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Jesus Christ Superstar, storia della leggendaria opera rock

Giuda e Gesù in Jesus Christ Superstar

Tutti conosciamo Jesus Christ Superstar, il musical rock ispirato alla vita di Gesù Cristo. Un’opera che vanta innumerevoli record e che è stato apprezzato perfino dal Vaticano.

La storia di Jesus Christ Superstar, però, non è così semplice ed è legata a doppio filo alla fortuna di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber. Oggi è quasi difficile da credere, ma alla fine degli anni Sessanta, quando la rock opera nasce, i due sono poco più che ragazzi. Webber ha appena superato i vent’anni ed è un enfant prodige della musica, ha composto a nove anni la sua prima suite.

Tim Rice è di quattro anni più grande ed è un paroliere di talento, di grande fantasia e ironia british. I due compongono un primo musical, The Likes of Us, ispirato alla Broadway degli anni Cinquanta e che non verrà rappresentato fino al 2005. È però nel 1968 che forse accade un fatto che mette in movimento il destino di Jesus Christ Superstar.

La Colet Court School commissiona loro la composizione delle musiche per un saggio di fine anno. I due si mettono al lavoro e ne esce Joseph and the Amazing Technicolor Dreamcoat, una sorta di versione musicale di Giuseppe e i suoi fratelli, un racconto biblico. Lo stile è leggero e irriverente, le composizioni omaggiano pop, rock, country e calypso.

Evidentemente, l’idea di rivedere vicende religiose sotto la lente del rock e dell’ironia piace ai due. Il periodo è effettivamente propizio: la rivoluzione sociale e culturale di quegli anni permette un approccio molto libero a una questione da sempre delicata. Le religioni, poi, conoscono una grande crisi e l’atteggiamento dissacrante fa proseliti.

I mezzi, tuttavia, non sono tali da presentare a un complesso musical da mettere in scena. Le musiche, però, sono realmente buone e il successo di Tommy, una delle prime vere opere rock degli Who, incoraggia a provare. Si decide così, inizialmente, di registrare Jesus Christ Superstar come un doppio concept album.

La formazione della band di supporto è praticamente quella della Grease Band, il complesso che suona con Joe Cocker e che ha avuto grande successo a Woodstock. Neil Hubbard, attivo anche coi mitici Juicy Lucy, alla chitarra elettrica; Henry McCullogh alla sei corde elettrica e acustica; Alan Spenner al Basso e Bruce Rowland alla batteria.

Numerosi altri musicisti prestano la loro opera, compreso lo stesso Lloyd Webber a tastiere e sintetizzatori. Per le parti vocali le cose sono più complicate. Le diverse parti, infatti, a differenza di altre rock opera, prevedono timbri vocali e stili molto differenti.

La parte di Gesù va a una vecchia conoscenza per gli amanti del rock, che allora è ancora un personaggio in cerca d’autore: Ian Gillan. Il vocalist si è appena accordato coi Deep Purple, band con cui entrerà nella mitologia rock, e artiglia una delle parti principali.

Il vero ruolo del protagonista, come ben si sa, è però quello di Giuda, e va a Murray Head. Il cantante e attore britannico è appena stato in scena con Hair, l’altro musical hippie per eccellenza. La parte di Maddalena va a Yvonne Elliman, futura vocalist di Eric Clapton, l’unica, con Pilato-Barry Dennen, che reciterà anche nel musical e nel film.

Il doppio album è composto da ben ventitré pezzi. Il rock la fa da padrone, ma anche altri stili si affacciano qua e là, dai riferimenti classici all’avanguardia, dal pop al vaudeville. L’attacco di Heaven on their minds, cantata da Giuda, rimane ancora oggi una pietra miliare del genere. Il riff di chitarra elettrica è micidiale, le parti vocali iconiche. Sono però i testi di Tim Rice a stupire tuttora.

Giuda è l’immagine stessa dello scoramento e della delusione, un personaggio ben diverso da quello del traditore che siamo abituati a concepire. La trama di Jesus Christ Superstar, del resto, ruota proprio attorno a Giuda. Il discepolo è infatti visto come il braccio destro di Gesù, il primo a capire che la questione sta sfuggendo di mano e che non potrà che finire male.

L’approccio di Jesus Christ Superstar è infatti prettamente laico. Gesù è tratteggiato come un semplice uomo, un predicatore di pace in stile quasi hippie. Gesù è ambiguo: attratto dall’adorazione delle folle e dall’amore di Maddalena, forse realmente convinto della sua divinità ma conscio della difficoltà della sua posizione.

Impossibile ripercorrere la rock opera pezzo per pezzo, ed è pur vero che qualche passaggio non è proprio memorabile. Altrettanto impossibile, però, non menzionare altri pezzi leggendari. La dinamica What’s the Buzz/Strange Thing Mystifying, con gli acuti di Gillan in grande evidenza; la bella This Jesus Must Die, col basso vocale di Caifa e una musica molto black; la celeberrima I Don’t Know How to Love Him di Maddalena.

Ma anche la scatenata sarabanda soul di Simon Zealotes/Poor Jerusalem, la scena del tradimento di Giuda Damned for All Time/Blood Money e il finale funk di Superstar. Jesus Christ Superstar, insomma, è già un capolavoro su disco, che ottiene grande successo e fa parlare di sé. Che, in fondo, è quello che occorre a Tim Rice e Andrew Lloyd Webber.

L’album vende benissimo e il suo successo fa da rampa di lancio per il musical che, dopo qualche versione pirata, va in scena a Broadway già nel 1971. Nove anni dopo, anni di repliche ininterrotte in tutto il mondo, Jesus Christ Superstar avrà incassato 237 milioni di dollari.

Curiosa invece la storia di King Herod’s Song, uno dei numeri più meritevoli del musical. La canzone, col titolo originale di Try it and see, era stata scritta originariamente da Rice e Webber come canzone pop. Per dei curiosi giri del destino, la canzone era stata incisa in inglese da Rita Pavone.

Un discorso a parte merita il film che, dopo l’incredibile successo del musical, viene messo in cantiere. Jesus Christ Superstar diventa una produzione hollywoodiana che ripropone canzone per canzone il testo originale. La regia viene affidata a Norman Jewison, regista di grande mestiere che ha già avuto grande successo con La calda notte dell’ispettore Tibbs, piccolo gioiello giallo antirazzista.

Jewison coglie perfettamente il senso di Jesus Christ Superstar e mette in scena una pellicola visionaria che strizza l’occhio alla controcultura. Girato proprio in Israele, tra le meravigliose rovine nabatee di Avdat, mescola i reali luoghi delle vicende evangeliche con ballerini e cantanti che sembrano veri figli dei fiori.

E se la presenza scenica e la voce di Ted Neeley, Gesù nel film, fanno forse rimpiangere Ian Gillan, così non si può dire per Giuda. Carl Anderson è talmente efficace che – da allora in poi – il suo Giuda diventa pietra di paragone e scomoda vetta della sua carriera. Carl sfodera una voce senza pari e una presenza scenica magnifica, ma è la sua capacità interpretativa a fare la differenza: insuperabile.

Fa sorridere, poi, che all’epoca la scelta di una cantante nero per il ruolo di Giuda non susciti grandi polemiche. Oggi, ogni volta che avviene qualcosa del genere, si sente berciare a destra e a manca di politicamente corretto, citato ogni volta a sproposito.

Jesus Christ Superstar, insomma, è un capolavoro anche al cinema; in quel periodo, Rice e Webber sono dei veri Re Mida del musical, e lo confermeranno con Cats ed Evita, per limitarci ai più celebri. Le meravigliose scenografie naturali di Avdat fanno il resto, assieme alle coreografie spettacolari dei ballerini.

La scena di Caifa, tra le migliori, viene ambientata nel Tempio in rovina di Oboda, dove la troupe trova in modo imprevisto un’impalcatura moderna. Il governo si offre di smontarla, ma Jewison, in stato di grazia, decide di tenerla e di renderla teatro della scena. Una decisione lungimirante, che rende il tutto ancora più efficace e surreale.

Per il momento della corruzione di Giuda, poi, sempre ambientato nel Sinedrio costituito dal tempio, Jewison fa ancora meglio. Ottiene dal governo israeliano di utilizzare alcuni carri armati Centurion che fa spuntare dalle dune e il passaggio eccezionali di due caccia Fouga-Magister.

Per la scena con gli aerei Jewison ha a disposizione un solo ciak. Infatti, il governo manda i caccia in via del tutto eccezionale – la zona è sempre dilaniata da guerre – per un solo passaggio.

All’epoca le reazioni dei religiosi sono diverse e non sempre composte. Per molti, Jesus Christ Superstar è un’opera addirittura blasfema. Il motivo è che Gesù viene dipinto come un uomo, seppure straordinario, che alla fine non risorge; soprattutto, però, quello che non va giù ad alcuni, è che il vero protagonista sia Giuda. Anche le comunità ebree protestano, ritenendo che l’iconico Caifa del musical assecondi la versione del deicidio, assegnando al Sinedrio tutte le colpe della condanna.

Come sempre, i fanatici cattolici si rivelano più realisti del re; anzi, in questo caso, più papisti del Papa. All’epoca, in carica al Vaticano c’è Paolo VI che, visionato privatamente il film, dà la sua benedizione.

“Raccontare la Passione di Cristo attraverso la musica significa arrivare a parlare di Gesù in tutti i continenti”.

Paolo VI

La dichiarazione pare sia proprio del pontefice, pienamente in linea con l’intento evangelico di spargere nel mondo la Buona Novella. Considerando che, in realtà, Jesus Christ Superstar narra una versione umana ben diversa, per intenti e risultati, da quella evangelica, il dubbio rimane. Intendiamoci, non sul fatto che Paolo VI abbia o meno assistito al film. Il dubbio è che, tra rock e traduzioni, abbia davvero compreso fino in fondo la portata dell’opera.

Tant’è, Jesus Christ Superstar, che ascoltiate il sottovalutato doppio con la voce di Ian Gillan, che rivediate per l’ennesima volta il film o che assistiate al musical teatrale, rimane uno dei capolavori insuperati del Ventesimo secolo.

— Onda Musicale

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