Roma, gennaio 1973: da pochi giorni un autore semisconosciuto ha ricevuto una traccia musicale da una casa discografica. Dopo vari tentativi andati a vuoto, alla Ricordi hanno pensato di giocarsi la carta Franco Califano
Ci hanno già provato in molti ma i discografici non sono rimasti soddisfatti del materiale ricevuto, nemmeno del lavoro di Bruno Lauzi. La musica è una partitura elegante, sofisticata e molto originale. E’ opera di Dario Baldan Bembo, che le ha conferito uno stile che asseconda sia le regole canoniche del Pop americano sia quelle più classicheggianti della tradizione europea. Ha anche inserito una citazione bachiana: il minuetto in Sol Maggiore di Bach influenzerà anche la scelta del titolo: la canzone si chiamerà semplicemente Minuetto. Siamo tutti consapevoli di come la musica possa utilizzare contaminazioni di ogni genere, tuttavia, un accostamento tra un musicista proveniente dal trapassato remoto come Johann Sebastian Bach e uno sconosciuto autore borderline come Franco Califano, richiedeva un enorme sforzo di fantasia.
Scrivere un pezzo “su misura” per Mia Martini è diventata un’ossessione per Franco Califano
È pazzo di lei, dopo essere stato ammaliato tutta l’estate da Piccolo Uomo. Una canzone come tante, in origine destinata ai Camaleonti, che Mia trasforma in un pezzo cult.
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Fisico morbido, capelli lunghi e scuri, una bellezza tipicamente mediterranea alla quale uno come Franco Califano avrà faticato a resistere. Era il prezzo che aveva messo in conto per affidare alla voce di Mia Martini uno dei più grandi classici della canzone italiana.
Minuetto esce il 10 maggio 1973 ed entra in hit parade il 23 giugno piazzandosi in decima posizione. Il 28 luglio Mia Martini e Minuetto volano al primo posto, lasciandosi alle spalle un altro dei titoli magici di quell’estate: Pazza Idea.
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Mia Martini ha grandissime capacità interpretative e uno stile tutto suo. Una voce molto adatta al rock, specie quando lascia trasparire quelle tonalità più “roche” che sembrano appartenere ai giovani cantanti calabresi, anche di quelli semisconosciuti come il Rino Gaetano di quegli anni. L’aspetto di ragazza fragile che gioca ad apparire più forte, delinea il personaggio che sta prendendo forma nell’immaginario degli italiani.
Non c’è alcun dubbio che il 1973 sia proprio il suo anno
Si è riempita di gloria e sta diventando ricca. Non è dunque un problema offrire un pernottamento in albergo a tutta la sua band. L’hanno accompagnata lungo tutto il concerto, “siete stanchi, che bisogno c’è di ritornare a casa, è notte fonda” – dice ai ragazzi – “vi ho prenotato un alberghetto qui vicino, è già tutto pagato”. Il gruppo decide invece di proseguire il viaggio. Il fato, la stanchezza, quella notte accade una tragedia. Un incidente terribile che non lascia scampo ai componenti della band. Già dai giorni seguenti, sulla sua persona cominciano a circolare allusioni inquietanti. La voce secondo cui Mia porti sfortuna diventa endemica perché la calunnia comincia ad ingrandirsi di bocca in bocca.
Nel 1976 la stella di Mia si offusca di colpo e nessuno desidera più lavorare con lei
Anche alla Rai, dove non si muove una paglia senza che Gianni Boncompagni dica prima la sua. Non è soltanto il partner artistico di Renzo Arbore ma riveste – probabilmente – il ruolo di più autorevole opinion leader musicale della sua epoca. Poco prima dell’inizio della registrazione di una puntata di Discoring, Boncompagni apostrofa la cantante in maniera inequivocabile: “ma che ce sta’ Mia Martini a prova’ oggi pomeriggio? In campana, con lei po’ succede de tutto’’ – biascica velocemente nel suo accento da toscano romanizzato – possono piglia’ foco li microfoni, po’ capita’ pure ‘n blackout”. I truccatori hanno finito con lieve anticipo, Mia è uscita dal camerino e si trova a passare dietro una tenda, in attesa di iniziare a cantare. Seminascosta, ascolta involontariamente la frase del suo – ormai – ex amico.
Da quel giorno non sarà più la stessa
Pubblicherà diversi 33 giri e ben undici singoli, nessuno dei quali arriverà in testa alle classifiche dei 45 giri. Allontanata dalla TV, ignorata dalla Stampa, è divenuta una cantante senza più appeal. Il suo volto, le sue canzoni, all’improvviso suonano cupe e pessimiste. È superata in popolarità da Loredana Bertè, la sorella più giovane che risulta essere più scafata, più sexy, più spregiudicata, più tutto.
Preparatevi a fare un salto in avanti di quarant’anni, alla primavera del 2017:
Francesco De Gregori sta per aprire una stanza restata chiusa per troppo tempo. Un De Gregori molto lontano dai cliché con i quali siamo abituati a conoscerlo. Certamente suggestionato dalle emozionanti scene del film su Mia Martini, è incalzato da un giornalista che riesce a sorprenderlo in un attimo di debolezza. Racconta un fatto risalente al 1977: durante una cena aziendale – uno di quegli eventi organizzati dalle case discografiche per celebrare i successi commerciali – la scorge seduta in un angolo, con almeno tre sedie vuote, sia sulla destra che sulla sinistra. D’istinto le si siede accanto. De Gregori non aggiunge altro ma ormai l’obiettivo dei Media – e dei produttori della Rai che hanno investito nel film – è quello di creare una storia nella storia, all’interno della quale inserire un lieto fine.
Francesco De Gregori non è in grado – per la fortuna di chi lo ascolta da cinque decenni – di scrivere canzoni in questo senso. De Gregori non sa portare conforto con delle risposte studiate. La sua specialità, il suo marchio di fabbrica, consiste nel porre domande il più delle volte spiazzanti.
Terra di nessuno contiene Mimì sarà
Nel 1987 il cantautore pubblica Terra di nessuno, un altro bel disco, uno dei suoi lavori migliori. La seconda traccia sul secondo lato si intitola Mimì sarà, proprio il soprannome con cui è conosciuta la Martini al grande pubblico. Come resistere alla tentazione di non leggervi un omaggio alla cantante?
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L’Album in realtà è incentrato sul tema della Guerra (Pilota di guerra, Pane e castagne) e su quello dell’Emarginazione. C’è una gemma come Nero, un brano dall’arrangiamento rétro. Mimì sarà descrive invece – con la consueta distaccata eleganza tipica del suo autore, una storia impregnata di solitudine a causa di un amore non corrisposto. Una solitudine che nasce da lontano ed i cui effetti si riflettono nel quotidiano, nei momenti in cui il senso di “assenza” ci sorprende con una naturalezza quasi fisiologica.
Non può che essere così: “quella nella canzone” è proprio Mia Martini
In molti vanno lo vanno a cercare, cercando di cavargli qualche risposta, ottenendo dal Principe soltanto la smorfia di uno che vede le cose troppo dall’alto per sentire il bisogno di sembrare meno sarcastico. Francesco De Gregori, nella sua carriera, ha dedicato una volta soltanto una canzone ad un personaggio reale
Lo ha fatto nel 1975: Il riferimento si trova sull’album Rimmel, lato uno, terza traccia: quel Signor Hood altri non è che Giacinto Pannella detto Marco, colto dal cantante nel momento del suo massimo impegno politico, l’epoca del Referendum sul Divorzio.
De Gregori, trincerato nel suo ermetismo astratto, non ha mai scritto canzoni in formato “dedica”
Tuttavia, sulle sue canzoni nascono leggende legate agli eventi tristi: come quando, la mattina del 30 maggio 1994, ci giunse la notizia della morte di Agostino Di Bartolomei. Qualcuno avanzò l’ipotesi secondo cui, La leva calcistica della classe ’68, scritta ben dodici anni prima, contenesse un riferimento diretto allo storico (ed amatissimo) capitano romanista. Naturalmente non è così.
Mimì sarà è una canzone dal testo splendido che descrive un amore impossibile
Anche stavolta, Mia Martini ha colto l’occasione: per il lancio del suo disco che conterrà soltanto cover, sceglie un titolo che racchiude in una frase l’intero arco della sua vita, anche sentimentale: La musica che mi gira intorno. Giocando su quel Mimì, sfila di mano il pezzo al suo ideatore.
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Mia Martini se ne impossessa in toto, proprio come era accaduto per Minuetto, i cui versi sembravano composti da lei stessa e non dall’arte di un poeta sensibile come Franco Califano. E se, nella versione originale, De Gregori ci invitava all’introspezione silenziosa, quella di Mia Martini suona come una rivelazione dolente. Forse, per una volta nella sua vita, sarà stato lo stesso De Gregori quello ad uscirne con le idee confuse.
La versione di Mia Martini è infatti la più diffusa tra il grande pubblico
Lo scorso autunno, il 28 settembre, in occasione della serie di concerti di Renato Zero al Circo Massimo, l’artista – da sempre vicino alla cantante scomparsa – ha voluto ricordarla inserendo nella scaletta della serata, fra i tanti brani a disposizione, proprio questo pezzo.
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In pausa gli orchestrali, immobili i ballerini, abbassate le luci, la voce di Mia Martini ha vibrato nella notte. Al termine di Mimì sarà Renato Zero ha invitato tutti ad alzarsi, per rendere omaggio all’amica di sempre ed alla sua grande arte.
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Dalla sua scomparsa, le canzoni di Mia Martini vengono riproposte in numerose antologie
Hanno fatto da sottofondo ad un’epoca in cui non esistevano talent e si arrivava al successo dopo anni di studi. Mia Martini non era arrivata per caso nel mondo dello spettacolo, nutriva una sincera passione per la Musica ed aveva iniziato a studiare pianoforte a soli cinque anni. È stata una delle migliori interpreti della musica italiana, dotata di ampia estensione, grande duttilità nel passaggio fra i vari registri e di una vocalità capace di coniugare note passionali a note più dolorose, caratterizzata dal suo essere sofisticata e con una forte intensità interpretativa. La storia che le ha avvelenato la vita ha condizionato anche il nostro immaginario. Mimì non era una persona cupa e pessimista, era una ragazza solare ricca di entusiasmo che tifava Napoli e amava Billy Joel. Nessuno potrà mai spiegarci come si sia arrivati a tutto questo. Invece, le ragioni di un successo che è tornato a risplendere, può spiegarcele, ancora una volta, proprio lei:
“Il segreto di una grande interprete non è avere una bella voce. L’importante è capire esattamente il senso della gioia o del dolore che stai raccontando, perché nelle canzoni si interpreta sempre un’emozione o una qualsiasi specie d’amore per qualcosa e se non sai cosa vuol dire soffrire non puoi sapere cosa vuol dire amare. Per cui è questo il segreto: il saper dire le cose, sentendole”
Mia Martini