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Ian Paice, la storia del batterista e vera anima dei Deep Purple

Ian Paice coi Deep Purple

La folta capigliatura da hippie, gli occhialetti virati al blu o al viola e le camicette raffinate, dietro ai tamburi dei Deep Purple Ian Paice ha sempre fatto la figura del dandy. Quando si trattava di pestare al ritmo dell’hard rock più duro del periodo, però, Ian non si tirava mai indietro.

Ian Paice nasce a Nottingham il 29 giugno del 1948 e inizia presto a suonare. Il suo primo strumento è il violino, forse più adatto al suo aspetto delicato, ma a quindici anni Ian è già innamorato della batteria. I primi live sono a fianco del padre, che manda avanti un’orchestra da ballo. Ian, però, inizia a fare sul serio quando entra nelle prime band rock, fenomeno all’epoca in piena espansione.

Georgie and the Rave-Ons, poi gli Shindigs, e infine i decisivi MI5, poi chiamati Maze, sono i suoi primi gruppi. Nei Maze conosce un cantante che ha una marcia in più, Rod Evans. Ed è proprio il buon Rod che, lasciati i Maze per i Roundabout, fa il suo nome a Ritchie Blackmore. Bobby Woodman, all’idea di suonare a tempo pieno nella band, tentenna e Ian ne approfitta.

In quei giorni si fa la storia. I Roundabout, infatti, di lì a poco cambiano nome: nascono i Deep Purple. Ian Paice, per chi ama i record, è presente dalla prima all’ultima delle infinite incarnazioni del gruppo, chiamate mark.

Ritchie, però, aveva messo gli occhi – e le orecchie – sul drumming di Ian da tempo.
“Cercavo Ian Paice da circa un anno dopo averlo visto esibirsi ad Amburgo. È un batterista incredibile. Ed era il motore della band.”

Paice inizia quindi a costruire la leggenda dei Deep Purple, e allo stesso tempo quella sua personale. La sua tecnica è ineccepibile, nonostante dichiari sempre di preferire il feeling al virtuosismo. La cosa difficile da credere è che Ian Paice ha fatto tutto da solo, senza prendere mai una lezione. I suoi maestri sono infatti i grandi batteristi jazz dell’epoca.

Può sembrare strano, ma nemmeno tanto, se si pensa che non c’erano decine di batteristi rock a cui ispirarsi. La sua precisione tecnica è tale che ancora oggi molti colleghi lo definiscono un metronomo umano. Le influenze jazz, invece, fanno sì che il suo stile risulti assolutamente peculiare.

Ian è un uomo e un musicista gentile, a dispetto della potenza di fuoco sprigionata dai suoi tamburi; pur ispirandosi a una serie di musicisti come Gene Krupa, Buddy Rich, Bobby Elliott e Charles Connor, Ian ha l’umiltà giusta per continuare a imparare. Anche quando è già un batterista affermato, continua a trarre insegnamenti da strumentisti coevi come Carmine Appice, Ginger Baker e Mitch Mitchell.

Ovviamente, però, i grandi rivali del periodo sono i Led Zeppelin e i Black Sabbath. John Bonzo Bonham, in particolare, gli viene spesso opposto come se fosse l’altra faccia della medaglia. Bonzo è più potente e spettacolare, mentre Ian Paice vanta una maggiore tecnica; pur rimanendo defilato dietro le bizze da primedonne di Ian Gillan e Ritchie Blackmore, Paice dà un apporto ineguagliabile al sound dei Deep Purple.

Accomunato a Bonham per il rifiuto di servirsi della doppia cassa, vi fa ricorso con ottimi risultati solo per Fireball. Nell’epoca degli interminabili assoli di batteria, poi, Paice non si tira indietro. La sua lunga parte in The Mule, sul mitico Made in Japan, viene ritenuta da molti la migliore della storia del rock.

Altro esempio: in Burn, epico brano che inaugura la stagione della MK III, l’idea di doppiare il canto di David Coverdale con la batteria è sua. Anche se ad accorgersi della potenzialità di quella soluzione è Jon Lord, che condivide con Ian anche una parentela. Paice, infatti, sposa Jacky, che ha una sorella gemella – Vicky – che è la moglie di Lord. I due sono quindi cognati.

Ian Paice, grazie al suo carattere mite e gentile, riesce sempre a tenere il suo centro di gravità all’interno delle frequenti tempeste che colpiscono i Deep Purple. Quando la storia della band arriva però al capolinea, al primo, almeno, non c’è nulla da fare. I Deep Purple si sciolgono e lui, che è sempre andato d’accordo con tutti, inizia una proficua carriera in altre band e con eccellenti collaborazioni.

Inizialmente, con Jon Lord e Tony Ashton, si gioca la carta del supergruppo, allora di gran moda. Arruolati il chitarrista Bernie Marsden e il bassista Paul Martinez, nascono i Paice Ashton Lord. Malice in Wonderland, il loro disco di debutto – che rimarrà l’unico – è un promettente lavoro hard rock. Ashton, però, è l’anello debole in vari sensi.

Tony, infatti, è un buon vocalist, ma non all’altezza di Gillan e Coverdale, con cui il paragone finisce per essere obbligato e ingeneroso. Ashton, inoltre, è poco propenso ad andare in tour negli stadi, preferendo la dimensione più raccolta dei piccoli club. Lo scioglimento arriva quasi immediato e Paice è indeciso tra due nomi che conosce bene.

Ian Gillan lo vuole nella sua band, David Coverdale insiste perché entri nei suoi Whitesnake. Alla fine, Ian Paice scegli i secondi e vi rimane per qualche anno e per quattro dischi. Nello stesso tempo suona col grande Gary Moore e diversi altri musicisti.

Il 1984 è però l’anno della prima, grande reunion dei Deep Purple. Un ritorno che non è forse baciato dall’ispirazione degli anni Settanta, ma comunque frutta agli ex ragazzi introiti fenomenali.

Da allora, la carriera di Ian Paice segue i tanti saliscendi della band.
Il batterista rimane l’unico punto fermo di una serie di cambi di formazione pressocché infiniti, fino ad oggi. Nemmeno un piccolo ictus, nel 2016, lo ferma, se non per pochi mesi. Non solo, mentre i suoi compari non smettono di litigare per avere la luce più brillante sul palco, il nostro Ian inanella una serie di collaborazioni prestigiosa.

Nel 1989 suona con George Harrison; dieci anni dopo accompagna Paul McCartney in Run Devil Run, omaggio al rock’n’roll delle origini. Nell’album suona anche David Gilmour e i due si prestano occasionalmente a suonare con Paul anche in qualche live.

Dice di lui in quel periodo Steve Morse, ennesimo chitarrista dei Deep Purple: “È come un vero Ringo pesante. È così bravo alla batteria, ma non vuole farne una grande questione.”

Paice è anche un grande amante dell’Italia – e della sua cucina, la carbonara in particolare – e suona spesso con Tolo Marton, ottimo chitarrista tra blues e fusion. Le sue grandi doti umane, inoltre, lo portano spesso al centro di progetti benefici. A lungo si è vociferato sul fatto che Ian Paice avesse un solo polmone, ma le cose stanno un po’ diversamente.

Afflitto da bambino da una grave polmonite che si trasforma in tubercolosi, Ian patisce effettivamente la mancanza di una porzione del lobo inferiore del polmone sinistro. Ian Paice (leggi la nostre recente intervista) è insomma la testimonianza di come una grande rockstar, rispettata da tutti e grande influenza per schiere di musicisti, possa anche portare avanti una vita tranquilla.
Nonostante lo strumento scelto e la grande potenza e resistenza, Ian rappresenta il lato gentile dell’hard rock.

— Onda Musicale

Tags: Deep Purple, Ian Gillan, Ritchie Blackmore, Gary Moore, Paul McCartney
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