Ogni concerto dei Pixies è una rivoluzione emotiva destinata a durare per qualche settimana a seguire. Poi lo ricordi inaspettatamente a distanza di anni. Io, dopo dieci anni dall’averli visti nel 2013, vado ad aggiornarmi.
La location giusta, siamo a Camden Town, che ai londinesi dell’ultima ora piace dire (da sempre) che ormai (da sempre?) è finita in mano ai turisti e che i punk sono pagati dal Council per stazionare e farsi fotografare. Io dico che Camden Town rimane Camden Town, sarà per la pavimentazione intrisa di birra, non lo so. La prima birra difatti ce la facciamo prima di metterci in coda, pioviggina, e nel pub si notano un paio di magliette con P alata. Intuisco che la filodiffusione sta mandando Gigantic. Siamo nel posto giusto, OK.
La Roundhouse è una delle sale da concerto più cool di Londra se si parla di musica dal vivo
Non è gigantesca come la O2 Arena, ma non è nemmeno una delle tante medio piccole salette disseminate ovunque qui nella capitale. Qualche migliaio di persone di capienza, perfettamente tonda, con una struttura che mi ricorda il Globe, il teatro di Shakespeare, dal di dentro, ma ben più scura e viscerale. Con le luci dei Pixies poi, luci semplici, un muro di spartani fari puntati verso il pubblico e via con le ombre che si scatenano sul soffitto dell’arena e che la fanno sembrare un grosso ragno che amorevolmente ci tiene al riparo dalla pioggerellina lì fuori, sia noi pubblico che loro Pixies, sotto lo stesso destino, almeno per le prossime due ore. La pioggerellina che diventa altro, se ci lasciamo prendere dalla paura. Ma siamo nelle mani di Black Francis, tranquillizziamoci.
Sembrano un uccello rapace, Black Francis. Tramuta tutta la band stessa in sé stesso
Al centro è la testa, il cervello, la parte dell’uccello che scruta le vittime, che siamo noi – il pubblico. Le due ali, Joey Santiago alla sua destra e Paz Lenchantin alla sua sinistra, sono loro che ci distraggono, mentre Black sta per trafiggerci. Dietro di loro David Lovering alla batteria, la corazza, il peso del rapace che ci si schianta addosso. Black Francis sembra decidere man mano con cosa colpirci.
“Wave of Mutilation” per esempio scatena l’entusiasmo del pubblico
Siamo in tanti ad aspettare quella decina di canzoni e ovviamente Black Francis lo sa benissimo come alzare i toni del pubblico, sa chiaramente tutto in anticipo quell’infame gigante capobanda in vacanza qui da noi, cambia chitarra ogni quattro canzoni su una scaletta densa e instancabile, non toglie mai gli occhiali da sole e non dice una parola che non venga da una delle sue creazioni. Il resto della band procede a seguire, ad affiancare, senza mai superare ma senza mai faticare… forse un po’ di fatica in più non avrebbe guastato, sembrano solo una band di teppistelli sonori ben invecchiati. Paz al basso deve sempre convivere con l’inutile spettro di Kim che invece racconterebbe la storia dei Pixies semplicemente essendo lì sul palco ma non c’è e mai ci tornerà. Quindi ci sono io, Paz Lenchantin, con un grosso fiore sulla testa del mio Fender Precision, con un suono di basso tutto rimescolato, impreziosita e scatenata e timida che non riesco a essere la spalla di Francis, sembra tutto così poco naturale. Joey e David, chitarra ultrasonica e batteria, fanno il loro preciso dovere di tagliare l’aria in continuazione con quel chitarrismo-pixie come componente fondamentale del loro sound e con una batteria semplice, efficace, tutto un cassa-rullante deciso a tavolino per spostare accenti solo quando serve e a guardare, dall’alto della pedana della batteria, un basso elettrico che laggiù proprio non tira.
È iniziato il rito quindi, una canzone di fila dietro l’altra, molte brevissime, niente e nessuno che si perde in chiacchiere o assoli, tutto essenziale, come a una messa dove ogni canto, facile o complesso, va cantato esatto, senza sbavature
Il pubblico reagisce male a chi si dimena ma, grazie anche all’età che oscilla dai venti ai sessanta (chi c’era, chi non c’era), qualche stupido muro di telefonini si erge solo sull’ovvia “Where is my mind”. Per il resto, splendidamente e fortunatamente, sembra di non essere nel 2023 e addirittura vedo qualcuno con gli accendini accesi, tanto la sicurezza non li avrebbe mai pescati. E pure un paio di sigarette accese, ma qui lo dico e qui lo nego.
(Per far abbassare i cellulari basta urlare qualche oscenità: nessuno vuole registrare le tue parolacce.)
Vedere i Pixies dal vivo ha un qualcosa di speciale – una esperienza che rimane
Che rimane per “Nomattertoday”, anche se nuova – chi l’avrebbe mai detto? Tutti ci trasciniamo dietro il biascicato “… got a little machine” di Bone Machine. L’arrivo della scimmia che va in paradiso segna lo spartiacque. Sappiamo che poi ci sarà “Where is my mind” e nel frattempo Black continua a inondare l’arena di musica.
(Aspetto che i quattro giganteschi riflettori cinematografici si accendano, uno ciascuno puntati chiaramente sui quattro membri ma non accade, e vi ci penso un attimo, mentre torno a casa – era una scenografia tenuta intenzionalmente spenta.)
Due ore, si inizia quasi a sudare, e il concerto finisce – precisione svizzera. Già finito? Ma sono passate due ore
Niente bis – manca qualcosa all’appello? – ma alla fine i quattro si lasciano andare a saluti e braccia distese e pure sorridono, sorridiamo tutti, e torniamo di corsa a prendere la metropolitana. Il concerto dei Pixies è finito, siamo stati al sicuro tra le grinfie di Black Francis, tra storie e chitarre tagliate male, per due ore… ora ci aspetta esattamente il mondo come lo abbiamo lasciato, ma per due ore abbiamo chiuso gli occhi, serrati. Penso che i Pixies siano la tipica band che ha le B-side ben più belle delle canzoni famose. Scopro quando torno a casa che la mia preferita, River Euphrates, era infatti la B-side di Gigantic.
E mi dispero, entrambe non eseguite stasera, e magari domani sì, che fanno la seconda data qui a Londra. Ma decide Black Francis…senza River Euphrates, senza Gigantic. Cambiano scaletta spesso, quasi a ogni concerto, e fanno bene. L’elemento sorpresa, quattro luci e una valanga di canzoni, e quel che va a loro quattro di dire a noi quattromila. A questo giro, London 20th March 2023, questo è stato deciso per noi. (Cosa c’era prima dei Pixies? Qualcos’altro. I Pixies mettono insieme quel che vogliono, da sempre, e chi vuole ha solo da imparare, ancora.)