglia Partridge era una band fittizia, composta da una madre e i suoi cinque figli, protagonista dell’omonima serie tv. Essi, come poi i nostri Hannah Montana e Big Time Rush, avrebbero inciso e venduto musica come un gruppo vero. Oggi la loro musica, come Doesn’t Somebody Want to Be Wanted, rappresenta una cartina al tornasole del tipo di allegria plastica che definiva la musica dell’epoca. 

Ancora più datata è la premessa di fondo di Doesn’t Somebody Want To Be Wanted, in cui il narratore implora – sembrerebbe in mezzo alla strada – che arrivi qualcuno disposto a dargli amore. “Scendo in città e giro intorno/ma ogni strada dove cammino trovo un vicolo cieco/sono solo e mi sento solo/ho bisogno di qualcuno per non dover fingere più”. Fa abbastanza pena. 

I’d Like To Teach The World To Sing – The Hillside Singers (1972)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 13
Posizione sulla Billboard Year-End List: 97]

Innanzitutto togliamo di mezzo l’elefante: questa canzone è stata creata per una pubblicità della Coca-Cola. Là è stata ridistribuita al grande pubblico e cantata da un gruppo che non è un vero gruppo, ma un’ensemble messa insieme ad hoc. Il video è culturalmente importante, come una delle prime rappresentazioni di un mondo multiculturale. La canzone, invece, contiene nel suo testo le parole “vorrei comprare al mondo una Coca”. 

Prendete tutte le critiche contemporanee che vengono rivolte a Imagine di John Lennon – che è stucchevole, che è semplicistica, che non comprende davvero le problematiche di cui parla – e moltiplicatele per cento. Se almeno Immagine era gradevole all’orecchio e ben composta, I’d Like To Teach The World To Sing è uno di quei jingle pubblicitari che ti rimangono in testa a oltranza e ripete la stessa melodia dall’inizio alla fine. E i jingle non dovrebbero avere posto nel mondo della musica pop. 

Puppy Love – Donny Osmond (1972)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 3
Posizione sulla Billboard Year-End List: 67]

La colpa, qui, non è tutta di Donny Osmond, teen idol d’antan. Puppy Love è infatti una cover di una traccia che un altro teen idol, Paul Anka, dedicò nel 1960 al suo primo amore, l’attrice di casa Disney Annette Funicello. Le fonti sembrano indicare un’attrazione genuina fondata sul rispetto, rimasta viva anche dopo la morte di Funicello nel 2013: ma non basta tutto l’amore del mondo per cancellare il fatto che una cotta tra adolescenti non è affatto la tragedia esistenziale che mostra Puppy Love. 

La chiamavano cotta giovanile/solo perché siamo adolescenti/dite a tutti, vi prego, ditegli che non è giusto/portare via il mio unico sogno”. Privata dell’autenticità dell’originale, e accompagnata dal consueto zucchero anni settanta ormai ben noto, questa cover è un pezzo di storia che merita di rimanere nel passato. 

Half Breed – Cher (1973)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 1
Posizione sulla Billboard Year-End List: 20]

La storia di una giovane donna con una madre Cherokee e e un padre bianco in conflitto sulla sua identità e che mette a nudo il rifiuto da parte di entrambe le culture potrebbe essere molto accattivante per una canzone rock. E Cher, per quello che vale, racconta quella storia con immagini forti e la sua famosa potente voce. Ma la Dark Lady decide però di andare oltre, mettendosi in prima persona nei panni della narratrice e facendosi riprendere seminuda su un cavallo con in testa in copricapo piumato. Forse una vera Cherokee saprebbe che i Cherokee… non portano copricapi piumati? 

Sulla discendenza di Cher vi sono numerose fonti contrastanti: c’è chi afferma che sua madre, la ex modella e attrice Georgia Holt, avesse effettivamente parenti Cherokee. Discutibile, considerando gli errori presenti nel video. E nonostante si possa – in parte — giustificare il contenuto del video con il contesto dell’epoca, in cui anche terminata l’epoca d’oro del western erano ancora a galla numerosi falsi miti, non significa che debba piacere oggi allo stesso modo. 

The Streak – Ray Stevens (1974)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 1
Posizione sulla Billboard Year-End List: 8]

Raramente le canzoni comiche che riescono ad avere successo hanno idee di grande pregio. La battuta alla base di questa, country-pop, vede un uomo completamente nudo che porta scompiglio in un pacifico quartiere di periferia mostrando agli avventori “la sua anatomia”. Le strofe, recitate, sono incentrate su un servizio televisivo in cui le gesta de “La Striscia”, così viene chiamato il peculiare “invasore di campo”, vengono descritte da un cliente dei luoghi in cui si manifesta. Prima un supermercato, poi un benzinaio, infine un evento sportivo: dove apparirà la prossima volta? 

Il ritornello è invece un’ode ironica a “La Striscia”, che pian piano conquista una folla di seguaci nudisti. Prima Ethel, la moglie del cliente intervistato, per tre volte abbacinata dalle doti del nuovo arrivato; poi, nel video musicale, anche gli spettatori e i giocatori della partita di pallacanestro dove “La Striscia” conclude le sue avventure. Divertente… forse. 

(You’re) Having My Baby – Paul Anka & Odia Coates (1974)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 1
Posizione sulla Billboard Year-End List: 28]

Ciao di nuovo, Paul Anka. Quando un teen idol raggiunge la maturità, anche le sue canzoni assumono una coloritura più adulta, e non c’è argomento più adulto dell’eccitazione per un bambino in arrivo. Buona, quindi, l’intuizione di Paul Anka, idolo delle adolescenti alla fine degli anni cinquanta ritornato a galla vent’anni dopo. Il risultato è oggi considerato tra le peggiori canzoni di sempre. 

Non si può dire che Anka non si sia aggiornato con i tempi: You’re Having My Baby è lagnosa, insipida e tradizionalista come solo una canzone pop anni settanta sa fare. Niente dubbi da genitore in attesa, romanticismo vecchio stile, qualunque cosa avrebbe offerto spessore al concept. Anka sembra quasi attratto dalla gravidanza stessa, più che dalla donna amata. Ciliegina sulla torta, frasi come “Tutto il seme dentro di te, piccola/lo senti crescere?” – nemmeno Ozzy Osbourne e Alice Cooper insieme potrebbero concepire un tale orrore. 

Have You Never Been Mellow – Olivia Newton-John (1975)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 1
Posizione sulla Billboard Year-End List: 36]

La diva d’eccellenza del decennio, anche prima di diventare Sandy, con una voce che pur essendo gradevole non ha la forza e il carisma appropriati al suo livello di fama. Come da programma, Have You Never Been Mellow è lenta fino alla stucchevolezza, ma quello che lascia più senza parole è il suo tentativo di essere romantica. 

Have You Never Been Mellow ha un messaggio che invita a rallentare il ritmo della propria vita, lasciarsi consolare e affidarsi agli altri. Valido, sorprendentemente moderno. Il problema è il linguaggio con cui Newton-John decide di comunicare questo messaggio, che più che al self-help sembra rimandare a un grottesco ritorno al focolare domestico. “C’era un’epoca in cui io dovevo/per forza esprimere il mio punto di vista […] Non hai mai lasciato che fosse qualcun altro ad essere forte?”. Una riscrittura avrebbe giovato.  

My Eyes Adored You – Frankie Valli (1975)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 1
Posizione sulla Billboard Year-End List: 5]

Prima di essere rilanciato dalla colonna sonora di Grease, l’ex leader dei Four Seasons aveva ottenuto una hit di buon successo, ma alquanto discutibile sin dalla premessa. Buona parte dei problemi stanno nell’idea di base. Chi mai avrebbe voglia di sentire un uomo adulto e realizzato che riflette su una sua cottarella dei tempi delle medie, mai reciprocata e anche solo espressa? 

Lo scenario descritto non è interessante, né riesce Valli a renderlo tale. Ancora più assurdo è il fatto che il narratore non sia un personaggio esterno, ma il cantante in persona. Ci sono riferimenti espliciti alla sua fama  (“ho salito la scala fino alla fortuna e la fama/ho lavorato fino all’osso/mi sono fatto un nome”) che nonostante tutto non gli hanno fatto dimenticare la ragazza tanto desiderata quando era bambino. Non vale davvero la pena di tanta solennità.

Shannon – Henry Gross (1976)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 6
Posizione sulla Billboard Year-End List: 47]

Henry Gross, cantante del gruppo doo-wop revival degli Sha-na-na, ha mandato in classifica una canzone dedicata alla morte di un cane. Tale cane è la titolare Shannon, una setter scozzese un tempo appartenuta a Carl Wilson dei Beach Boys, carissimo amico di Gross. Un’idea affettuosa da dedicare a un amico, ma non adatta a un album da distribuzione commerciale e dal risultato discutibile.

Shannon non c’è più, spero che stia galleggiando verso il mare/ha sempre amato scappare a nuoto”. La voce di Henry Gross, più adatta all’estetica del doo-wop che ai falsetti caratteristici, appare stridula e penetrante in una maniera che non si addice a un funerale. Sarà piaciuta a Carl Wilson, ma ascoltarla in altri ambiti ha risultati meno efficaci. 

Get Up And Boogie – The Silver Convention (1976)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 2
Posizione sulla Billboard Year-End List: 24]

Un terzetto di glaucopidi damigelle teutoniche si improvvisano le nuove Earth, Wind & Fire pur avendo un carisma più da quartetto doo-wop anni cinquanta. Bisogna dire perché non funziona? 

Afternoon Delight – Starland Vocal Band (1976)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 1
Posizione sulla Billboard Year-End List: 12]

Una canzone su un momento d’amore a mezza giornata: sensuale? Non qui, non con la Starland Vocal Band e una delle canzoni più irrise nella storia del pop. Il quartetto era composto da due coppie sposate, ma nessuna delle due deve essere mai andata oltre la prima notte, perché il loro approccio alla sensualità è casto, impacciato e meno pruriginoso di un film di principesse Disney. “Strofinare bastoncini e pietre insieme fa accendere le scintille/e l’idea di strofinarti (sic.) sta diventando così eccitante”. 

Nonostante il discreto pedigree dei membri (Bill Danoff, uno dei vocalist, ha co-scritto Take Me Home, Country Roads assieme a John Denver), Afternoon Delight è oggi ricordata unicamente come una barzelletta, e come “una delle canzoni più bianche mai registrate”. Con tutte le grandi canzoni sul sesso che sono uscite negli anni settanta, da Let’s Get It On a Love To Love You Baby, chi sentiva il bisogno di Afternoon Delight

Muskrat Love – Captain & Tennille (1977)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 4
Posizione sulla Billboard Year-End List: 89]

Altro giro, altra coppia sposata con una credenziale illustre. Due ex tastieristi da tour dei Beach Boys, inclusa l’unica donna nella storia a suonare con loro, Daryl “Captain” Dragon e Toni Tenille si sono cementati nella storia come il “gruppo brutto” degli anni settanta per eccellenza. Buona parte delle loro hit sono soltanto ingenue: questa è assurda. Parla, letteralmente e senza alcuna iperbole, della storia d’amore tra due topi muschiati. 

Priva anche solo di un po’ di sana ironia, Muskrat Love sembra una canzone per bambini finita chissà come in classifica assieme a Fleetwood Mac, Abba ed Eagles. I topi protagonisti hanno dei nomi, Sammy e Sue, si strofinano i nasi per indicare affetto e vanno a cena a lume di candela come versioni roditrici di Lilli e il Vagabondo. È però difficile capire a quale bambino possa interessare un sound del genere, lento e monotono fino al parossismo. Men che meno, dunque, a quale adulto. 

Short People – Randy Newman (1978)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 2
Posizione sulla Billboard Year-End List: 41]

La battuta al centro di questa canzone vede un narratore volutamente inaffidabile e pregiudizievole dare una tirata su come “persone basse” sono naturalmente cattive e non c’è da fidarsi. Un’unica battuta per tutta la durata della canzone, senza variazione, troppo poco focalizzata per funzionare come satira sul pregiudizio, e suonata con la classica composizione jazz-pop alla Randy Newman che ormai conoscono tutti.

Il cinismo non è un sentimento che si addice a Newman come performer e compositore. Il suo successo moderno come compositore per la Disney e la Pixar è una testimonianza dei suoi veri punti forti, ben lontani dalla cattiveria mostrata in Short People. Ma allora non poteva saperlo, e Short People dimostra quanto allora avesse da imparare. 

Love Is The Answer – England Dan & John Ford Coley (1979)

[Picco sulla Billboard Hot 100: 10
Posizione sulla Billboard Year-End List: 68]

Ci vuole più amore, nel mondo. Così pensava Todd Rundgren nel 1977 quando scrisse l’originale Love Is The Answer, di scarso successo, e così pensa anche il duo di England Dan e John Ford Colei. Questa cover rappresenta uno degli ultimi sprazzi dello zucchero tipico anni settanta, nonché uno dei suoi più egregi esempi. 

Traccia easy listening con influenze blues, Love Is The Answer sembra una caricatura dell’ethos degli hippies scritta da qualcuno che detestava gli hippies. Nient’altro che una vuota professione sull’amore come forza riparatrice del mondo accompagnata dall’ennesima musichetta tutta zucchero. Luce del mondo, splendi su di me/L’amore è la risposta/brilla su di noi, liberaci”. Difficile immaginare qualcuno, anche nel 1979, che lo prendesse sul serio.

Vi è piaciuta questa lista? Riscopriamo anche Le dieci hit degli anni ottanta che non ci mancano affatto

— Onda Musicale

Tags: Stevie Wonder, Steven Tyler, Cher, Gloria Gaynor
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