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British Blues: il blues britannico e il nuovo rock (Parte 2)

Il blues britannico e i Cream

Riprendiamo la nostra piccola storia del British Blues, il blues britannico, fenomeno che nella seconda metà degli anni Sessanta segna profondamente la scena del rock mondiale.

Eravamo rimasti alla piccola diaspora tra John Mayall ed Eric Clapton all’indomani di With the Bluesbreakers. L’album è quello fondamentale del movimento e getta i semi per le trasformazioni successive. Il disco è composto in egual misura da standard e originali, coi secondi talmente credibili da confondersi coi classici. Forse il capolavoro del blues britannico.

Clapton, giovane bisbetico dall’incredibile talento, viene parzialmente domato dal guru Mayall, tanto da prestare per la prima volta anche la voce in un brano. Eric diventa l’idolo di tutta Londra, con la celebre scritta Clapton is God che spunta su un muro. Il ragazzo ha una storia familiare difficilissima: impossibile pretendere da lui l’equilibrio di fronte al successo.

Eric ha infatti grandi idee, sia nella musica, sia per quanto riguarda il suo ego. Con Jack Bruce e Ginger Baker fonda i Cream, ma ne parleremo più avanti. Intanto, il blues ha sfondato in classifica. John Mayall saggiamente lascia andare la gallina dalle uova d’oro e subito si mette in cerca di un chitarrista altrettanto bravo. Trova Peter Green.

Se Peter non è altrettanto mediatico di Eric Clapton, il blues britannico trova comunque un altro fuoriclasse. Green suona come nessun altro; è tecnico ma si muove sulle scale pentatoniche a modo suo, con un feeling che nessuno riuscirà a ripetere. Purtroppo, Peter Green è ancora più instabile di Clapton e rimane con Mayall solo per lo stupendo A Hard Road. Il disco è un capolavoro, ma ha il difetto di venire dopo Bluesbreakers, di cui ripete gli stilemi.

È proprio Mayall – involontariamente – a favorire la sua uscita dalla band. Per regalo di compleanno, John omaggia Peter con alcune ore gratis in studio di registrazione. Green si porta in studio John McVie, bassista di Mayall, e Mick Fleetwood. Se questi due nomi vi fanno accendere una lampadina, siete sulla pista giusta: nascono i Fleetwood Mac. E Mayall perde in un sol colpo chitarra e basso.

Non solo: Aynsley Dunbar, eccezionale batterista di A Hard Road, fonda anche lui una band di blues britannico. La Aynsley Dunbar Retaliation non è molto ricordata, anche per il moniker piuttosto cacofonico. La loro splendida The Warning, però, diventerà un cult nelle mani dei Black Sabbath.

John Mayall continua comunque il suo periodo di grazia, come musicista e come talent scout. Quasi tutti i musicisti che militano con lui fondano band di buon successo; Clapton e Bruce sfondano coi Cream e McVie e Green coi Fleetwood Mac; di Dunbar abbiamo detto, ma anche Keef Hartley, altro batterista, fonda la sua band. Mick Taylor, terzo grande chitarrista di Mayall, entra addirittura nei Rolling Stones.

La storia dei Fleetwood Mac è legata a quella della Blue Horizon di Mike e Richard Vernon, la prima etichetta di blues britannico. I Mac all’inizio sono i duri e puri del blues; suonano in America coi grandi del genere e registrano dischi che suonano più neri di quelli originali. Un’altra band della Blue Horizon, i Chicken Shack di Stan Webb, chitarrista epigono di Clapton, ne imita all’inizio il successo.

La cantante del gruppo, Christine Perfect, algida e bravissima interprete del blues britannico, entrerà anni dopo nei Fleetwood Mac. La band subisce però i problemi mentali di Green, che abbandona le scene disgustato dallo show-biz, seguito poco dopo dall’altro chitarrista Jeremy Spencer. I due entrano in sette diverse, la band entra in crisi. Anni dopo, con una formula lontanissima dal blues, i Fleetwood Mac diventeranno star mondiali.

Nel frattempo, il successo del blues britannico si riverbera con risultati meritori di là dall’oceano. Innanzitutto per i veri bluesman: Muddy Waters, Howlin’ Wolf, John Lee Hooker, Champion Jack Dupree e tanti altri arrivano in Gran Bretagna accolti come star. Finalmente – ormai avanti con l’età – i musicisti originali raccolgono fama e denaro.

Molti suonano coi chitarristi del blues britannico e – in alcuni casi – gli allievi diventano maestri. Soprattutto di amplificazione: sulla scia del nascente hard blues anche Waters e Wolf registrano album di blues elettrico con sentori di hard psichedelico.

Le band di blues britannico diventano decine e molte si evolveranno in grandi complessi di rock blues o hard rock. Jeff Beck, dopo aver suonato un blues alternativo con gli Yardbirds ed essere sempre rimasto ai margini del movimento, fonda il suo gruppo. Con Truth anticipa l’hard blues dei Led Zeppelin nel sound ma non nel successo.

Gruppi abilissimi nel blues britannico come Chicken Shack, Savoy Brown, Climax Blues Band, Steamhammer, Bakerloo, Love Sculpture, sfondano solo inizialmente. Infatti, dopo poche stagioni di gloria, il genere si evolve rapidamente e non tutte le band riescono ad adattarsi con successo; è un po’ la teoria dell’evoluzione darwiniana applicata al blues.

La nuova rivoluzione, come si diceva, parte dai Cream, ma non solo. La band di Clapton ibrida il blues a 220 volt con le istanze psichedeliche e il pop; non solo, dilata i brani di tre minuti in interminabili jam come nel jazz, dando libero sfogo all’ego straripante dei tre fuoriclasse. I Cream fanno sfracelli negli Usa e non tutti sono in grado di seguire quella strada.

I Chicken Shack e i Savoy Brown, per esempio, cercano di irrobustire il loro suono per attecchire negli stadi americani, dove il pubblico ha gusti meno raffinati, ma vi riescono solo in parte. Altre band si fanno irretire dalla nascente scena progressiva. Mayall, con Bare Wires, lo fa con grande classe, prima di abbracciare a sua volta la psichedelia. Nascono in questo sottogenere band come i Colosseum, Clark-Hutchinson e diverse altre.

Gli Steamhammer si convertono al blues britannico progressivo, così i ruvidi Groundhogs e i Jethro Tull. La creatura di Ian Anderson, pochi lo ricordano, con This Was nasce infatti come gruppo blues, con un chitarrista degno di Clapton, Mick Abrahams.

Siamo ormai alla seconda ondata del blues britannico; le band nascono a ogni angolo di strada e il genere arriva presto all’inflazione. Nel frattempo, però, tra il superblues dei Cream, quello psichedelico che attacca in America e quello progressivo, vince una terza via. Si afferma il rock blues più duro, quello che porta alla nascita dell’hard rock. Mentre il classico blues britannico vive gli ultimi fuochi coi Ten Years After di Alvin Lee e i Taste di Rory Gallagher, la scena cambia ancora.

Dal genio multiforme di Jimmy Page nascono i Led Zeppelin. Continuando a evolvere il discorso dei Cream, scioltisi dopo un paio di stagioni irripetibili, la band appesantisce ancora il suono, elimina quasi del tutto la parte psichedelica e mette a segno due colpi fondamentali. La voce, innanzitutto, quella di Robert Plant, che canta con un falsetto mai sentito e traccia la via per decenni di urlatori hard e heavy metal.

E poi la batteria di John Bonzo Bonham, la più potente mai sentita fino ad allora e forse anche dopo. È nato ufficialmente l’hard rock e, dopo un primo lavoro quasi votato al blues, i Led Zeppelin tracceranno le regole del gioco. Sulla loro scia un’altra band si smarca ancora più totalmente dal blues, i Deep Purple, che infatti non fanno mai parte della scena del blues britannico.

La terza punta dell’hard inglese, invece, viene proprio da lì; si chiamano Polka Tulk Blues Band e non sono altro che il prototipo dei Black Sabbath, sacerdoti temutissimi del rock occulto che nasce con loro. Siamo ormai all’alba degli anni Settanta e il blues si appresta a passare da culto della maggioranza a chiesa diroccata dove pochi fedelissimi si attardano, come la Blues Band.

Ci sarebbero ancora un paio di note. Il blues acustico, intanto, da cui tutto inizia e che vivacchia coi puristi Dave e Jo-Ann Kelly e si evolve nello splendido folk revival. Bert Jansch e John Renbourn, fenomenali chitarristi acustici, danno vita a band come Fairport Convention e Pentangle. E poi, ci sarebbe Jimi Hendrix, che pur americano, trova la sua via in Gran Bretagna. La sua Experience, infatti, con Noel Redding e Mitch Mitchell è una band britannica a tutti gli effetti. Ma forse questa non è la sede giusta.

Il blues britannico tramonta con gli anni Settanta, decennio più duro e spigoloso dei precedenti. La sua importanza finisce spesso per essere dimenticata, ma è impareggiabile. Il rock blues nasce così, e dal rock blues vengono fuori la scena psichedelica, l’hard rock e poi l’heavy metal e parte del rock progressivo. Praticamente tutto il rock dei decenni successivi nasce da quelle cantine dove gli appassionati, con fare da carbonari, ascoltavano vecchi LP di blues americano.

E gli Stati Uniti, la vera culla del blues? Paradossalmente anche oltreoceano è il blues britannico a far rinascere un genere che i miopi americani hanno da sempre in casa. Il southern rock e le nuove ondate di blues bianco (con Stevie Ray Vaughan, per dirne uno) devono qualcosa più di una birra al blues britannico.

Così come il rock e la musica leggera in generale ancora oggi.
Perché, come amava dire Muddy Waters, The blues had a baby and they named it rock and roll. In fondo, tutti i rocker sono figli della grande madre blues. Anche quella britannica.

— Onda Musicale

Tags: Eric Clapton, Stevie Ray Vaughan, Black Sabbath, John Mayall, Fleetwood Mac
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